Da Corriere della Sera del 08/09/2004

Battaglia a Sadr City, uccisi 40 miliziani e 2 militari Usa. Bombardamenti a Falluja. Ma il presidente è in testa nei sondaggi

E l’America piange il millesimo caduto in Iraq

Kerry attacca Bush: «Ha sbagliato tutto, io voglio riportare i nostri soldati a casa entro quattro anni»

di Ennio Caretto

WASHINGTON - Si combatte da ieri a Sadr City, il sobborgo sciita di Bagdad abitato da due milioni di persone. Sono morti 40 miliziani e due soldati americani e si parla di centinaia di feriti, anche civili.

Una normale giornata di guerra, in apparenza, che ha visto anche il bombardamento di Falluja da parte dei piloti Usa. Ma con il caduto di Sadr City, le perdite degli Stati Uniti nei 537 giorni della guerra sono salite a 1000, un tragico traguardo. E' una soglia traumatica per una nazione che, per ordine del Pentagono, non ha potuto assistere al ritorno delle bare. Ora il fronte interno sulla guerra dell'Iraq, che Bush era riuscito a far tacere per qualche tempo, rischia di riaprirsi.

John Kerry, il candidato democratico alla Casa Bianca, l’ha infatti rievocata promettendo implicitamente «mille e non più mille» in una serie d'improvvisi attacchi a «George W.», il presidente. «L'iniziale W. - ha gridato - sta per wrong» (sbagliato). «Era sbagliata la guerra, era sbagliato il Paese, era sbagliato il momento. Bush ha fatto le scelte sbagliate, ci porta nella direzione sbagliata». E, per la prima volta, si è impegnato, se eletto, a riportare a casa i soldati americani entro quattro anni: «Il mio obiettivo sarebbe di rimpatriarli prima della fine del mio mandato. Lo credo possibile. Dobbiamo dimostrare al mondo di non volere mantenere basi e truppe in Iraq a lungo termine». E' la stessa strategia del repubblicano Richard Nixon alle elezioni del '68 sulla guerra del Vietnam (Nixon le vinse e mantenne la parola, fece la pace nel '73).

In passato, Kerry aveva soltanto prospettato un graduale disimpegno Usa dall'Iraq, senza scadenze precise, dicendo che avrebbe persuaso gli alleati europei e arabi e l'Onu ad assumersi l'onere della sua stabilità a poco a poco. Questa volta, ha esposto tre ragioni per uscire il più in fretta possibile dal «pantano», un termine associato al conflitto vietnamita: «Bush non ha formato una vera coalizione, il 90 per cento delle perdite sono state nostre. La guerra è una catastrofe, il presidente non ha un piano per troncarla. E il suo costo è eccessivo: 200 miliardi di dollari sinora, miliardi sottratti alla assistenza sociale e all'economia». Kerry sembra avere fatto la sua scelta: denunciare da un lato «il fiasco iracheno» dell'amministrazione e - come gli ha consigliato l'ex presidente Bill Clinton - martellare Bush sui problemi economici e sociali.

Ma Bush non intende lasciargli spazio sull'Iraq. Ha reagito con furia alla riapertura del fronte interno: «Il mio avversario - ripete a ogni comizio - ha cambiato daccapo posizione. Ha nuovi consiglieri e nuove idee sull'Iraq, come al solito è una banderuola. Prima ha votato per la guerra, ma poi si è opposto al finanziamento delle truppe, affermando che era una questione complicata. Non vi è nulla di complicato nell'appoggiare i nostri soldati. La guerra era giusta e con Saddam Hussein in prigione l'America e il mondo sono più sicuri. Verremo via quando avremo ultimato la nostra missione». Il vice Dick Cheney lo spalleggia: «Il senatore insulta i membri della nostra coalizione. Si dia al surf anziché alla diplomazia» (il surf è un hobby di Kerry).

Dai sondaggi, l'affondo di Kerry contro Bush non produce ancora frutti: quello Cnn , Gallup e Usa Today attribuisce al presidente un vantaggio di 7 punti, inferiore sì agli 11 punti delle riviste Time e Newsweek , ma sempre sostanzioso. Mette però l'amministrazione sulla difensiva: ieri Rumsfeld ha sostenuto che i 1000 morti sono stati un prezzo modesto da pagare per la distruzione dei talebani e di Al Qaeda e la liberazione dell'Iraq. Inoltre, i problemi economici e sociali americani, assommati al conflitto iracheno, potrebbero lasciare un segno: «Kerry sottolinei - ha scritto l'economista Paul Krugman - che, contrariamente a quanto disse oltre un anno fa, Bush non ha compiuto la sua missione né in Iraq né in casa».

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