Da La Repubblica del 30/08/2004
Originale su http://www.repubblica.it/2004/h/sezioni/esteri/iraq32/vallifra/vallifr...

Il ricatto dell'Esercito islamico che ha rapito i due reporter rivela che l'attacco non è solo contro i paesi coinvolti

L'illusione perduta di Parigi essere invulnerabili al terrore

di Bernardo Valli

PARIGI - La Francia si scopre coinvolta in un conflitto che non ha voluto, anzi che ha condannato, opponendosi l'anno scorso, sul terreno diplomatico e dei principi, alla bellicosa America di Bush. Le disastrose conseguenze della guerra in Iraq, annunciate e paventate dal suo presidente, allora capofila delle preveggenti e inascoltate cassandre europee, l'hanno infatti raggiunta. L'hanno sorpresa, ferita e in egual misura offesa. Anche noi!

Lo stupore è stato forte, sabato sera, quando sono apparsi i video dei due giornalisti (di Le Figaro e di Radio France Internationale), rapiti e minacciati di morte dallo stesso " esercito islamico" che ha assassinato Enzo Baldoni. Quelle immagini hanno brutalmente dissipato l'illusione di essere un paese assicurato contro tutti i rischi, dal terrorismo alla presa di ostaggi.

Jacques Chirac aveva più volte esortato a non credere la Francia invulnerabile, grazie al suo rifiuto di partecipare all'avventura irachena. Lui e il suo governo avevano avvertito in più occasioni che nessuno è al riparo dal fanatismo. Molti francesi pensavano tuttavia di meritare un riguardo particolare, visti i buoni rapporti che Parigi coltiva da decenni con il mondo arabo; e la presenza sul territorio nazionale della più numerosa collettività musulmana in Europa.

Più di quattro milioni di uomini e donne che, pur non essendo un modello di integrazione sociale ( come dimostra, tra l'altro, la loro difficile convivenza con la più sparuta comunità ebraica), hanno spesso ormai la cittadinanza francese, con i diritti politici e civili che essa comporta.

L'apparizione di Christian Chesnot e di Georges Malbrunot, scomparsi dal 20 agosto, non ha concesso molto tempo alla soddisfazione di vederli ancora in vita, perché ha subito rivelato come essi non godessero di alcun privilegio, in quanto francesi; e quindi come fossero passibili di morte in quanto colpevoli di essere semplici occidentali. Cosi è cominciata l'angosciosa attesa, con nella memoria le ancora fresche immagini dell'italiano ucciso due giorni prima dagli stessi rapitori, allo scadere dell'ultimatum di quarantotto ore, identico a quello fissato per Chesnot e Malbrunot. Ed esso finisce stasera.

Non potendo imputare alla Francia una complicità con l'America, né esigere che ritiri le sue truppe dall'Iraq entro quarantotto ore, come nel caso dell'Italia gli estremisti islamici domandano alla Francia di abolire la legge che proibisce il velo musulmano nelle scuole (come del resto la kippa ebraica e le croci cristiane troppo vistose). La richiesta rivela che la loro lotta non si limita a prendere di mira i paesi coinvolti nel conflitto iracheno, ma l'insieme dell'Occidente, senza troppe distinzioni, o più semplicemente senza alcuna distinzione.

Questa conclusione può essere strumentalizzata da chi pretende che nessuno può sottrarsi al confronto tra le due civiltà. Penso al contrario che essa provi il disastro provocato dall'invasione dell'Iraq. Le cui conseguenze coinvolgono i complici come gli innocenti.

Nella Francia offesa e ferita, colpisce in queste ore il ritegno.

A giornali, radio e televisioni è stato suggerito di non alzare troppo i toni. E negli interventi degli uomini politici, al governo o all'opposizione, si nota un accurato dosaggio di parole. Le reazioni sono state immediate (ripetute riunioni d'emergenza all'hotel Matignon, sede del primo ministro, dichiarazioni e appelli alla televisione di ministri e dello stesso presidente della Repubblica, immediata partenza del ministro degli esteri per il Medio Oriente), ma in nessuna occasione è stata pronunciata una frase che potesse in qualche modo essere presa come pretesto dai rapitori per passare all'esecuzione degli ostaggi.

E' evidente che nessuno si sogna di abolire la legge sulla proibizione del velo musulmano ( votata dal Parlamento in marzo e che entrerà in vigore proprio giovedì prossimo, giorno del rientro scolastico) e tuttavia nessuno, nel chiedere ai rapitori di rilasciare gli ostaggi, ha detto perentoriamente: la legge repubblicana non si tocca. Non ce n' era bisogno. Era ben chiaro a tutti. Era implicito nelle argomentazioni.

Ma il dirlo in modo asciutto ai remoti interlocutori poco inclini alle sottigliezze, sarebbe suonata come una risposta negativa; e quindi stralciata e considerata come un rifiuto senza appello. Sarebbe apparsa più un'esibizione di fermezza rivolta al pubblico interno, che agli sbrigativi terroristi iracheni. I quali pensano sia possibile ritirare un corpo di spedizione in quarantotto ore o di abrogare sui due piedi una legge votata dal parlamento.

Chirac, come Raffarin, il primo ministro, e Villepin, il ministro degli interni, hanno spiegato agli invisibili interlocutori iracheni il significato della legge sul velo, hanno riassunto il concetto di laicità, grazie al quale gli uomini di qualsiasi religione possono convivere e rispettarsi. E hanno altresì ricordato come milioni di musulmani lavorano e praticano la loro religione nella Francia repubblicana.

Dominique de Villepin, il ministro degli interni, era circondato dai rappresentanti della comunità musulmana, tra i quali non mancavano coloro che nei mesi scorsi si erano opposti, spesso con manifestazioni di protesta, alla legge sul velo.

Una donna che lo esibiva ha detto: "Non voglio che venga insanguinato". E insieme ai capi di grandi moschee, come quella di Parigi, e a intellettuali arabi, ha chiesto la liberazione di Chesnot e Malbrunot.

La partecipazione di personalità musulmane ai pubblici appelli rivolti ai rapitori era - ed è- dovuta anche al timore che la sorte riservata ai due giornalisti ricada domani sulla loro comunità. Se si risolve nel peggiore dei modi, il dramma può creare forti traumi nella multireligiosa società francese. Ma, in questa fase, la Parigi musulmana serve da ponte nell'angoscioso dialogo con gli estremisti iracheni, e con tutti coloro che in Medio Oriente possono in qualche modo influenzarli.

La mobilitazione, anche fuori dai confini nazionali, è imponente. Sollecitati da affiliati parigini, i Fratelli Musulmani del Cairo, considerati gli antenati del fondamentalismo islamico, hanno espresso la loro solidarietà alla Francia e hanno promesso di intervenire. L'ampia ramificazione della diplomazia francese in quella regione si è messa in modo. Il ministro degli esteri Barnier è partito per il Medio Oriente al fine di dinamizzarla. Se la sua azione risultasse efficace, se riuscisse a salvare la vita dei due ostaggi, l'offesa iniziale alla Francia si trasformerebbe in un successo del rapporto tra l'Europa e il mondo arabo moderato.

È quel che ci auguriamo, sia per i colleghi rapiti sia per le relazioni tra le due civiltà, che noi non pensiamo siano in guerra

Il caso francese ci riporta a quello italiano, ormai senza speranza, ma troppo vicino per non essere evocato. Subito, quando non si era ancora risolto tragicamente, mi sono interrogato sul come veniva trattato. Mi ha sconcertato in particolare il nostro ministro degli esteri che a una televisione araba (Al Jazeera), mentre scade l'ultimatum, dice ai rapitori che le nostre truppe non saranno ritirate ( se non dietro richiesta del governo provvisorio, pro americano di Ayad Allawi). È questa la finezza di un diplomatico?

Il rappresentante di un governo democratico aveva bisogno di dire a sconosciuti terroristi che una decisione del Parlamento, giusta o sbagliata, non può essere abrogata in quarantotto ore? Non ha pensato che la sua dichiarazione sarebbe stata interpretata come un " no". Forse il ministro voleva dimostrare la sua fermezza agli americani e ai suoi elettori. Ma il suo compito era di salvare un ostaggio italiano, non di rispondere a un ultimatum di fanatici senza nome. E a questi ultimi non doveva dire quel che era chiaro, scontato a noi tutti, ma non a loro che avrebbero preso le parole alla lettera. Speri che i colleghi francesi siano più fortunati.

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