Da Corriere della Sera del 14/09/2004
Lo sfogo dei marines: «A Falluja tutto sbagliato»
Il generale Conway: «Ad aprile ci hanno ordinato di attaccare per vendicare lo scempio dei quattro civili americani»
di Ennio Caretto
WASHINGTON - «È stato un errore attaccare in quel modo. È stato un errore fermare l’attacco dopo tre giorni». Dopo la brutale uccisione dei quattro civili americani a Falluja ad aprile, i loro corpi fatti a pezzi e appesi ai ponti da iracheni in festa, «dovevamo aspettare che la situazione si calmasse, invece di dare l’impressione di agire per vendetta».
È una confessione pacata e sorprendente quella del generale dei marines James T. Conway, l’uomo che ad aprile guidò l'assalto a Falluja. Il comandante del Primo corpo di spedizione lascia l’Iraq. Da Camp Falluja, la base americana a otto chilometri dalla roccaforte sunnita, dopo il passaggio delle consegne al suo successore, il generale Conway si difende. E denuncia gli ordini superiori che lo costrinsero prima ad attaccare, e poi a ritirarsi a metà dell’opera: «Ancora due giorni e avremmo preso l’intera città».
Sotto una tenda, davanti ai cronisti del Washington Post e del Los Angeles Times , Conway spiega quale fosse il piano con cui era tornato a Falluja nel marzo di quest’anno (dopo aver partecipato alla conquista lampo di Bagdad nel 2003): accelerare la ricostruzione nel triangolo sunnita, pacificarlo e ottenere l'appoggio della popolazione. Non è andata così. L’uccisione di quattro contractor americani, le immagini dei loro resti carbonizzati e mutilati, gli impedì di attuarlo. «L'ordine di attaccare accrebbe sicuramente l'animosità che esisteva già nei nostri confronti... Eravamo convinti del piano, volevamo che la tensione calasse prima di avviare un'offensiva e dare l'impressione che fosse una vendetta».
Naturalmente «abbiamo obbedito agli ordini», dice Conway, che torna a Washington per diventare vicedirettore operativo dello Stato maggiore. L’ufficiale dei marines sostiene che fu il generale Ricardo Sanchez, allora comandante delle truppe in Iraq, a decidere il blitz. «Noi abbiamo detto quello che ne pensavamo - dice Conway - abbiamo salutato elegantemente e siamo andati all’attacco». E lì c’è stato il secondo errore. Una volta aperte le ostilità, dichiara ora il comandante dei marines, occorreva finirle: «Quando si ordina un attacco, bisogna sapere che conseguenze avrà, e non vacillare a metà strada».
Le conseguenze si vedono ancora. Da una settimana si combatte a Falluja, una delle città irachene sotto il controllo degli insorti (il blitz di ieri, diretto a uno dei covi del leader di Al Qaeda al Zarkawi, avrebbe fatto una ventina di morti tra i civili), mentre la situazione in un’altra città più a Nord rischia di incrinare i rapporti tra Stati Uniti e Turchia (Ankara minaccia di cessare la collaborazione con gli Usa se le loro truppe non fermeranno gli attacchi contro Tal Afar, a maggioranza turcomanna). Ma «la madre di tutte le rivolte» resta Falluja dove Conway, uno degli ufficiali più rispettati delle forze armate americane, cede il comando al pari grado John Sattler. La sua intervista, sottolinea il Washington Post , «è un'accusa bruciante ai leader civili e militari e assieme una dettagliata giustificazione dell'operato dei marines, criticati per avere aggravato l'insurrezione e trasformato la città in una zona vietata alle truppe Usa».
Conway non si scaglia contro la Casa Bianca, che secondo i suoi ufficiali fu la vera responsabile dell'assalto e la ritirata da Falluja, ma dice che tutte le sue obbiezioni vennero ignorate. «Dopo la strage dei contractor volevamo condurre operazioni mirate contro i terroristi, continuando però a dialogare coi leader di Falluja. Avremmo raggiunto migliori risultati? Non lo sapremo mai».
L'assalto, sostiene Conway, «iniziò bene. Cercammo di risparmiare quanti più civili possibile e pensammo che avremmo vinto in due giorni». La denuncia di centinaia di iracheni uccisi secondo Conway non corrisponde al vero. E l'ordine di ritirarsi, dovuto alle proteste internazionali, «fu il ripensamento del lunedì mattina del match disputato la domenica». Il generale dovette negoziare un compromesso con il capo dell’intelligence Mohammed Abdullah Shahawi: ex generali iracheni proposero la creazione di una «Brigata Falluja» forte di un migliaio di uomini, che non ha impedito ai ribelli di riprendere il controllo della città. Per John Sattler, il sostituto di Conway, è una lezione da non dimenticare: «La prossima volta affronteremo Falluja in maniera diversa. Questa situazione non può continuare».
È una confessione pacata e sorprendente quella del generale dei marines James T. Conway, l’uomo che ad aprile guidò l'assalto a Falluja. Il comandante del Primo corpo di spedizione lascia l’Iraq. Da Camp Falluja, la base americana a otto chilometri dalla roccaforte sunnita, dopo il passaggio delle consegne al suo successore, il generale Conway si difende. E denuncia gli ordini superiori che lo costrinsero prima ad attaccare, e poi a ritirarsi a metà dell’opera: «Ancora due giorni e avremmo preso l’intera città».
Sotto una tenda, davanti ai cronisti del Washington Post e del Los Angeles Times , Conway spiega quale fosse il piano con cui era tornato a Falluja nel marzo di quest’anno (dopo aver partecipato alla conquista lampo di Bagdad nel 2003): accelerare la ricostruzione nel triangolo sunnita, pacificarlo e ottenere l'appoggio della popolazione. Non è andata così. L’uccisione di quattro contractor americani, le immagini dei loro resti carbonizzati e mutilati, gli impedì di attuarlo. «L'ordine di attaccare accrebbe sicuramente l'animosità che esisteva già nei nostri confronti... Eravamo convinti del piano, volevamo che la tensione calasse prima di avviare un'offensiva e dare l'impressione che fosse una vendetta».
Naturalmente «abbiamo obbedito agli ordini», dice Conway, che torna a Washington per diventare vicedirettore operativo dello Stato maggiore. L’ufficiale dei marines sostiene che fu il generale Ricardo Sanchez, allora comandante delle truppe in Iraq, a decidere il blitz. «Noi abbiamo detto quello che ne pensavamo - dice Conway - abbiamo salutato elegantemente e siamo andati all’attacco». E lì c’è stato il secondo errore. Una volta aperte le ostilità, dichiara ora il comandante dei marines, occorreva finirle: «Quando si ordina un attacco, bisogna sapere che conseguenze avrà, e non vacillare a metà strada».
Le conseguenze si vedono ancora. Da una settimana si combatte a Falluja, una delle città irachene sotto il controllo degli insorti (il blitz di ieri, diretto a uno dei covi del leader di Al Qaeda al Zarkawi, avrebbe fatto una ventina di morti tra i civili), mentre la situazione in un’altra città più a Nord rischia di incrinare i rapporti tra Stati Uniti e Turchia (Ankara minaccia di cessare la collaborazione con gli Usa se le loro truppe non fermeranno gli attacchi contro Tal Afar, a maggioranza turcomanna). Ma «la madre di tutte le rivolte» resta Falluja dove Conway, uno degli ufficiali più rispettati delle forze armate americane, cede il comando al pari grado John Sattler. La sua intervista, sottolinea il Washington Post , «è un'accusa bruciante ai leader civili e militari e assieme una dettagliata giustificazione dell'operato dei marines, criticati per avere aggravato l'insurrezione e trasformato la città in una zona vietata alle truppe Usa».
Conway non si scaglia contro la Casa Bianca, che secondo i suoi ufficiali fu la vera responsabile dell'assalto e la ritirata da Falluja, ma dice che tutte le sue obbiezioni vennero ignorate. «Dopo la strage dei contractor volevamo condurre operazioni mirate contro i terroristi, continuando però a dialogare coi leader di Falluja. Avremmo raggiunto migliori risultati? Non lo sapremo mai».
L'assalto, sostiene Conway, «iniziò bene. Cercammo di risparmiare quanti più civili possibile e pensammo che avremmo vinto in due giorni». La denuncia di centinaia di iracheni uccisi secondo Conway non corrisponde al vero. E l'ordine di ritirarsi, dovuto alle proteste internazionali, «fu il ripensamento del lunedì mattina del match disputato la domenica». Il generale dovette negoziare un compromesso con il capo dell’intelligence Mohammed Abdullah Shahawi: ex generali iracheni proposero la creazione di una «Brigata Falluja» forte di un migliaio di uomini, che non ha impedito ai ribelli di riprendere il controllo della città. Per John Sattler, il sostituto di Conway, è una lezione da non dimenticare: «La prossima volta affronteremo Falluja in maniera diversa. Questa situazione non può continuare».
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