Da La Stampa del 15/09/2004
L’INTESA-CALMIERE DI TORINO
Certi prezzi non calano da soli
di Mario Deaglio
Per 600 prodotti che la grande distribuzione vende, con il proprio marchio, in oltre 300 supermercati dell'area torinese ci sarà, da ottobre a fine anno, una diminuzione di prezzo del 2%. Quest'intesa «sperimentale», conclusa domenica a Torino tra il ministro dell'Economia, Domenico Siniscalco, le associazioni del commercio, le autorità locali e i sindacati, può rappresentare un punto di svolta nel modo di far politica economica in Italia: un ritorno a un ruolo attivo dello Stato nelle vicende della congiuntura e una rinascita dal basso di quella «concertazione» che incontra importanti ostacoli se affrontata dall'alto.
Viene così definitivamente archiviata la convinzione che «il mercato», lasciato a se stesso, sia sempre in grado di correggere la tendenza a rialzi di prezzo non giustificati da rialzi di costi; l'Italia si aggiunge a un movimento europeo che vede i governi impegnati nella correzione delle tendenze spontanee dei prezzi e nello stimolo pubblico alla domanda.
Molti leader europei, quale che sia la parrocchia ideologica, si riconoscerebbero oggi nello slogan dell'ex primo ministro socialista francese, Jospin: sì all'economia di mercato, no alla società di mercato. E perché non si finisca nelle durezze di una società di mercato, il mercato viene dolcemente «accompagnato».
Ma perché mai servono le azioni calmieratrici del ministro, perché i supermercati non hanno pensato da soli ad abbassare i prezzi, nell'intento di strappare clienti ai concorrenti? Perché, di fronte alla pizza che, con il passaggio all'euro, raddoppia di prezzo senza giustificazione, non sorgono nuove pizzerie che vendono la pizza a un prezzo più basso?
La risposta è che i nostri mercati, a cominciare da quelli dei generi di largo consumo, sono gravemente imperfetti. Non è bastata a liberalizzarli la riforma del commercio, boicottata dalle autorità locali di mezza Italia, mentre le cosiddette «libere» professioni continuano, nonostante le riforme o i progetti di riforma, a ritenere un peccato mortale la concorrenza tra i propri membri.
L'iniziativa di Siniscalco segnala il viscerale rifiuto della società europea, e in particolare di quella italiana, a una competizione troppo spinta, la tendenza di questa società ad accumulare distorsioni, privilegi e rendite di posizione e poi a regolare i contrasti che ne derivano con un'azione dall'alto.
Sorge così la necessità di far funzionare la coesione quando viene meno la competizione. Per cui, a differenza di quanto normalmente avviene negli Stati Uniti, è necessaria una scossa al meccanismo quando s'inceppa; come un'intesa sui prezzi alla locale Camera di Commercio o, si spera, una spinta all'accordo sull'Alitalia. La medicina mercato deve continuare a essere usata ma le dosi che il paziente Italia, o Europa, è in grado di sopportare senza danni si confermano assai basse.
Viene così definitivamente archiviata la convinzione che «il mercato», lasciato a se stesso, sia sempre in grado di correggere la tendenza a rialzi di prezzo non giustificati da rialzi di costi; l'Italia si aggiunge a un movimento europeo che vede i governi impegnati nella correzione delle tendenze spontanee dei prezzi e nello stimolo pubblico alla domanda.
Molti leader europei, quale che sia la parrocchia ideologica, si riconoscerebbero oggi nello slogan dell'ex primo ministro socialista francese, Jospin: sì all'economia di mercato, no alla società di mercato. E perché non si finisca nelle durezze di una società di mercato, il mercato viene dolcemente «accompagnato».
Ma perché mai servono le azioni calmieratrici del ministro, perché i supermercati non hanno pensato da soli ad abbassare i prezzi, nell'intento di strappare clienti ai concorrenti? Perché, di fronte alla pizza che, con il passaggio all'euro, raddoppia di prezzo senza giustificazione, non sorgono nuove pizzerie che vendono la pizza a un prezzo più basso?
La risposta è che i nostri mercati, a cominciare da quelli dei generi di largo consumo, sono gravemente imperfetti. Non è bastata a liberalizzarli la riforma del commercio, boicottata dalle autorità locali di mezza Italia, mentre le cosiddette «libere» professioni continuano, nonostante le riforme o i progetti di riforma, a ritenere un peccato mortale la concorrenza tra i propri membri.
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