Da Corriere della Sera del 07/09/2004

Nel triangolo sunnita i capi della guerriglia hanno decapitato decine di «collaborazionisti», vendendo poi i video con le esecuzioni

Trappola esplosiva a Falluja, uccisi sette marines americani

di Lorenzo Cremonesi

BAGDAD - Ancora durissimi scontri nel famigerato «triangolo sunnita». Ieri almeno 7 marines e 3 agenti della Guardia Nazionale irachena hanno perso la vita in un attentato kamikaze contro il loro convoglio che stava transitando presso il villaggio di Saklawiya. «Un’auto imbottita di esplosivo si è lanciata contro i nostri mezzi. Un’esplosione violentissima. Due gipponi Humvee sono andati completamente distrutti. Abbiamo trovato i pezzi dei loro motori a decine di metri di distanza. Era dall’inizio di maggio che non avevamo così tanti morti americani in un solo giorno», confermano i portavoce del Primo corpo di spedizione Marines, stazionato nella provincia occidentale della regione di Anbar.

Regione maledetta. Le truppe americane hanno ribattezzato Saklawiya «Suicide Camp», chi vi è assegnato va direttamente in prima linea. A una decina di chilometri si trova l’enclave di Falluja, che sin dal giugno 2003 è diventata il cuore della guerriglia e dei gruppi terroristi più estremi. Dopo tre settimane d’assedio e furiosi combattimenti in aprile, i comandi Usa si erano illusi di aver trovato la soluzione: avevano lasciato la città nelle mani di un corpo di polizia iracheno agli ordini di ex generali dell’esercito di Saddam Hussein. A loro il compito di controllare il nuovo connubio tra gruppi del radicalismo islamico e irriducibili del vecchio regime. La regione di Falluja avrebbe dovuto diventare l’esempio trainante di una nuova politica, quella del reintegro delle persone, non troppo compromesse, legate al Baath e al vecchio regime.

I fatti provano che è stata una chimera. La realtà di Falluja negli ultimi tempi era stata offuscata dalle cronache di sangue provenienti da Najaf. Sembrava che il problema sciita dovesse diventare più urgente di quello sunnita. Ma l'attentato di ieri prova ciò che gli osservatori più attenti vanno ripetendo da qualche tempo: Falluja è tornata a essere terreno di battaglia. Il 30 agosto anche il New York Times segnalava che qui, come del resto in altre città sunnite come Samarra, Ramadi e in generale gran parte della provincia di Anbar, sta crescendo una serie di poteri locali del «genere talebano» legati alla guerriglia e assolutamente indipendenti dal governo ad interim del primo ministro Iyad Allawi. I soldati americani restano chiusi nei loro fortini in mezzo al deserto. Non si addentrano nelle zone abitate, se non per pattugliamenti veloci e rischiosi. E la nuova polizia irachena qui si è sciolta come neve al sole. Chi non accetta il diktat dei guerriglieri e degli imam nelle moschee viene assassinato senza troppi complimenti. Nei mercati della zona per pochi dinari è possibile acquistare i video delle loro esecuzioni.

Governatori, commissari di polizia, uomini d'affari e in genere chiunque venga accusato di «collaborazionismo con gli occupanti» viene filmato mentre in ginocchio chiede pietà, confessa pubblicamente le sue «colpe» e infine muore decapitato tra gli inni religiosi dei suoi boia. I pochi che sono risparmiati, dopo il «pentimento» pubblico, sono ripresi mentre tornano a casa a riabbracciare i loro cari. Il messaggio è un monito per chiunque: state con noi, non collaborate con le nuove autorità di Bagdad, ne va della vostra vita.

Conseguenza diretta è la pesante ipoteca che pesa sul progetto di tenere le elezioni generali entro la fine di gennaio. «Allawi le ha promesse. Ora deve condurre il Paese al voto, ne va della legittimità dell'intero processo democratico», osservano i commentatori locali. Chi spara ne è ben consapevole e continuerà a uccidere.

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