Da Corriere della Sera del 14/07/2004

Conti pubblici in affanno, sale il deficit

L’Istat: nel primo trimestre al 6,1%. Montezemolo e i sindacati: non c’è spazio per ridurre le tasse

di Mario Sensini

ROMA - «Brutti numeri» dice Lucio Stanca, l’unico ministro a commentare la notizia. A fine marzo l’indebitamento netto della pubblica amministrazione, il deficit che vale per Maastricht, proiettato sull’anno, viaggiava verso il 6,1% del prodotto interno lordo. Negli altri tre trimestri in genere si recupera, ma resta il fatto che il deficit calcolato ieri dall’Istat è comunque peggiorato rispetto ai primi tre mesi del 2003 (era al 6%, l’anno si chiuse al 2,4%), e che quest’anno non ci saranno condoni fiscali da incassare. Senza contare che il saldo primario, la differenza tra entrate e spese al netto di quella per gli interessi sul debito, segna sempre più rosso. Insieme alla brutta congiuntura politica, anche questi «brutti numeri» spiegano le difficoltà di Silvio Berlusconi nel trovare il sostituto dell’ex ministro dell’Economia, Giulio Tremonti. Il lavoro che aspetta il prossimo inquilino di via XX Settembre è senza dubbio pesante, tant’è che già qualcuno avanza l’ipotesi di uno slittamento a settembre del Documento di programmazione economico-finanziaria. Dovrà tenere i conti del 2004 entro il 3%, assicurando gli effetti della manovra correttiva da 7,5 miliardi appena varata e la piena efficacia delle altre misure previste dalla Finanziaria 2004. E soprattutto dovrà impostare la manovra per il 2005, anno difficilissimo per il venir meno delle una tantum degli anni scorsi. Secondo l’Udc il deficit tendenziale del 2005 viaggia sul 4,5-4,7%. Per riportarlo sotto il 3%, a loro avviso, servirebbe una manovra correttiva di 20 miliardi di euro, mentre per fare gli sgravi fiscali da un punto di pil come vuole Berlusconi il conto arriverebbe a 30 miliardi. Anche per questo, nel documento consegnato al premier, l’Udc parla di «condizioni oggettivamente difficili per una riduzione fiscale che non sia più che simbolica».

An e Forza Italia la vedono un po’ meno nera. Secondo loro gli sgravi fiscali (l’economista azzurro Renato Brunetta ritiene possibile ridurre la pressione fiscale di due punti di pil), renderebbero la doppia manovra di risparmio e di rilancio del 2005 più accessibile, grazie agli stimoli offerti all’economia e alla crescita. Anche se non certo facile, con un intervento di poco superiore ai 20 miliardi di euro.

«Le condizioni della finanza pubblica non permettono un intervento sulle tasse», ha detto ieri il presidente della Confindustria, Luca di Montezemolo. «Occorre guardare con attenzione al disavanzo e ribadiamo che dopo i tagli appena fatti bisogna pensare a una politica di sviluppo che richiede investimenti. La riduzione dell’Irpef non porta la crescita», ha concluso Montezemolo, in piena sintonia con i sindacati. «Con questi numeri diventa sempre più rischioso avventurarsi in un abbassamento generalizzato delle tasse», ha sostenuto il segretario della Cisl, Savino Pezzotta, mentre Cgil e Uil, insieme ai partiti d’opposizione, denunciano la gravità dello stato della finanza pubblica.

La vera spia non è tanto l’indebitamento netto che nei tre mesi tocca i 19,8 miliardi di euro proiettandosi al 6,1% del pil (l’obiettivo 2004 è di 39,7 miliardi, il 2,9% del pil), quanto le dinamiche che lo determinano, con la spesa in aumento del 3% su base annua, e le entrate che crescono del 2,7%. Poi c’è il saldo primario. Nei primi tre mesi è negativo per 4,4 miliardi contro un rosso di 1,3 miliardi nello stesso periodo del 2003. A fine anno, secondo il governo, il saldo al netto della spesa per gli interessi dovrebbe tornare positivo arrivando all’1,9% del pil. Che è comunque il valore più basso degli ultimi anni. Lontanissimo dal 5% che era stato chiesto all’Italia dalla Ue come garanzia di discesa del rapporto tra il debito e il pil.

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