Da La Repubblica del 13/09/2004

Punire i crimini del franchismo ultima sfida della nuova Spagna

200mila prigionieri vennero uccisi nei quattro anni successivi alla guerra civile
La Commissione nominata da Zapatero dovrà stabilire i risarcimenti per le vittime
Anche nel 1975, l´anno in cui morì, più di mille persone furono arrestate per motivi politici, cinque vennero fucilate
Nel 1939 un milione di spagnoli fuggì in esilio, più di 300 mila vennero cacciati dai posti di lavoro

di Guido Rampoldi

FORSE non è eterna la passeggiata a cavallo del generalissimo Francisco Franco, tuttora in sella al suo destriero proprio nel centro di Madrid, davanti al ministero dell´Ambiente, con il bastone del comando e i tratti grevi nobilitati da una magrezza mistica. Dimenticato ma insepolto, l´unico sterminatore del Novecento cui in Europa sia ancora concessa una carriera statuaria infatti ora rischia d´essere prima disarcionato e poi liquefatto in una fonderia per ordine del governo. Un´altra trentina di Exellentissimi, marmorei o bronzei, appiedati o equestri, tutti appostati in strade e piazze del contado, potrebbero presto seguirne la sorte. Ripulire il panorama dalle effigie pubbliche di Franco è infatti una delle richieste dei familiari delle vittime della dittatura, cui ora Zapatero promette di dare ascolto. Per trent´anni inascoltata, presto l´associazione dei familiari potrà finalmente presentare le sue richieste ad una commissione interministeriale. E allora tornerà attuale il dubbio su cosa fare di questi Franco ormai innocui ma ugualmente fastidiosi. Abbatterli? Oppure, come suggeriscono alcuni, trasformarli in monumenti all´infamia semplicemente corredandoli d´alcune cifre relative alla carriera dello sterminatore?

Lo storico americano Gabriel Jackson valuta in duecentomila i prigionieri e le prigioniere di Franco morti nei quattro anni successivi alla guerra civile, dal 1939 al 1943. Un quarto almeno furono fucilati al termine di processi sommari. I franchisti uccisero sistematicamente i quadri dei partiti che aderivano al Fronte popolare, inclusi quelli d´ispirazione liberale; i massoni; i sindacalisti della Cnt, anarchica, e della Ugt, socialista; i membri delle giurie miste che avevano accolto le richieste delle Commisiones obreras, le "commissioni operaie".

Gli altri centocinquantamila prigionieri furono assassinati alla spicciolata, chi ucciso sotto tortura, chi ammazzato impunemente: i più furono lasciati morire di stenti o di malattia durante la prigionia. Questa ferocia si esercitava su inermi e sconfitti, ormai non più in grado di reagire.

Altri duecentomila spagnoli furono uccisi durante la guerra civile nelle zone controllate dai franchisti. Al confronto, le vittime della repressione nelle zone controllate dai repubblicani furono un decimo, ventimila; centomila i caduti in combattimento dall´una e dall´altra parte; diecimila le vittime dei bombardieri italiani e tedeschi. Nel massacro i più feroci non furono i "falangisti", equivalente iberico dei fascisti, come si potrebbe supporre, ma piuttosto i "carlisti", cattolici assai pii però convinti d´essere i paladini della "civiltà" aggredita dalle sataniche forze del Male. Quanto a Franco, non era né carlista né falangista: apparteneva piuttosto al novero di quei militari golpisti d´infimo livello intellettuale, ma furbissimi. Un diplomatico olandese che lo conobbe racconta nei suoi diari d´un uomo di spaventosa mediocrità. Però il Generalissimo ebbe anche un formidabile intuito per il potere. Usò la Chiesa, che si lasciò usare. Si tenne a distanza di prudenza dal falangismo. Con Hitler e Mussolini, cui doveva la vittoria nella guerra civile, intrattenne una relazione astuta, o semplicemente fortunata. Nel 1939 la Spagna era un Paese allo stremo: anche volendolo, non avrebbe potuto entrare in guerra al fianco dei suoi alleati europei. Così Franco scelse una neutralità obbligata dagli eventi: e fu uno straordinario colpo di fortuna. Intorno al 1942-43, quando l´andamento della guerra materializzò la possibilità che le potenze dell´Asse perdessero la guerra, Franco pose fine allo sterminio dei combattenti "repubblicani", vuoi perché non ne restavano molti, vuoi perché le sconfitte tedesche e italiane gli suggerivano cautela. Chi era ancora vivo e non era riparato all´estero (a scegliere l´esilio furono un milione di spagnoli, nel 1936 il 4% della popolazione) fu comunque espulso dal posto di lavoro (trecentomila) e perseguitato in vario modo. In seguito la repressione perse slancio ma non si estinse del tutto. Ancora nel 1975, l´anno in cui Franco morì, 1028 spagnoli furono arrestati per motivi politici, e cinque fucilati.

A fronte di tutto questo è sorprendente che la Spagna, unico Paese dell´Unione, tuttora tolleri il culto d´uno sterminatore. Nei paesi di campagna non è rarissimo trovare busti o piazze che tuttora ricordano il Generalissimo o suoi sodali. Alle loro vittime, tra i quali un nonno di Zapatero, nessuno ha mai chiesto scusa. E anzi parte della storiografia spagnola è riuscita a propagandare con successo la tesi per la quale il franchismo fu il "male minore", essendo l´alternativa, così affermavano, il comunismo totalitario (in realtà all´inizio della guerra civile i comunisti erano irrilevanti e gli anarchici incontrolados, assidui fucilatori di preti, una presenza nefasta ma periferica; il peso dei comunisti crebbe a dismisura solo in seguito, quando i governi socialisti di Parigi e Londra rifiutarono di aiutare la Repubblica e questa fu costretta a consegnarsi a chi invece accettava di venderle armi: l´Urss). Ma neppure questo falso riesce a spiegare lo sterminio dei prigionieri: anche fingendo di credere che la dittatura fosse stata un male necessario, cosa vi era di "necessario" nell´eliminazione di duecentomila vinti?

Il culto pubblico di Franco è un prodotto indesiderato ma inevitabile del pacto del olvido, quel patto per il quale sul finire degli anni Settanta, cominciata la transizione verso la democrazia, tutti i partiti ritennero saggio non riaprire le vecchie ferite. Questo non impedì agli studiosi di produrre le migliaia di testi storici, in gran parte antifranchisti, apparsi nelle librerie spagnole negli ultimi trent´anni. Ma evitò ai complici di Franco, tra cui non pochi militari, d´essere puniti come corresponsabili; e di conseguenza negò alle vittime una qualsiasi forma di riparazione. Il bilancio politico di quest´amnesia di Stato è controverso. Da una parte la transizione non è stata inceppata da turbolenze e ha prodotto una democrazia salda. Non è del tutto chiaro quali siano consapevolezza e valori delle generazioni giovani, dove è maggioritaria l´impressione che il franchismo fu un autoritarismo blando. Ma la destra che ha intercettato il voto d´una parte di quella gioventù, non ha alcun legame ideologico col franchismo. E nel complesso è molto più seria, sobria ed europea della destra italiana.

Però l´amnesia dello Stato ha avuto un prezzo alto. La rinuncia della democrazia spagnola ad una condanna inequivoca del franchismo e dei franchisti ha permesso al secessionismo basco di propalare con successo la sua grande menzogna, e cioè l´idea che esista una continuità tra la Spagna di Franco e la Spagna democratica: l´una e l´altra sarebbero forme diverse della stessa Spagna castigliana, violenta, imperiale, nemica. A questa percezione certo contribuì il terribile errore del primo governo Gonzalez, quando, cedendo a pressioni militari, autorizzò operazioni poliziesche che comportarono gli assassini d´una trentina di presunti militanti dell´Eta.

Nel 2002 un testo parlamentare votato anche dal Pp per la prima volta bollava come golpista la sollevazione di Franco contro la Repubblica del 1936. Adoperandosi perché finalmente sia resa piena giustizia alle vittime del franchismo Zapatero strappa all´indipendentismo basco uno strumento affilato per manipolare e instupidire. Sul lungo periodo questo potrebbe aiutare il governo spagnolo a neutralizzare quell´etnicismo.

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