Da La Repubblica del 19/07/2004
Se vince il "sì" inizierà l´industrializzazione dello sfruttamento dei giacimenti
La Bolivia vota sull´unica risorsa un referendum per il futuro del gas
Il presidente Mesa vuole rinegoziare gli accordi con le multinazionali
Sono le più grandi riserve del continente Molti paesi sperano di poterle sfruttare
di Omero Ciai
Bisogna accettare la filosofia della Pachamama, la "madre terra" che per gli indios aymara va difesa dai cavalieri del progresso, e ricordare che, appena cent´anni fa, i soldati cileni scuoiavano quelli boliviani per strappargli il mare nella "guerra del Pacifico", per farsi un´idea del condensato di guai, passati e futuri, riaccesi dal referendum sulla gestione del gas boliviano. Un anno dopo la rivolta che costrinse alla fuga Sanchez de Losada, l´ex presidente reo di aver firmato un contratto per la vendita del gas alla California con un gasdotto che passava in Cile, quattro milioni e mezzo di cittadini, del paese di gran lunga più povero dell´America Latina, sono andati alle urne per decidere quale politica adottare verso l´unica, straordinaria risorsa che possiedono.
La Bolivia ha la più grande riserva di gas naturale (1.500 miliardi di metri cubi) del continente americano dopo il Venezuela. L´estrazione è concentrata in una zona, cento chilometri per cinquanta, nella regione di Tarija, a sud del paese. Per assenza di infrastrutture e investimenti adeguati oggi La Paz esporta appena 14 milioni di metri cubi di gas al giorno, l´80 percento verso il Brasile, il resto in Argentina. Mentre almeno una mezza dozzina di paesi, compresi il Messico e gli Stati Uniti, sperano di risolvere i loro deficit energetici proprio grazie al gas boliviano.
È abbastanza difficile che il presidente Carlos Mesa perda la scommessa del referendum - i risultati arriveranno soltanto in mattinata - perché è riuscito, nonostante equilibrismi e notevole farraginosità nella formulazione delle domande, ad esorcizzare i due problemi che scatenarono la rivolta popolare di un anno fa. La "nazionalizzazione", o comunque il controllo dello Stato sulle risorse, e la promessa di un uso ricattatorio, anticileno, delle stesse. Nel referendum si chiede ai boliviani se sono d´accordo ad abrogare la legge sugli idrocarburi adottata nel 1997, presidente Sanchez de Losada, che concedeva alle multinazionali tutti i diritti sullo sfruttamento dei giacimenti (distribuzione, commercializzazione e esportazione). E chiede, inoltre, ai boliviani se sono d´accordo a negoziare con il Cile uno scambio tra gas e concessione di un accesso al mare.
Se vincerà il «sì», come sembrava probabile da sondaggi effettuati qualche giorno prima del voto di ieri, il presidente Mesa avrà la possibilità di rinegoziare le royalties con le grandi multinazionali che, come gli inglesi della Total, gli americani della Mobil e gli spagnoli della Repsol, hanno già speso più di 3.500 milioni di dollari nell´avventura boliviana, senza essere costretto a "nazionalizzare" e risarcirle, per poi trovarsi senza gli investimenti necessari all´industrializzazione dello sfruttamento del gas.
La vicenda del gas ha generato in Bolivia un ampio movimento d´opposizione. Le ragioni sono le più diverse e, anche se non sempre convergono, hanno provocato proteste generalizzate sfociate spesso in manifestazioni, blocchi stradali e rivolte circoscritte in alcune zone. Gli oppositori più duri sono mossi da ragioni ancestrali, si oppongono all´estrazione stessa del gas. Altri contestano che questa estrazione venga gestita dalle società multinazionali. Gli ultimi protestano perché l´unica strada possibile per il nuovo gasdotto finisce in un porto cileno.
Alla finestra, in attesa di conoscere il risultato del referendum (e la sorte di Mesa che ha promesso di dimettersi se verrà sconfitto), stanno in molti. Oltre alla compagnie multinazionali, numerosi paesi, dal Messico all´Argentina, al Brasile. Fino alla California. È anche vero però che il problema più difficile non troverà certo soluzione con il referendum. La via migliore per la commercializzazione del gas boliviano passa infatti per il Cile. Non c´è altra strada. E se il Cile non ha nessuna intenzione di cedere un accesso al mare, sovrano, alla Bolivia, la Bolivia non ha nessuna intenzione di far passare da lì il suo prezioso gas naturale.
La Bolivia ha la più grande riserva di gas naturale (1.500 miliardi di metri cubi) del continente americano dopo il Venezuela. L´estrazione è concentrata in una zona, cento chilometri per cinquanta, nella regione di Tarija, a sud del paese. Per assenza di infrastrutture e investimenti adeguati oggi La Paz esporta appena 14 milioni di metri cubi di gas al giorno, l´80 percento verso il Brasile, il resto in Argentina. Mentre almeno una mezza dozzina di paesi, compresi il Messico e gli Stati Uniti, sperano di risolvere i loro deficit energetici proprio grazie al gas boliviano.
È abbastanza difficile che il presidente Carlos Mesa perda la scommessa del referendum - i risultati arriveranno soltanto in mattinata - perché è riuscito, nonostante equilibrismi e notevole farraginosità nella formulazione delle domande, ad esorcizzare i due problemi che scatenarono la rivolta popolare di un anno fa. La "nazionalizzazione", o comunque il controllo dello Stato sulle risorse, e la promessa di un uso ricattatorio, anticileno, delle stesse. Nel referendum si chiede ai boliviani se sono d´accordo ad abrogare la legge sugli idrocarburi adottata nel 1997, presidente Sanchez de Losada, che concedeva alle multinazionali tutti i diritti sullo sfruttamento dei giacimenti (distribuzione, commercializzazione e esportazione). E chiede, inoltre, ai boliviani se sono d´accordo a negoziare con il Cile uno scambio tra gas e concessione di un accesso al mare.
Se vincerà il «sì», come sembrava probabile da sondaggi effettuati qualche giorno prima del voto di ieri, il presidente Mesa avrà la possibilità di rinegoziare le royalties con le grandi multinazionali che, come gli inglesi della Total, gli americani della Mobil e gli spagnoli della Repsol, hanno già speso più di 3.500 milioni di dollari nell´avventura boliviana, senza essere costretto a "nazionalizzare" e risarcirle, per poi trovarsi senza gli investimenti necessari all´industrializzazione dello sfruttamento del gas.
La vicenda del gas ha generato in Bolivia un ampio movimento d´opposizione. Le ragioni sono le più diverse e, anche se non sempre convergono, hanno provocato proteste generalizzate sfociate spesso in manifestazioni, blocchi stradali e rivolte circoscritte in alcune zone. Gli oppositori più duri sono mossi da ragioni ancestrali, si oppongono all´estrazione stessa del gas. Altri contestano che questa estrazione venga gestita dalle società multinazionali. Gli ultimi protestano perché l´unica strada possibile per il nuovo gasdotto finisce in un porto cileno.
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