Da La Repubblica del 18/06/2004
ERRORI E BUGIE
Bugie sull´Iraq, Bush sotto accusa
Il New York Times: "Adesso chieda scusa agli americani"
Ma il Presidente insiste: "Saddam e Bin Laden alleati"
di Vittorio Zucconi
WASHINGTON - In questa guerra di presunte «chiarezze morali» (Bush) che ogni giorno s´intorbida, nella mattina di un altro ormai puntuale massacro in Iraq e della ricostruzione raggelante del panico confusionale delle autorità americane l´11 settembre, il New York Times chiede le pubbliche scuse di Bush per aver portato l´America in guerra «spacciando falsità e disonestà al pubblico». Non le avrà. Come la guerra ha perduto ogni pretesa di superiorità morale nelle celle delle torture autorizzate dall´alto, così Bush sta perdendo la propria arma più importante, che era la sua "credibilità". E´ sempre più difficile "credere" alla versioni ufficiali e bastava ascoltare ieri il Presidente pasticciare con le parole, nel tentativo di rispondere alla conclusione ufficiale e devastante dei «non legami» tra Saddam e Al Qaeda raggiunta dalla Commissione d´inchiesta, per capire la difficoltà in cui si contorce. «Resto convinto che esistesse una relazione tra Osama e Saddam», perché «lui odiava l´America» e dunque «l´America è più sicura perché Saddam non c´è più». Non una prova, ma una tautologia.
Nel mondo sempre più surreale della "verità secondo George", i fatti che esplodono sul campo e soprattutto i sondaggi tra iracheni che ormai vedono, al 90%, gli americani come «occupanti», sono dettagli e la verità è un optional. La sola certezza è la quotidiana perdita di fiducia nella retorica sempre uguale e quindi sempre meno efficace della Casa Bianca. I soli due argomenti concreti indicati da Bush per difendere la screditata tesi dell´alleanza organica tra Saddam e Osama sono stati, nelle sue parole di ieri, la presenza del terrorista palestinese Abu Nidal a Bagdad, dove morì, e al-Zarqawi, il nuovo "cattivo" della sceneggiatura bellica americana, ignorando il fatto che la virulenza dei suoi attentati è esplosa dopo la caduta di Saddam. Quando l´Iraq è divenuto quello che prima non era, la calamita del terrorismo internazionale.
Ma Bush è ormai condannato a mentire, perché «chiedere scusa», come gli domanda in New York Times, comporterebbe dire la verità e ammettere che le premesse propagandistiche della guerra erano castelli di sabbia costruiti per nascondere la decisione politica di cambiare il regime a Bagdad e insediare un regime filo americano che accettasse basi militari permanenti. Un presidente condannato alla "coerenza della bugia", deve parlare a chi ancora è disposto ad ascoltarlo, ignorando quella metà abbondante dell´America che ormai non gli presta più orecchio. I discorsi settimanali ai quali Bush si sottopone sono sempre più irrilevanti, perché ripetitivi. E soprattutto perché in contraddizione visibile con la realtà dal fronte, con il caos di una nazione a pezzi, nella quale l´Onu, come ha detto ieri Kofi Annan, rifiuta di tornare, vista la assoluta incapacità delle truppe occupanti e dei loro ausiliari iracheni, di garantire un minimo di ordine e di sicurezza.
La strategia di questa Amministrazione è ormai sperare che il simulacro di sovranità limitata incarnato dal nuovo governo scelto da Paul Bremer e non dall´inviato dell´Onu Lakhdar Brahimi, come volle l´ennesima fiction, regga fino alle elezioni di Bush, ora che a Bagdad sta arrivando quell´ambasciatore Negroponte che tanto bene si distinse nella repressione della guerriglia onduregna. E´ la malinconica strategia, come ha detto Tom Friedman, uno dei "falchi liberal" che pure avevano appoggiato la guerra, del «tenere le dita incrociate e pregare», del confidare in qualche miracolo.
La stessa, confusa strategia che le autorità dispiegarono la mattina dell´´11 settembre, ricostruita nell´ultima udienza della Commissione. Con il vice presidente Cheney al comando, mentre Bush veniva sballottato da una base all´altra sull´Air Force One, spacciando la notizia - falsa anche questa - di un aereo fantasma diretto contro di lui, ordini confusi e contraddittori raggiungevano il Norad, il comando dell´aviazione militare tattica. Alcuni piloti di caccia ricevevano ordine di abbattere ogni aereo a vista, altri credevano di essere sotto attacco missilistico dei russi. Alcuni inseguirono elicotteri dei soccorsi, scambiandoli per i jet del terrore, ripetendo tutti la stessa domanda dei piloti: «Ma siamo sicuri che i comandi ci hanno autorizzati a colpire trasporti civili?». Sì, era la risposta, il vice presidente in persona, Dick Cheney, ha dato ordine di take them out, di eliminarli. E su tutto, la voce registrata e gelida, in perfetto inglese, di Mohammed Atta, il "generale" degli assassini, che spiega calmo alle sue vittime, ai passeggeri «di stare tranquilli e seduti» perché «saranno al sicuro e niente di male gli accadrà», pochi minuti prima di carbonizzarli nel rogo delle Torri.
Sull´orrore vero di quei momenti, sulla pretesa falsa che abbattere Saddam fosse la giusta "prevenzione" di nuovi attacchi terroristici con armi micidiali fornite ad Al Qaeda, si è fondata la promessa della "giusta guerra". Si è costruita la credibilità di un Presidente che oggi deve combattere contro la verità che il sistema americano lentamente, ma inesorabilmente, produce e lo sta inghiottendo.
Nel mondo sempre più surreale della "verità secondo George", i fatti che esplodono sul campo e soprattutto i sondaggi tra iracheni che ormai vedono, al 90%, gli americani come «occupanti», sono dettagli e la verità è un optional. La sola certezza è la quotidiana perdita di fiducia nella retorica sempre uguale e quindi sempre meno efficace della Casa Bianca. I soli due argomenti concreti indicati da Bush per difendere la screditata tesi dell´alleanza organica tra Saddam e Osama sono stati, nelle sue parole di ieri, la presenza del terrorista palestinese Abu Nidal a Bagdad, dove morì, e al-Zarqawi, il nuovo "cattivo" della sceneggiatura bellica americana, ignorando il fatto che la virulenza dei suoi attentati è esplosa dopo la caduta di Saddam. Quando l´Iraq è divenuto quello che prima non era, la calamita del terrorismo internazionale.
Ma Bush è ormai condannato a mentire, perché «chiedere scusa», come gli domanda in New York Times, comporterebbe dire la verità e ammettere che le premesse propagandistiche della guerra erano castelli di sabbia costruiti per nascondere la decisione politica di cambiare il regime a Bagdad e insediare un regime filo americano che accettasse basi militari permanenti. Un presidente condannato alla "coerenza della bugia", deve parlare a chi ancora è disposto ad ascoltarlo, ignorando quella metà abbondante dell´America che ormai non gli presta più orecchio. I discorsi settimanali ai quali Bush si sottopone sono sempre più irrilevanti, perché ripetitivi. E soprattutto perché in contraddizione visibile con la realtà dal fronte, con il caos di una nazione a pezzi, nella quale l´Onu, come ha detto ieri Kofi Annan, rifiuta di tornare, vista la assoluta incapacità delle truppe occupanti e dei loro ausiliari iracheni, di garantire un minimo di ordine e di sicurezza.
La strategia di questa Amministrazione è ormai sperare che il simulacro di sovranità limitata incarnato dal nuovo governo scelto da Paul Bremer e non dall´inviato dell´Onu Lakhdar Brahimi, come volle l´ennesima fiction, regga fino alle elezioni di Bush, ora che a Bagdad sta arrivando quell´ambasciatore Negroponte che tanto bene si distinse nella repressione della guerriglia onduregna. E´ la malinconica strategia, come ha detto Tom Friedman, uno dei "falchi liberal" che pure avevano appoggiato la guerra, del «tenere le dita incrociate e pregare», del confidare in qualche miracolo.
La stessa, confusa strategia che le autorità dispiegarono la mattina dell´´11 settembre, ricostruita nell´ultima udienza della Commissione. Con il vice presidente Cheney al comando, mentre Bush veniva sballottato da una base all´altra sull´Air Force One, spacciando la notizia - falsa anche questa - di un aereo fantasma diretto contro di lui, ordini confusi e contraddittori raggiungevano il Norad, il comando dell´aviazione militare tattica. Alcuni piloti di caccia ricevevano ordine di abbattere ogni aereo a vista, altri credevano di essere sotto attacco missilistico dei russi. Alcuni inseguirono elicotteri dei soccorsi, scambiandoli per i jet del terrore, ripetendo tutti la stessa domanda dei piloti: «Ma siamo sicuri che i comandi ci hanno autorizzati a colpire trasporti civili?». Sì, era la risposta, il vice presidente in persona, Dick Cheney, ha dato ordine di take them out, di eliminarli. E su tutto, la voce registrata e gelida, in perfetto inglese, di Mohammed Atta, il "generale" degli assassini, che spiega calmo alle sue vittime, ai passeggeri «di stare tranquilli e seduti» perché «saranno al sicuro e niente di male gli accadrà», pochi minuti prima di carbonizzarli nel rogo delle Torri.
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