Da La Repubblica del 18/09/2004

La politica delle promesse

di Massimo Riva

Finalmente anche Silvio Berlusconi si è accorto - e lo ha dichiarato, magari senza volerlo - che chi vive di salario o stipendio ha subìto in questi anni una pesante stangata. Se n´è reso conto al punto da promettere al riguardo una svolta epocale («senza precedenti dal 1991 ad oggi», sono le sue testuali parole) che farà crescere il potere d´acquisto degli italiani nel 2005 di un rotondo 2,2 per cento. La novità è importante perché viene dallo stesso presidente del Consiglio che, non molto tempo fa, scaricava la colpa dei rincari sulla pigrizia delle massaie che non avevano la buona volontà di impiegare la loro giornata a fare il giro dei mercati in caccia del prezzo più conveniente.

Contrordine, dunque. Ora si ammette ciò che fino a ieri era stato negato contro tutte le evidenze: cioè, l´esistenza di quel processo di impoverimento di larghe fasce della società che milioni di cittadini ? non solo dei ceti più deboli ? erano invece costretti a scontare sulla propria pelle ad ogni visita quotidiana in piccole botteghe o grandi mercati.

Certo, un presidente del Consiglio avrebbe avuto il dovere di rendersi conto un po´ prima di come andavano effettivamente le cose per le tasche dei suoi concittadini. Perché così avrebbe potuto agire forse più tempestivamente, evitando gravi problemi a molti italiani. Dunque, non si può dar torto a quegli esponenti dell´opposizione che gli obiettano di voler chiudere la stalla dopo che i buoi sono scappati. Ma, in fondo, anche questo sarebbe un peccato perdonabile se almeno stavolta (meglio tardi che mai) Silvio Berlusconi avesse davvero deciso di fare un bagno nella realtà dell´economia e della società italiane, dopo tre anni di miracolistiche predicazioni sul presente e sull´avvenire di un inesistente Paese del Bengodi frutto soltanto della sua personale fantasia.

Purtroppo, se si va a guardare il dettaglio delle sue nuove promesse per il 2005, l´impressione è che ancora una volta il presidente del Consiglio intenda raccontare agli italiani l´ennesima favola consolatoria, nuovamente impegnandosi a fare qualcosa che non sarà in grado di mantenere. Basta, infatti, vedere come egli intende far crescere del 2,2 per cento il potere d´acquisto degli italiani l´anno venturo. Un più 0,7 per cento sarà ottenuto, sostiene Berlusconi, dal fatto che le retribuzioni lorde aumenteranno del 2,7 mentre l´inflazione salirà soltanto del due per cento. Un altro 0,7 sarà offerto dall´accordo in corso di definizione con il sistema della grande distribuzione commerciale per calmierare i prezzi di alcuni generi di largo consumo. Infine il residuo 0,8 per cento arriverà nei portafogli degli italiani come effetto dei tagli all´imposta sui redditi che il governo conferma di voler realizzare.

L´unica cosa incontrovertibile di questo annuncio è che, in effetti, sommando due volte 0,7 con uno 0,8 si arriva al risultato di 2,2. Per il resto la logica berlusconiana sembra fondata sulle sabbie mobili, com´è tipico di chi vuole credere in un mondo che si costruisce su misura dei propri desideri, anziché sulla durezza dei dati reali. Punto primo: intanto non è affatto chiaro il percorso che porta il presidente del Consiglio a stimare nel 2,7 per cento l´aumento delle retribuzioni lorde, in ogni caso quanto mai incerta e azzardata risulta la previsione di un tasso d´inflazione al due per cento. Al momento esso si trova a quota 2,3 e va tenuto presente che ancora non ha scontato se non in minima parte l´impatto dei pesanti rincari di benzina e gasolio. E se ciò non è avvenuto è solo perché gli italiani ? come s´è visto dai primi dati sulle flessioni del turismo estivo ? hanno ridotto il loro livello complessivo di consumi. Elementare legge economica dice che quando questi ultimi riprenderanno ? come Berlusconi tanto vorrebbe ? i prezzi diventeranno più caldi.

Punto secondo: magari gli accordi con la grande distribuzione potessero avere gli effetti sperati, ma il fatto è che al centro di queste intese c´è comunque un limitato numero di prodotti, riguardante quei beni che alcune catene di supermarket commercializzano con il proprio marchio. Una prima stima indica che si tratterebbe di non più del 15 per cento del totale: di qui a ricavare un aumento dello 0,7 per cento del potere d´acquisto complessivo ci vuole una robusta dote di fantasia contabile. In ogni caso su questo punto occorre anche fare attenzione a non calcolare l´intero impatto dello stesso fattore per due volte: una prima direttamente sui prezzi di vendita e una seconda indirettamente sul tasso dell´inflazione generale.

Quanto al terzo punto - il taglio alle tasse - qui davvero sarebbe fatica improba seguire gli annunci di Berlusconi che, in materia, ha ormai già detto tutto e il suo contrario. Si è partiti con la promessa di uno sgravio di una ventina di miliardi fondato su due sole aliquote, poi si è scesi a dodici, ora pare che si sia arrivati a sei miliardi con tre aliquote. Ma sempre più che mai aperto è il problemino della copertura di queste minori entrate per un bilancio dello Stato che, al netto di questa manovra fiscale, dovrebbe comunque essere tagliato di almeno 24 miliardi. Dunque quello 0,8 di maggior potere d´acquisto per via tributaria di cui parla il presidente del Consiglio è una cifra che oggi può considerarsi allo stato gassoso.

Da ultimo - e questo è anche l´aspetto più sconfortante - è che Silvio Berlusconi ha fatto il suo annuncio sul potere d´acquisto degli italiani come se la nostra fosse un´economia autarchica e non integrata in un mercato planetario, dov´è la divisione internazionale del lavoro a stabilire il reale potere d´acquisto di ciascun Paese e dove ? purtroppo ? l´Italia sta continuando a perdere posizioni e quote nel commercio mondiale. Quanto si dovrà aspettare perché il Cavaliere si accorga anche di questo, non secondario, pezzo di realtà? Oggi forse è già troppo tardi.

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