Da La Repubblica del 21/05/2004
Originale su http://www.repubblica.it/2004/e/sezioni/politica/iraqita6/matemozio/ma...

L'unica notizia data dal premier al Parlamento è che l'inviato dell'Onu sta lavorando: notizia vecchia e superata

Una sola mozione miracolo ulivista

di Curzio Maltese

Chi si aspettava novità sull'Iraq dal discorso di Berlusconi, reduce dal viaggio in America, era destinato a rimanere deluso. Il discorso del premier alle Camere, a essere onesti, non è stato neppure un discorso di politica estera ma un comizio a uso interno, un'interminabile e lagnosa giaculatoria contro "le sinistre", colpevoli di tutto, anche di "offrire sponde politiche al terrorismo". Perfino la povera sinistra italiana, così moderata e responsabile da abbracciare l'idea del ritiro all'ultimo momento, in fondo a mesi di tormento, nonostante la forza del movimento pacifista.

Ogni politico ha le sue ossessioni e quella di Berlusconi è nota a tutti. E' la stessa che gli suggerisce, alla festa degli italoamericani di Washington, la clamorosa rivelazione "è stato il comunismo ad attaccare le Torri Gemelle", la stessa che lo porta a collezionare ex comunisti come portavoce e portaborse per il piacere di vederli insultare il proprio passato.

Però anche alle ossessioni ci dovrebbe essere un limite, quando il gioco si fa troppo serio.

Non è stato così per il Berlusconi di ritorno dagli Stati Uniti e da un tour internazionale dove, come sempre, ha dato ragione a tutti, da Putin a Blair, da Kofi Annan a Bush. L'immagine di statista internazionale, lucidata con cura dai telegiornali, si è dissolta appena ha rimesso piede in patria.

Alle Camere Berlusconi non ha informato sugli sviluppi della situazione irachena, sulle novità negative o positive. Non un cenno alle difficoltà politiche e militari dell'occupazione, alla condizione del nostro contingente a Nassiriya. Tantomeno una parola sul destino dei tre ostaggi italiani, com'era prevedibile.

Siamo fermi al "cauto ottimismo"?

Ma neppure il premier ha offerto una convincente spiegazione della famosa "svolta Onu", del perché insomma tutti di colpo si siano messi a sventolare la bandierina blu messa sotto i piedi per un anno, derisa, umiliata. Si è limitato a comunicare che dal 30 giugno la nuova parola d'ordine è "forza Onu". Con la stessa sicumera spiegava fino a una settimana fa che l'intervento dell'Onu era inutile, o peggio, e ha raccontato per mesi che il Palazzo di Vetro era il comodo rifugio di una banda di dittatori. Bush gli ha comunicato la nuova linea e lui l'ha ripetuta. Per il resto il comizio del premier è stato un tentativo di tradurre in berlusconese la retorica e la violenza ideologica dei discorsi di Bush.

Insomma un'americanata bella e buona di quelle che piacciono alle mosche cocchiere del neo conservatorismo alle vongole, con la correzione provinciale di un asse del male incentrato su Fassino e Rutelli.

Nel suo piccolo, il nostro premier è stato fedele anche all'errore capitale della Casa Bianca. Come Bush è riuscito a unificare le fazioni irachene, così Berlusconi ha compiuto il miracolo di ricomporre le litigiose opposizioni. Il contrario esatto del divide et impera. Alla Camera per la prima volta da molti anni s'è sentita una sola lingua nell'Ulivo, da Bertinotti a Boselli, passando per il discorso puntuto di Fassino, che non ha mancato di ricordare l'episodio grottesco della morte di Matteo Vanzan appresa dal premier fra i saltelli della festa milanista.

L'unica notizia data da Berlusconi in Parlamento è che l'inviato dell'Onu Brahimi sta lavorando per l'insediamento di un nuovo governo a Bagdad. Non c'era bisogno di andare a Washington, come ha notato Fassino "bastava leggere i giornali". E' una notizia vecchia di mesi e ormai imbolsita dagli eventi.

Sarà ben difficile insediare a Bagdad un governo in grado di varcare le soglie del palazzo presidenziale, come d'altra parte accade già a Kabul con il fantoccio Karzai. Sarebbe stato interessante se Berlusconi avesse chiarito davvero le possibilità concrete di una svolta, di uno spiraglio di pace; se avesse preso atto pragmaticamente del fallimento di un'ideologia e indicato una strada d'uscita dalla palude irachena. Ma allora non sarebbe stato più lui, con le sue ossessioni, gli slogan, l'abitudine e anzi il gusto di negare l'evidenza.

Dal viaggio in America Berlusconi ha portato un album di foto, tante pacche sulle spalle. Oltre l'immagine, nulla. "L'Italia rimarrà in Iraq fino alla fine". Ma si tratta, al solito, di una fermezza trattabile. La fine di chi? Di Bush e Blair, di Berlusconi stesso? Agli italo americani di Washington ha raccontato che la stragrande maggioranza dei connazionali è contraria al ritiro delle nostre truppe. Quelli lo hanno applaudito ma sarà più difficile farlo credere agli italiani di Roma, Milano e delle cento città dei comizi elettorali. Fra tre settimane si vota anche sulla crisi in Iraq e finora il partito della guerra ha sempre perso, ovunque.

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