Da La Repubblica del 14/07/2004

Bruciati gli ultimi 2 anni di inchieste del Ros: così le spie informavano il boss sulle indagini che lo riguardavano

Quelle talpe al servizio del padrino Provenzano, il segreto della latitanza

Il maresciallo rovistava nel libro degli indagati, l´appuntato bruciava le auto degli sbirri...
Tutte le informazioni fornite in tempo reale agli amici del mafioso latitante dal 1963

di Attilio Bolzoni

PALERMO - Il colonnello che cercava le «cimici» era uno, uno dei tanti. C´era poi il maresciallo che rovistava nel libro degli indagati, c´era quello che faceva la spia gratis, quello che ricattava, quello che aveva il compito di scoprire gli «intercettati». C´era anche l´appuntato sospettato di dar fuoco alle auto dei colleghi troppo «sbirri». E soprattutto c´era quell´altro carabiniere che sapeva tanto, così tanto che informava giorno dopo giorno Bernardo Provenzano delle investigazioni che lo riguardavano. Proprio giorno dopo giorno. Gli ultimi due anni di inchieste dei Ros sul capo dei capi di Corleone sono state praticamente «bruciate», depotenziate, comunicate in tempo reale agli amici del boss che è latitante da una notte di luna piena del settembre del 1963. E´ questa l´indiscrezione che filtra dalle pieghe dell´indagine giudiziaria sulle «talpe» di Palermo, vicenda assai intricata che fa però intuire come il vecchio mafioso sia sempre libero. Sempre inutilmente ricercato. Sempre un passo avanti agli uomini che gli danno la caccia.

Talpe di tutte le razze e di tutte le misure circolano a Palermo di questi tempi. Talpe in divisa. Talpe in borghese. Ufficiali, sottufficiali e truppe scelte. In mezzo a questa masnada di favoreggiatori c´era anche lui, il maresciallo del Raggruppamento operativo speciale Giorgio Riolo, esperto in posa di microspie e trasmissioni, il carabiniere che ha tenuto al corrente Provenzano di ogni «caccia grossa» che stava partendo dal suo reparto. L´ha fatto sistematicamente, passando notizie a quel Michele Aiello di Bagheria, califfo della Sanità privata siciliana e prestanome del superboss di Corleone.

Soffiate su soffiate. Per ventiquattro mesi. Tutte precisissime. E, a quanto pare, tutte arrivate a destinazione. E´ quello che ha accertato l´inchiesta (affidata dalla Procura proprio ai carabinieri di Palermo che stanno inoltrandosi oltre un confine fino ad ora inesplorato) ricostruendo gli insuccessi delle loro ultime operazioni di ricerca, uno smacco dopo l´altro, blitz falliti a ripetizione, incursioni in casolari ormai deserti, telefoni improvvisamente muti. Il vecchio Bernardo sapeva sempre tutto prima. Dal maresciallo Riolo via-Aiello e da tante altre «fonti» che - sospettano gli inquirenti - infestano le strutture antimafia a ogni livello. Dal più basso al più insospettabile. Una rete di «copertura» intorno all´ultimo Padrino, una rete che gli garantisce l´impunità ancora oggi dopo quarantatré anni. Un fantasma con tanti protettori: eccolo, il segreto del corleonese.

C´era l´esperto in posa di microspie e c´era il colonnello che quelle microspie voleva toglierle. Un piacere a un amico. Che poi era amico di un amico che era uno dei fedelissimi di Bernardo Provenzano. Sempre lui. Storia semplice quella del colonnello Pietro Traina, capo del servizio amministrativo della «Regione Sicilia» dell´Arma, l´ufficiale che gestiva anche le gare d´appalto per quelle ditte che forniscono apparecchiature per indagini tecniche. Microspie. Il colonnello voleva far «controllare» da uno specialista la Mercedes e la villa di un tale, uno che era sospettato di avere favorito la latitanza di Salvatore Sciarabba, un boss nominato capo mandamento proprio da Provenzano. Storia semplice che si intreccia tutta a Misilmeri, paese alle porte di Palermo, consiglio comunale sciolto per infiltrazioni mafiose, territorio strategico per le «difese» del boss dei boss di Corleone. Il colonnello Traina cercava di far «bonificare» auto e casa dell´amico, sapeva che lo stavano controllando, tentava pure di carpire da qualche collega particolari in più sull´indagine che avevano in corso. Un´indagine poco segreta. Troppo spifferi. Troppe strane coincidenze. Per esempio: da sei anni i carabinieri di Misilmeri stavano dando la caccia a quel Salvatore Sciarabba e non riuscivano a prenderlo mai. Erano sempre lì per acchiapparlo e quello spariva all´improvviso. Nessuno se ne faceva una ragione. Era un mistero. Fino a quando Sciarabba è caduto in una trappola della Squadra mobile. Indagine autonoma partita da Palermo: senza passare mai da Misilmeri. Paese roccaforte di Bernardo Provenzano. Che da quelle parti c´è stato. Come probabilmente ha trovato rifugio nelle vicinanze, tra Baucina e Villafrati, a Belmonte Mezzagno, a Cefala Diana, tutti paesi del «mandamento» mafioso di Misilmeri.

Ed è lì che Bernardo Provenzano aveva costruito uno dei suoi «sistemi» protettivi. Dentro la «famiglia» e fuori. Anche dentro gli apparati investigativi. La prima «talpa» scoperta era stato un appuntato poi arrestato e radiato dall´Arma. Si chiama Aldo Vullo. L´appuntato era il capo equipaggio del «nucleo radiomobile», frequentava i capi e i capetti della mafia paesana, relazioni molto pericolose. Quando i mafiosi chiacchieravano tra loro e parlavano dell´appuntato Vullo, scherzavano sempre. E si dicevano, uno contro l´altro: «Quello è meglio di te... quello è un carabiniere ma non è un carabiniere... ».

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