Da Il Manifesto del 14/09/2004

Generazione hip-hop alla corte di John Kerry

Al Black Caucus i neri d'America confermano la scelta democratica. Ma per sconfiggere l'alto astensionismo si rivolgono ai giovani. Quelli dei ghetti che riempiono le galere americane

di Marco D'Eramo

WASHINGTON - Il regista e sceneggiatore Reginad Hudlin chiede quanti hanno visto Fahrenheit 9/11. Si alza il 90% dei 500 astanti, in grandissima maggioranza giovanissimi/e. Basta questo a farti capire che sei in un raduno molto speciale, perché negli Stati uniti il film di Michael Moore, pur un successo strepitoso, è stato visto da meno di un decimo della popolazione, di cui i giovani sono la fascia meno politicizzata. Ti trovi a un dibattito sull'Hip Hop nell'ambito della 34-esima Conferenza legislativa del Gruppo parlamentare nero (curiosamente, il film di Moore si apre proprio con le immagini dei deputati neri che nel 200 tentarono d'invalidare l'elezione di Bush in Florida, ma non ci riuscirono perché costituzionalmente avevano bisogno della firma di almeno un senatore, e questa firma venne meno). Il Congressional Black Caucus dovrebbe essere bipartisan, ma è democratico perché al Congresso non c'è nessun deputato repubblicano nero. Anzi, del partito democratico i 40 membri del Black Caucus sono l'ala sinistra, e infatti costituiscono il nucleo duro dell'unica istituzione di sinistra esistente negli Stati uniti, il Congressional Progressive Caucus, il Gruppo parlamentare progressista (54 membri, solo 14 non neri). Questa è la prima ragione per cui sei al gigantesco Convention Center di Washington dove si tiene la Conferenza. Il secondo motivo è che gli elettori neri votano al 95% democratico, quindi saranno decisivi per l'elezione presidenziale: gli organizzatori avevano invitato alle loro cene ufficiali sia il presidente uscente George W. Bush, sia lo sfidante democratico, senatore del Massachusetts John Kerry, ma solo quest'ultimo ha accettato. Nello stesso tempo però i neri hanno il più alto tasso di astensione: per il 2 novembre, giorno del voto, sarà perciò decisiva la loro affluenza alle urne. Se gli attivisti saranno riusciti a mandare ai seggi anche chi di solito si astiene, cresceranno assai le - per ora in bilico - probabilità di vittoria per Kerry.

Ma appena entri, l'insolita atmosfera dell'evento va oltre le motivazioni elettorali: è un bagno ricostituente, dopo la staliniana esperienza delle due monolitiche Conventions estive, democratica e repubblicana. Più che a un congresso politico, la Conferenza somiglia a uno dei tanti raduni professionali, di dentisti o di pompieri: i quattro giorni di conferenza sono scanditi da 40 dibattiti (work shops) mentre nelle sere si succedono ricevimenti e cene ufficiali (a pagamento). L'iscrizione costa 100 dollari (ma solo 25 per seniors e juniors). Tra gli stand, convegnisti fanno le vasche negli altissimi corridoi: un chiosco della CocaCola distribuisce gratis la sua mitica bevanda, mentre sguardi vogliosi carezzano gli enormi 4x4 della General Motors. Alla «Fiera della diversità dei posti di lavoro» lo stand del Servizio segreto ti propone diverse carriere (perfino posti di lavoro temporanei), e ti dà un modulo per fare domanda. Anche lo stand della Cia ti riempie di depliant (l'agenzia cerca analisti, scienziati, ingegneri, tecnici, agenti), e di moduli per richiesta di assunzione: la gentile hostess ti sorride con grata complicità quando vede il tuo pass della stampa.

Ma è il «sentirsi tra di noi» l'atteggiamento che colpisce di più. Non dipende tanto dal colore, perché qui le gradazioni coprono tutte le sfumature di caffellatte (dal molto caffè al molto latte) fino a un'abbronzatura talmente pallida che in Europa non la noteresti. È rarissimo il nero-nero quale lo incontri in Africa, il che contrasta con la rarità dei matrimoni misti banco-nero: su 56,5 milioni di coppie sposate censite negli Usa, solo 363.000 sono coppie miste bianchi-neri, cioè lo 0,64% , ovvero una coppia su 156, mentre i neri rappresentano il 12,3% della popolazione. La rarità del colore nero-nero dimostra solo quanto i padroni bianchi abusassero delle loro schiave (la realtà storica inverte perciò il mito razzista del nero che stupra la donna bianca: negli Usa la regola è stata per tre secoli esattamente l'opposta).

A cementare la solidarietà non è perciò tanto il colore, quanto il marchio che ti viene apposto dagli altri: già ai primi del `900 Lord Bryce notava: «Nell'America latina chiunque non sia nero è bianco; nell'America teutonica chiunque non è bianco è nero». La Conferenza vezzeggia la cosiddetta «borghesia nera», in gran parte costituita da chi è capace di sfruttare i vantaggi degli svantaggi, come li definiva il grande Gunnar Myrdal: lo svantaggio della segregazione produce cliniche per soli neri, settimanali e quotidiani per soli neri, chiese per soli neri che perciò creeranno una classe di primari neri, di pastori neri, di giornalisti e direttori neri. Qui, in un dibattito si parla di usare la comunanza razziale per facilitare gli affari in Africa e nei Caraibi ai businessman neri, in un altro di ottenere concessioni per esplorare campi petroliferi e di gas in Africa per gli imprenditori neri del settore energetico.

In tutta la Conferenza ti accorgi di quanto conta il fattore vantaggi degli svantaggi, che però è solo il risvolto positivo del permanere degli svantaggi, del fatto cioè che negli Usa la segregazione razziale è ancora la norma, il mescolarsi un'eccezione, e l'integrazione un'utopia remota. Bastano i numeri del Black Caucus che comprende 40 membri su un totale di 435 deputati. Il Black Caucus è recentissimo, risale solo al 1970: prima non c'erano i numeri per costituire un gruppo parlamentare. In un altro dibattito sul ruolo politico della Hip Hop Generation ( chiamata H2G, come il simbolo chimico dell'acqua H2O), il deputato di Chicago Jesse Jackson Jr. (figlio di Jesse Jackson) dice che fino a ora, dall'indipendenza ci sono stati in tutto 110 deputati neri su un totale di 11.700 deputati, cioè lo 0,9 % (sempre meglio che al senato dove ora non c'è nessun senatore nero, e dove in tutta la storia americana ce n'è stato solo uno dal 1992 al 1998 - su 1.875 -: la senatrice dell'Illinois Carole Mosley Brown. Le donne non vanno molto meglio: 33 senatrici in tutto sempre su un totale di 1.875).

Non è però chiaro perché una Conferenza legislativa ospiti ben due eventi sull'hip hop. Uno, presieduto da Jesse Jackson Jr., discute su come canalizzare l'attivismo politico hip hop. Un'oratrice è Omarosa Manigult, celebre per essere apparsa nel reality show della Nbc The Apprentice («dove è stata scelta tra 250.000 aspiranti», dice il suo curriculum): una tale belloccia che non ti stupisce che Bill Clinton avesse trovato modo di farla assumere come impiegata alla Casa Bianca. Un altro oratore, lo scrittore, giornalista e attivista politico Kevin Powell complica ancor più il mistero: «L'hip hop non è un movimento politico, è un movimento culturale che è iniziato nei primi anni '70 a New York con la Graffiti art, con il breakdancing, e nella musica con il rapping e il Djing. Parlare di politica hip hop è come parlare di politica jazz o di politica soul».

Cominci a capirlo meglio nell'altro seminario, quello con Reginald Hudlin (43 anni, tra i suoi film House Party del 1990 e Boomerang del 1992), presieduto dalla deputatessa di Los Angeles, Maxine Waters: questo è il 14-esimo seminario consecutivo sull'hip hop che lei organizza alla Conferenza del Black Caucus. Lei fa le cose in grande e chiama a intervenire il rapper Common Common (alias Common Sense), nato a Chicago come Lonnie Rashied Lynn; la cantante Lalah Hathaway («figlia del grande Donny Hathaway» dice il curriculum), anche lei nata a Chicago; il rapper Doug Fresh, newyorkese originario delle Barbados... I gridolini eccitati delle fans accolgono la loro presentazione. La coppia di poeti cantanti di Milwaukee, costituita da Muhibb Dyer (29 anni) e Kwabena Antoine Nixon (34), esegue un duetto rap (fuori è venduto il loro CD «Niente più Bush»): «Se siete pronti a lottare, dite sì» e tutta la sala risponde «Sììì». E l'ultimo verso causa un pandemonio: «L'orologio è fissato su ora o mai più. Butta fuori Bush a novembre». Prima che ogni star intervenga, gli altoparlanti diffondono un brano della sua canzone più famosa.

Per comunicare alla sala cosa intende per «necessità di accettare i gusti dei giovani», Maxine Waters racconta che quando sua nipote viene alla Camera, i suoi onorevoli colleghi rimangono inorriditi dai vestiti e dalla pettinatura («e allora mi dico che dovrei farla venire più spesso»). A riprova, Maxine fa sfilare in sala come modelli i suoi giovani assistenti, di cui uno davvero bello, tutti con treccioline, due con treccioline fino alla vita, una ragazza con una veste africana. Cominci a capire che, con l'hip hop, Jackson e Waters affrontano in realtà il problema di come comunicare politica con le nuove generazioni. Almeno a partire dagli anni `80 e dai Public Ennemy's (la canzone It Takes a Nation of Millions to Hold Us Back), il movimento hip hop ha trasmesso un messaggio antagonista, ma è una contestazione così sistemica da diventare qualunquista, e dunque astensionista, nella politica istituzionale: i 18-24 anni costituiscono la fascia d'età che vota meno in assoluto. Non a caso il dibattito di Jackson è preceduto da un filmato che recita «Sei libero di startene buono, sei libero di non protestare, sei libero di subire...».

Ma è quando Water dice «Non permetteremo a nessuno, né al sistema giudiziario, né alla polizia, né ai politici di dividerci dai nostri ragazzi», che tu capisci la seconda ragione per cui l'hip hop è così importante per i deputati neri: la generazione hip hop è quella del grande incarceramento nero. La generazione cresciuta a pane e rap è quella che ha subito il più grande internamento razziale dal nazismo in poi. Su 2,2 milioni di detenuti statunitensi, il 45 % sono neri (che costituiscono solo il 12% della popolazione). Su 13 milioni di americani che hanno conosciuto la prigione, 6 sono neri, il che significa che un maschio adulto nero su due è stato in prigione. Nei ghetti e nelle aree povere un ragazzo nero ha più probabilità di andare in prigione che frequentare una scuola secondaria: e d'altronde, dice un'oratrice, «nei nostri quartieri la scuola è solo una prigione di minima sicurezza». Hip hop e rap sono l'unico linguaggio per comunicare con la generazione cresciuta dietro le sbarre e per affrontare il problema della loro reinserzione sociale e politica: nel seminario sulla reinserzione dei carcerati, il tono è grave, preoccupato: su 640.000 detenuti che saranno stati liberati alla fine di quest'anno, i due terzi torneranno in prigione nel giro di due anni. La prigione ha conseguenze imprevedibili anche nella sfera sessuale (vedi la prossima puntata).

La prigione è la stigmate razziale dei neri. Me ne accorgo nella faraonica metropolitana di Washington, dove chiedo informazioni a una matronale signora che mi raccomanda: «Rimetta subito via il portafoglio, perché qui questa settimana c'è una Convention di neri, ed è molto rischioso». L'ironia della sua paranoia è che, agli occhi di un bianco americano, la signora è di colore, per quanto sbiadito.

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