Da Corriere della Sera del 14/09/2004

TRIANGOLO SUNNITA

Sciolta la brigata irachena

di Lorenzo Cremonesi

BAGDAD - Doveva essere l'esempio vincente del nuovo corso in Iraq. Ma dopo solo 5 mesi la «Brigata Falluja» si è sciolta nel caos, decimata dai disertori, accusata dagli americani di sostenere la guerriglia e il terrorismo. Un nuovo fallimento. Solo l'ultimo di una lunga serie di errori commessi dagli americani in questo lungo dopoguerra, che assomiglia sempre più all'incubazione di un nuovo conflitto. Molto più sanguinoso e grave di quello del marzo-aprile 2003. «La Brigata Falluja non c'è più», titolavano due giorni fa alcuni quotidiani iracheni.

I fatti sul terreno non lasciano dubbi. Circa due settimane di combattimenti hanno riportato la città e il suo circondario alla situazione di aprile. Ma con un problema in più: occorre cercare di trovare una nuova formula per tentare di riportare la calma. In aprile infatti la città fu messa a ferro e fuoco dalle truppe Usa che volevano vendicare la morte di quattro guardie di sicurezza americane cadute in un’imboscata della guerriglia e linciate dalla folla. Fu un mese di combattimenti terribili, con la popolazione in fuga (circa 60.000 persone), tanti morti. Un numero compreso tra 350 e 800 a seconda delle fonti. E gli americani che non sapevano come uscire dal pasticcio in cui si erano cacciati. Insistevano ad apparire come «liberatori». Ma il nodo di Falluja mostrava carri armati impegnati a combattere strada per strada, con vittime civili e nessuna prospettiva di risoluzione politica. Anzi, con il rischio molto concreto che per la prima volta la guerriglia sciita nel Sud di alleasse ai sunniti di Falluja nella guerra di liberazione contro gli americani.

Le armi dovevano assolutamente tacere. Come? Alla fine l'allora comandante in capo dei circa 150.000 soldati Usa in Iraq, generale Ricardo Sanchez, arrivò alla conclusione che occorreva «ripescare» ufficiali e soldati baathisti del vecchio esercito di Saddam Hussein e metterli a pattugliare Falluja. Ai primi di maggio il miracolo sembrava fatto. Un pomeriggio assolato riapparivano all'improvviso le divise verde scuro della vecchia Guardia repubblicana, il fiore all'occhiello dell'esercito di Saddam Hussein. Oltre 1.100 uomini, accolti dalla popolazione come carne della loro carne, finalmente il segno tangibile che l'Iraq stava tornando agli iracheni. Li comandava Passim Muhammad Saleh, un generale cinquantenne della Guardia repubblicana. L'accordo sembrava semplice: gli americani se ne sarebbero rimasti ai posti di blocco alla periferia. Gli iracheni dovevano invece imporsi sulla città.

Un provvedimento inteso tra l'altro a correggere il terribile errore commesso un anno prima, quando le migliaia di ex baathisti ed ex militari che si offrivano spontaneamente per bloccare i saccheggi e imporre l'ordine in nome della «dignità Irachena» erano stati tutti licenziati dagli americani in nome della volontà di imporre il nuovo corso epurando gli ufficiali e i soldati del regime.

Dopo qualche giorno però Sanchez e l'allora governatore Paul Bremer nominarono un nuovo comandante della brigata. Era Mohammad Abdul-Latif, ex generale dell'intelligence, accusato di tradimento e messo in carcere da Saddam nei primi anni Novanta.

Saleh restava al suo fianco per assicurare la fedeltà dei soldati. Ma fu tutto inutile. Tra luglio e agosto la guerriglia è ripresa a Falluja più virulenta di prima. «La brigata era salita a 1.600 effettivi. Ma non facevano nulla, restavano consegnati in caserma, attendevano. Poi molti di loro si sono uniti alla guerriglia. Hanno venduto le armi. Altri sono tornati a casa».

Da fine agosto Falluja è parte delle zone considerate fuori controllo degli americani. Gli imam nelle moschee impongono la «sharia», la legge religiosa musulmana, contro ladri, adultere e «collaboratori degli americani». Le milizie armate pattugliano gli accessi con le stesse armi che erano state donate dai Marine.

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