Da Corriere della Sera del 10/09/2004

Ostilità e illusioni

Se il mondo vota Kerry e gli Usa no

di Gianni Riotta

Il mondo vota per il democratico John Kerry, gli americani per il repubblicano George W. Bush. Due studi internazionali, uno redatto da GlobeScan l'altro dal German Marshall Fund e Compagnia di San Paolo, provano che il gelo sull'Atlantico non è finito e si allarga ad altri continenti. Trenta Paesi voterebbero per Kerry, con solo cinque a favore di Bush. La politica estera del presidente è bocciata da otto francesi e tedeschi su dieci, dalla maggioranza assoluta dei messicani e dei cinesi. Anche Paesi alleati e impegnati nella coalizione che fronteggia la guerriglia in Iraq, Italia e Gran Bretagna, sono ostili alla dottrina Bush. Al tempo stesso il presidente va in testa nei sondaggi contro lo sfidante Kerry, da un massimo di 11 punti assegnato dal settimanale Time , a un più modesto 2 per cento di Zogby .

Che succede? Ha ragione lo studioso Robert Kagan nella sua famosa battuta «gli americani vengono da Marte e gli europei da Venere»? Il mondo s'è davvero diviso tra cowboy guerrafondai e europei intenti a mangiare cornetti? La realtà non è semplice. La frattura atlantica non isola Stati Uniti ed Europa, ma attraversa anche l'America. Guardate le cifre: se l'84 per cento dei repubblicani Usa si dice disposto a ignorare il giudizio delle Nazioni Unite in tempi di crisi, il 60 per cento dei democratici tiene sempre all'approvazione del Consiglio di sicurezza. Una percentuale «europea», come quella che dice no alle truppe Usa in Iraq, il 63 per cento dei democratici, contro il sostegno alla guerra dell'83 per cento dei repubblicani.

Il motto di Kagan andrebbe rivisitato «I repubblicani americani e alcuni governi europei vengono da Marte, i democratici americani e la gran parte dell'opinione pubblica europea da Venere».

Bush ha preso il largo nei sondaggi grazie a tre processi: 1) alla sua Convenzione di New York il messaggio è stato unanime, con noi l'America è più sicura, fino alla battutaccia del vicepresidente Cheney, eleggere Kerry porterà a nuovi attacchi terroristici; 2) la strage di Beslan ha dato l'impressione di una vera offensiva globale della jihad islamica; 3) Kerry non ha articolato una credibile alternativa sull’Iraq, e gli elettori moderati finiscono per confermare, magari senza entusiasmo, il presidente.

Il vero rischio dell'umore è cosa accadrà il 2 novembre. Se Bush tornerà alla Casa Bianca sarà cosciente che la stragrande maggioranza dei suoi elettori non ha a cuore il parere degli europei, mentre i consiglieri gli ricorderanno che anche nei due Paesi alleati in Iraq, Gran Bretagna e Italia, dal 50 al 60% dei cittadini favorisce una maggiore indipendenza. L'amministrazione Bush II sarà probabilmente più moderata, meno esposta alle intemperanze dei neoconservatori ma non rinuncerà all'idea di promuovere la democrazia e si troverà presto zavorrata dall'antipatia europea e dalla freddezza Onu.

Gli europei però si illudono che la vittoria del «loro» John Kerry basterebbe a risolvere la crisi che increspa l'Atlantico. La vera differenza tra i due candidati è sul multilateralismo e il rispetto per l'Onu. Se, a sorpresa, Kerry ribaltasse i pronostici, la novità sarebbe la pressante richiesta di aiuti, truppe e sostegno, da Bagdad a Kabul. Sull’Iraq possono fare marcia indietro Parigi e Berlino? Direi di no. E Kerry sarebbe dunque assai amichevole con Londra e Roma, malgrado la bocciatura degli «elettori virtuali» europei. Davanti a un no aperto, o a un trascinare i piedi come gli europei della Nato han fatto per mesi sugli elicotteri da mandare in Afghanistan (pur approvati dall'Onu) la reazione dell'«europeo» Kerry sarebbe di frustrazione.

Il presidente Bush si consola con il voto della metà degli indiani e l'approvazione di filippini e polacchi. In verità la guerra al terrorismo porterà presto americani ed europei a riconsiderare i litigi fatui del 2003 e trovare, se non un piano d'azione comune, almeno un terreno di discussione. L'alleanza occidentale della guerra fredda fu assicurata dalla necessità di contenere il nemico sovietico. E anche nella guerra asimmetrica contro il terrorismo fondamentalista sarà alla fine il nemico a riavvicinare gli alleati del 1945. Basta ascoltare il nuovo nastro di al Zawahiri, viceboss di Al Qaeda, per capire perché.

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