Da La Repubblica del 10/09/2004
Originale su http://www.repubblica.it/2004/h/sezioni/esteri/iraq32/comandantiterr/c...

IL COMMENTO

I comandanti del terrore

di Renzo Guolo

ANCORA una volta, alla vigilia dell'anniversario dell'11 settembre, al Qaeda fa sentire la sua voce. L'anno scorso fu il "video della montagna" a immortalare Osama bin Laden e Ayman Al Zawahiri mentre camminavano tra le rocce del Waziristan. Un messaggio che voleva tranquillizzare i sostenitori, mostrando la sopravvivenza fisica della leadership storica dell'organizzazione, braccata da due anni dalle forze speciali americane.

Nel messaggio audio che accompagnava il video l'ideologo egiziano, dopo aver promesso all'Occidente una risposta "epocale" nel caso di una "nuova aggressione" contro i musulmani, esortava i mujahiddin a seppellire gli americani "nel cimitero dell'Iraq". Questa volta la vera mente di Al Qaeda cerca di galvanizzare la comunità del fronte jihadista.

Ripreso nella ritrovata iconografia qaedista, Zawahiri - turbante bianco e fucile al suo fianco - comunica a seguaci e simpatizzanti che gli Stati Uniti sono "sull'orlo della sconfitta". In Iraq come in Afghanistan. L'ideologo egiziano offre della situazione sul campo una valutazione politica e militare. Gli americani, dice, si trovano fra due fuochi: "Se ci resteranno, sanguineranno fino alla morte; se si ritireranno avranno perduto tutto". Una affermazione non inaspettata nell'analisi del leader jihadista. Per il quale una guerra asimmetrica non potrà mai essere vinta con una risposta convenzionale. Fu Zawahiri a prendere atto delle sconfitte delle forze jihadiste a livello nazionale e teorizzare la necessità di portare lo scontro sul piano globale, de-territorializzando la guerra e rendendola extrastatale.

Secondo Zawahiri la guerriglia logorerà gli americani: nell'Afghanistan tornato in parte sotto il controllo dei Taleban e dei suoi alleati; e nell'Iraq messo sotto tiro dalla nuova internazionale islamista affluita nella terra dell'antico Califfato. Una guerra che potrebbe durare anni e che l'America forse non potrà reggere, sotto il peso schiacciante dei suoi costi umani e di una vocazione imperiale che potrebbe vacillare. In quel caso, afferma Zawahiri, l'America avrà subìto una sconfitta storica. Destinata a mutare, come già quella sovietica alle pendici dell'Hindu Kush, gli equilibri geopolitici mondiali.

Il messaggio dell'ideologo egiziano cade in un momento in cui la sua analisi è una sensazione diffusa. In Afghanistan il controllo di intere province sfugge agli americani. Così come in Iraq, dove da tempo i generali ammettono che la "guerra leggera" di Rumsfeld non permette di imbrigliare la guerriglia. Il video di Zawahiri incita i mujahiddin a non mollare proprio ora che il quadro strategico è mutato. Ma la nuova apparizione del leader jihadista, invecchiato e provato dalla dura clandestinità, solleva anche nuovi interrogativi sulla sorte di Bin Laden, del quale non si ha più prova certa della sua sopravvivenza dopo l'offerta di tregua all'Europa della primavera scorsa.

Inoltre, il messaggio di Zawahiri registra le posizioni all'interno della gerarchia jihadista. Il numero due di Al Qaeda mette sullo stesso piano la jihad in Afghanistan e Iraq. E' una risposta indiretta al ruolo assunto in campo radicale da Abu Mussab al Zarkawi, leader di Tawhid wal Jihad che da sempre ritiene, contrariamente a Zawahiri, che sia fondamentale sottrarre ai "crociati" e ai loro alleati musulmani "apostati" il maggior numero di paesi della Casa dell'Islam prima di portare l'offensiva definitiva contro l'America. La guerra in Iraq è stata l'occasione per rilanciare la sua linea e i risultati sembrano, drammaticamente, dargli ragione.

Gli americani sanguinano davvero nelle città del Triangolo sunnita. E a Falluja e Samarra, Tawhid wal Jihad ha proclamato l'emirato. L'Iraq è diventato l'Afghanistan della nuova generazione jihadista. Raccogliendo la sfida irachena Zarkawi ha sfidato la leadership storica di Al Qaeda, mostrando come il Nemico vada affrontato apertamente. Sul campo di battaglia e non solo con il terrore nei cieli o con gli shahid. È sul campo di battaglia che si conquista la leadership del movimento jihadista.

Zawahiri al contrario è parso in passato assai scettico sugli esiti di uno scontro che si gioca su un terreno tradizionalmente favorevole alle forze occidentali. Per i leader storici qaedisti l'esportazione del terrorismo sembra l'unica arma capace di indebolire la morsa occidentale sul mondo islamico. Da qui la necessità di nuove azioni su larga scala. In America ma anche in un'Europa che ha lasciato cadere l'offerta di tregua.

Un nuovo attacco terroristico in grande stile in Occidente avrebbe necessariamente, tra gli altri effetti, quello di ridimensionare il peso del teatro iracheno e, almeno temporaneamente, quello della linea Zarkawi. Ma l'evolversi della "campagna di Mesopotamia" e la sua nuova centralità ri-gerarchizza, di fatto, i criteri di selezione nella successione a Bin Laden. Così Zawahiri parla anche alla galassia jihadista, annunciando che sotto il suo comando parte dell'Afghanistan è tornato sotto mani amiche. Una sfida nella sfida, quella dei due comandanti del terrore, che l'Occidente guarda incerto e attonito.

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