Da Corriere della Sera del 13/09/2004

Il premier Allawi afferma che le vittime del terrorismo sono 3000. Powell annuncia un piano per riportare il Paese sotto controllo

Battaglia nel cuore di Bagdad, decine di morti

Gli elicotteri Usa sparano tra la folla, ucciso giornalista che trasmetteva in diretta. Kamikaze ad Abu Ghraib

di Lorenzo Cremonesi

BAGDAD - L'amministrazione americana promette di riportare «sotto controllo» le regioni cadute nelle mani della guerriglia. Ma, nel frattempo, il caos raggiunge il centro di Bagdad e si materializza in scene di guerra guerreggiata a poche centinaia di metri dalla «zona verde», gli ex palazzi di Saddam Hussein dove sono acquartierati il governo ad interim di Iyad Allawi e i comandi Usa.

Da venerdì sera, la capitale è scossa da forti esplosioni e rumori di spari come rare volte si sono sentiti dalla fine della fase calda dell'invasione americana il 9 aprile 2003. L'offensiva inizia con tiri di mortaio verso la «green zone» e nei pressi degli hotel Palestine e Sheraton già l'altra sera verso le 23. Nulla di nuovo: incidenti di normale amministrazione sin dallo scorso inverno. Ma la situazione precipita verso l'alba, quando nuovi colpi molto forti si odono nella zona dei palazzi presidenziali e si allargano a parte del centro sull'altra sponda del fiume. In questa fase, muoiono almeno 5 iracheni che dormivano sui tetti di alcuni palazzi. Una consuetudine nella Bagdad estiva per cercare un po’ di frescura durante la notte.

Dalle nostre finestre al Palestine si vedono almeno una decina di elicotteri volare rasoterra, impennarsi, infine scendere in picchiata con i cannoncini che sparano raffiche di piombo. In particolare sorvolano la zona di Haifa Street, non lontano dall'hotel Mansur, un paio di chilometri dagli uffici del governo. Un gruppo di rivoltosi armati di mitra e Rpg è riuscito a far saltare un carro Usa del tipo Bradley.

I quattro soldati all'interno sono leggermente feriti, ma riescono a venir fuori. Li insegue allora una folla impazzita di gioia. Il linciaggio è nell'aria. Scene che ricordano Mogadiscio una dozzina d'anni fa. Intervengono gli elicotteri. Nella fase più delicata sparano missili sulla folla. «Lo abbiamo fatto per distruggere il carro armato. I rivoltosi stavano cercando di prendere armi e munizioni rimaste all'interno», spiegheranno più tardi i portavoce Usa. Ma, secondo la gente, l'elicottero mira proprio dove i rivoltosi si sono radunati per cantare e ballare vicino alla loro preda di guerra in fiamme. I morti sono una decina. Viene ucciso «in diretta» anche un reporter della tv araba Al Arabiya , Mazen Al-Tumaizi, palestinese di 24 anni. Le immagini riprese dal suo operatore sono agghiaccianti. Il giornalista sta parlando al microfono di fronte alla telecamera. All'improvviso, lo scoppio di un missile alle sue spalle. Lui è colpito da un nugolo di schegge. «Muoio, sto morendo», grida mentre si accascia al suolo. Con lui sono feriti leggermente anche due fotografi. Si spara nel frattempo a Sadr City, il quartiere sciita della capitale, che ormai da settimane è diventato terra di nessuno e dove gli americani si avventurano solo in tank, stando bene attenti a evitare i cumuli di immondizie dove sono nascoste le mine. In tutto a Bagdad i morti potrebbero essere quasi 30. I feriti oltre 100.

Ma le violenze sono molto più estese. Di fronte all'ormai tristemente famoso carcere di Abu Ghraib, una ventina di chilometri a ovest di Bagdad, un attentatore suicida cerca di scagliarsi con la sua auto imbottita di esplosivo contro la porta centrale presidiata dalle sentinelle americane. Ma viene visto in tempo. Gli sparano contro. E lui esplode in aperta campagna causando solo 3 feriti tra i passanti. Anche a Ramadi, nella zona sunnita dove da tempo americani e poliziotti iracheni non entrano, si registrano 10 morti e 40 feriti. A Hilla, 100 chilometri a sud della capitale, 3 soldati polacchi del contingente formato da circa 2.400 uomini cadono durante un'imboscata contro il loro convoglio (sono 13 i loro morti sino a oggi).

Difficile valutare la validità della doppia rivendicazione su Internet del gruppo guidato da Abu Musab al-Zarqawi (legato ad Al Qaeda), che proclama la paternità dei numerosi attacchi di ieri. Sta di fatto che l'Iraq è oggi più destabilizzato che mai. Secondo Iyad Allawi, «gli attentati terroristici» avrebbero causato 3.000 morti e 12.000 feriti tra i civili. Non specifica in che lasso di tempo, presumibilmente dalla fine della guerra. Ma Colin Powell annuncia un'offensiva a breve.

«Abbiamo un piano per riportare l'Iraq sotto controllo e garantire le elezioni che si terranno entro il 31 gennaio 2005», dice il segretario di Stato Usa. A guardare Bagdad nelle ultime ore è sempre più difficile credergli.

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