Da La Repubblica del 16/09/2004

La sindrome di Frankenstein della riforma costituzionale

Nell´insieme, si tratta d´interventi di puro maquillage della Carta
In "laboratorio" si è tentato di accontentare tutta la maggioranza

di Massimo Giannini

SE C´ERA ancora qualcuno che nutriva dubbi sui disastrosi effetti dell´operazione di "macelleria costituzionale" che il centrodestra si accinge a compiere alla Camera, le parole pronunciate ieri a Piacenza dal presidente della Repubblica bastano e avanzano per spazzarli via tutti. Si può magari considerare eccessiva l´iperbole cara a Giovanni Sartori, che ha parlato di «Costituzione incostituzionale». Ma di sicuro il pacchetto di riforme istituzionali del Polo, concepito nella famigerata baita di Lorenzago ed emendato almeno una dozzina di volte negli incunaboli del palazzo romano, è un mostro giuridico. Un orribile Frankenstein del diritto, che cammina malfermo e calpesta i principi e i valori della Costituzione repubblicana del 1948. Carlo Azeglio Ciampi, che su quella Costituzione ha giurato e di quella Costituzione è il garante per esplicita indicazione dell´articolo 87, avverte il pericolo. E lancia l´allarme. Ma purtroppo è molto improbabile che la maggioranza faccia qualche passo indietro nei prossimi giorni, durante l´esame a Montecitorio e dopo le modifiche concordate tra gli alleati al testo del Senato.

Qualche correttivo - apparentemente e falsamente bipartisan - è stato introdotto con i 38 emendamenti aggiunti dalla Casa delle Libertà. Per accontentare An sono state introdotte la "clausola di supremazia" (che consente allo Stato di sostituirsi, anche dal punto di vista legislativo, alle regioni e ai comuni almeno in casi eccezionali) e la clausola del cosiddetto "interesse nazionale" (che consente al governo di istituire una commissione parlamentare paritetica per l´annullamento di una legge considerata giuridicamente lesiva dell´unità del Paese). Per accontentare l´Udc, è stato aggiunto il principio di sussidiarietà, come modifica espressa all´articolo 114.

Per accontentare la Margherita, è stata riassegnata allo Stato la competenza esclusiva su materie come l´energia, i trasporti, le libere professioni, lo sport. Per accontentare Pera e Casini, sono state ritoccate e precisate un po´ meglio le rispettive competenze di Camera e Senato federale, soprattutto sul piano dell´iter legislativo.

Ma, nell´insieme, si tratta di interventi di puro maquillage costituzionale. Non se ne comprende la ragion politica, né tanto meno il costo economico. Il mostro resta un mostro, come conferma il monito del capo dello Stato. E non si capisce come faccia Silvio Berlusconi a parlare, anche stavolta, di «piena sintonia con il Quirinale». E come faccia Gianfranco Fini ad aggiungere «noi siamo a posto, il nostro è un testo equilibrato e innovatore». È vero l´esatto contrario. Dal "laboratorio" agostano messo in piedi dal ministro Calderoli esce un corpaccione instabile e informe, al quale ogni partito della maggioranza ha voluto aggiungere un pezzo. Senza immaginare una visione organica del nuovo sistema di regole che dovrebbe disciplinare la nostra democrazia almeno tendenzialmente bipolare. Senza costruire un vero Stato federale. Senza gettare le basi per un vero regime dell´alternanza. Combinando, in una miscela esplosiva e persino vagamente eversiva, pulsioni secessioniste e rigurgiti centralisti. Derive presidenzialiste e pasticci parlamentaristi.

Qui non si tratta di prendere per oro colato le grida di dolore che si levano dai banchi dell´opposizione. Anche il centrosinistra ha lasciato non poche macerie, nel campo minato delle riforme istituzionali. Non tanto la solita, esecrata Bicamerale. Quanto piuttosto la riforma "unilaterale" del Titolo V, troppo frettolosamente impapocchiata nella scorsa legislatura e "imposta" alle Camere con appena quattro voti di maggioranza, nel tentativo demagogico di drenare consensi dal bacino elettorale della Lega Nord. La questione, in questo delicatissimo caso di "manipolazione genetico-costituzionale", è addirittura prepolitica. Non a caso, in tutti questi mesi di inutile confronto-scontro sul tema, non c´è stato un solo costituzionalista che sia riuscito a spendere una parola in difesa del Frankenstein generato dai sedicenti "saggi" del centrodestra. Ad averlo bocciato senza appello non sono solo i 63 giuristi messi insieme da Astrid (i più autorevoli in Italia, ma tra i quali non mancano quelli che si potrebbero considerare più "di parte"). Dallo stesso Sartori a Giuliano Amato, da Franco Bassanini a Gaetano Azzariti, da Andrea Manzella ad Alessandro Pace. Anche i meno schierati, come Antonio Baldassarre a Carlo Fusaro, hanno parlato di un progetto «da riscrivere» e di un´intollerabile «politicizzazione della Costituzione». Anche docenti universitari meno coinvolti nel dibattito politico, come Gianni Ferrara della Sapienza di Roma o Pietro Ciarlo ordinario a Cagliari, ascoltati in audizione davanti alla Commissione affari costituzionali della Camera, non hanno potuto non segnalare gli "strappi" di un progetto di revisione che "fuoriesce dalla previsione dell´articolo 138, non soltanto per la quantità e la diversità delle norme e degli istituti che pretende di sopprimere, sostituire, distorcere, mirando al rovesciamento della Costituzione".

Il mostro è inemendabile perché origina da due "tare" iscritte nel dna di chi lo ha creato. La prima tara è quella di Umberto Bossi. Questa riforma nasce dalla volontà ottusa e inerziale della coalizione di soddisfare la pretesa leghista di sancire, attraverso la devolution, l´esistenza di una Padania libera di esistere e di legiferare come meglio crede. Il vero federalismo è tensione all´unità, non secessione mascherata. Lo stato federale è un processo che unifica e cementa comunità locali preesistenti, che pur conservando la loro individualità cedono consensualmente parti della loro sovranità, in nome di un interesse generale superiore. La devolution è l´esatto contrario: un processo che disgrega ciò che era unito, attraverso una frammentazione istituzionale che è insieme la causa e l´effetto di una pretesa frantumazione sociale. Non è un caso che, tra i 38 emendamenti messi a punto dal Polo, non sia stata modificata proprio la norma più cara al Carroccio, che blinda la competenza esclusiva delle regioni sulla sanità, la scuola e la polizia locale. Materie che attengono a diritti sociali, e che non dovrebbero mai subire differenziazioni, se non al prezzo di un gravissimo vulnus ai principi di solidarietà e di uguaglianza sanciti dagli articoli 2 e 3 della Costituzione.

La seconda tara è quella di Silvio Berlusconi. Questa riforma nasce dall´insopprimibile vocazione bonapartista e plebiscitaria del Cavaliere. La formula del "premierato assoluto" che introduce, infatti, non ha riscontri in nessun Paese del mondo. Viola le regole del pluralismo istituzionale. Altera ineluttabilmente il principio del bilanciamento dei poteri su cui si regge la nostra Carta fondamentale, dal dopoguerra ad oggi. Trasforma il presidente della Repubblica, da un formale garante super partes, a un semplice notaio dei voleri dell´esecutivo. Trasforma il presidente del Consiglio, da un normale capo del governo, a un anomalo primus super pares nella gerarchia dei poteri. Di per sé, non ci sarebbe nulla di scandaloso, nell´opzione verso una "democrazia di mandato" e quindi verso l´elezione diretta del premier. Ma a condizione che il governo sia in tutto e per tutto sganciato dal Parlamento, e che il premier eletto sia sistematicamente costretto a fare i conti con un Parlamento che non può "domare" con il voto di fiducia o addirittura con il potere autonomo di scioglimento delle Camere. Nel "premierato assoluto" inventato dal centrodestra, invece, accade esattamente questo. Con il risultato che si rade al suolo la garanzia del check and balance istituzionale, si distrugge la divisione dei poteri. In definitiva, si scardina il sistema parlamentare.

Così, il Frankenstein inventato dal Polo trasformerà la nostra democrazia in una monocrazia. Con il beneplacito di Fini, che farebbe meglio a esercitare la sua fermezza su temi altrettanto qualificanti, ma senz´altro meno destabilizzanti, rispetto al premierato. È troppo tardi, ormai, per aggrapparsi all´ancora di salvezza di un´assemblea costituente. C´è solo da sperare, ancora una volta, nel presidio irrinunciabile di Ciampi. E poi nel popolo sovrano, se e quando sarà chiamato a dire sì o no a questo mostro, nell´urna del referendum confermativo. La Costituzione non è solo la Casa delle libertà. È anche, e prima di tutto, la casa di tutti gli italiani.

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