Da Corriere della Sera del 21/07/2004

All’Assemblea Nazionale la riforma del settore pubblico

«Stato francese in crisi Addio al centralismo»

Il ministro Dutreil: «Meno personale, stessi servizi»

di Massimo Nava

PARIGI - Quante volte ci lamentiamo del nostro Stato inefficiente e sprecone? E quante volte abbiamo invidiato il modello francese, quello «che funziona» e che rende servizi ottimali, dai supertreni veloci alla posta puntuale, dagli ospedali alla funzione pubblica formata all' Ena , la grande scuola d'amministrazione? Proprio la Francia, tradizionalmente orgogliosa, fa una diagnosi spietata, che contraddice in parte i luoghi comuni: lo Stato centralista, ereditato da Napoleone, perde colpi, non è più adeguato a una società che invoca partecipazione e decentramento, costa troppo, tanto da aver stravolto i principi per cui era concepito. E' sempre meno uno Stato che investe e sempre più uno Stato che gestisce. Con l'acqua alla gola, assediato da resistenze corporative che si scontrano con propositi di riforma e malcontento dei cittadini, che vorrebbero pagare meno tasse mantenendo le garanzie dello Stato protettore, del «socialismo» realizzato in democrazia, caro ovviamente alla gauche ma anche alla tradizione gollista. Lo scontro è arrivato proprio in queste ore all'Assemblea nazionale, dove il governo vorrebbe imporre il voto di fiducia sul capitolo del decentramento.

Un rompicapo su cui si è lanciato un giovane ministro di prima nomina, Renaud Dutreil, 44 anni, giurista, vicino ai centristi dell'Udf, gli alleati scomodi di Chirac. Si occupa del dicastero della Funzione pubblica e della Riforma dello Stato. «L'obiettivo è fare in pochi mesi quello che non si è riusciti a fare in tanti anni di dibattiti. Ci muoviamo su tre direttrici : il decentramento a regioni e dipartimenti, la ripartizione di risorse anche a livello locale, la gestione delle risorse umane, secondo criteri di produttività e meritocrazia analoghi al settore privato. Napoleone ci ha lasciato in eredità una struttura piramidale a immagine della struttura militare e anche un corporativismo medievale, con un migliaio di vere e proprie corporazioni, ciascuna con proprie regole, carriere, funzioni, stipendi. Si rischia la necrosi. Oggi è impossibile spostare un impiegato da un ministero all'altro o anche all'interno di uno stesso ministero».

Le corporazioni sono anche potentissime, come i sindacati. In Francia si discute ancora di servizio minimo e della retribuzione dello sciopero.
«Al servizio minimo ci stiamo arrivando anche nei trasporti. Le giornate di sciopero non saranno più pagate. E infatti ci sono meno scioperi. Ma il problema è come ridurre i costi. Lo Stato francese significa quasi cinque milioni di addetti, un quinto della forza lavoro del Paese, il più alto rapporto di insegnanti per allievo in Europa (oltre un milione), quasi il 46 per cento del prodotto interno lordo. La scommessa è come ridurre il personale, garantendo servizi laddove la domanda sociale è in crescita: istruzione, ricerca, sanità, sicurezza, giustizia»

E come pensate di vincerla?
«Già nel 2003 sono stati soppressi centomila posti. Entro il 2005, 65 mila funzionari andranno in pensione e almeno diecimila non verranno sostituiti. Altri risparmi verranno ottenuti con il taglio della spesa corrente, riduzione di sprechi, privatizzazione di servizi, vendita del patrimonio immobiliare. Lo Stato francese possiede 40 milioni di metri quadri, quasi un metro per cittadino. Molti ministeri sono alloggiati in palazzi di pregio nei centri storici, nobili, bellissimi, ma inefficienti e costosi».

In che modo pensate di aumentare la produttività?
«Introducendo criteri di meritocrazia. Abbiamo cominciato con le direzioni generali, con premi di efficienza fino al 20 per cento della retribuzione. Abbiamo introdotto il merito per équipe, legato ai risultati, per esempio nella polizia. Vorremmo anche modificare i criteri di reclutamento. In Francia, l'impiego fisso è talmente ambito che, pur di averlo, molti laureati accettano un lavoro inferiore alle loro competenze. Quindi meno interessante e frustrante. Da un lato abbiamo meno efficienza, dall'altro un senso di appartenenza che fa escludere strati sociali più deboli. Lo Stato deve favorire l'integrazione, reclutare e qualificare anche giovani non diplomati».

In pratica, la riforma sembra mettere in discussione anche un caposaldo del sistema francese: la «casta« dei funzionari e degli alti dirigenti pubblici, i cosiddetti «enarchi» usciti dalle grandi scuole d'amministrazione, spesso prestata alla politica e alla grande industria, pubblica o privata.
«I tempi sono cambiati. I migliori laureati oggi scelgono le businnes schools , internazionali o francesi. L' Ena è stata trasferita a Strasburgo e la sede di rue dell'Université è in vendita. La mia ambizione è realizzare una specie di Harvard europea della funzione pubblica, che soddisfi anche la nostalgia dello Stato investitore per grandi progetti, come l'aveva immaginato de Gaulle e come è oggi quello americano. C'è bisogno di "manager globali" che spezzino la spirale della conservazione».

D'altra parte, ogni volta che si parla di riforma dello Stato i francesi, sia come cittadini, sia come dipendenti pubblici, protestano.
«I francesi sono orgogliosi del loro Stato. Lo sono quelli che ci lavorano e i cittadini che ne ricevono mediamente buoni servizi. Il cerchio dell'immobilismo si chiude se si considera che molti cittadini sono anche funzionari. Purtroppo la ricchezza nazionale e l'equilibrio demografico non sono più compatibili con i costi. Per questo il governo è impegnato nella riforma delle pensioni e della spesa sanitaria e vuole riformare lo Stato. Dobbiamo scegliere fra la paura dei tagli della spesa e il maggior pericolo della degradazione dei servizi».

Il ministro si congeda con un omaggio all'Italia. «Il nostro riferimento per la funzione pubblica è la riforma Bassanini. Chapeau!!».

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