Da La Stampa del 20/09/2004

Nuovo testo troppo lungo

La Costituzione ha bisogno di una gomma

di Michele Ainis

Domanda: ma qualcuno di voi l'ha letta questa maxiriforma costituzionale predisposta, e poi emendata, e poi subemendata dalla coalizione di governo? Io sì, l'ho fatto; anzi ne ho fatto indigestione. Per forza: mi è caduto addosso un profluvio di parole sciolte l'una dall'altra come coriandoli tirati da un bambino, un'incontinenza semantica e verbale da far invidia ai 137 romanzi progettati da Balzac. Prendiamo a mo' d'esempio l'art. 70 della carta costituzionale. Nella versione licenziata dai padri fondatori misura un solo rigo; in quella aggiornata dai nostri ri-costituenti s'allunga per 113 righe, occupando 2 pagine e mezza dello stampato distribuito dalla Camera, e inanellando infine 717 parole laddove fin qui ne erano bastate appena 9. Questo solo articolo è insomma ben più esteso dell'intera parte introduttiva della Costituzione, quella dove trovano spazio i principi d'uguaglianza, di libertà, di solidarietà che da oltre mezzo secolo informano il nostro vivere civile.

Si dirà: cotanto spreco di parole serve a rendere più chiara e intelligibile l'officina delle leggi, cui per l'appunto si rivolge il nuovo art. 70. Ma in primo luogo è vero casomai l'inverso: troppe parole in una legge s'elidono e si confondono a vicenda, come osservò già nel Settecento Ludovico Muratori. E in secondo luogo basta leggere l'incipit dell'art. 70: «La Camera dei deputati esamina i disegni di legge concernenti le materie di cui all'art. 117, secondo comma, ivi compresi i disegni di legge attinenti ai bilanci ed al rendiconto consuntivo dello Stato, nonché i disegni di legge concernenti il coordinamento di cui all'art. 118, terzo comma, primo periodo, salvo quanto previsto dal terzo comma del presente articolo». Vi ci raccapezzate? Io no; eppure questa materia, ahimè, la studio ormai da tempo. E raramente mi è capitato d'incontrare in una norma - tanto più in una norma di rango costituzionale - periodi sgrammaticati o salti di punteggiatura, come viceversa avviene all'art. 72, secondo comma. Oppure inutili pleonasmi, dato che lo stesso articolo ripete per due volte che il lavoro parlamentare è organizzato in commissioni. O ancora slalom linguistici del tipo disegnato all'art. 120, in cui la legge statale viene chiamata a dettare principi alle regioni affinché esse rispettino una serie di principi. O infine frasi involute e cacofoniche come quella che campeggia all'art. 64, dove s'afferma che i Consigli regionali esprimono… l'espressione del parere.

Intendiamoci: una certa sciatteria nella confezione delle leggi non è questione d'oggi. E l'eccesso di verbosità già macchiava la riforma costituzionale introdotta dall'Ulivo, dando la stura a norme più pignole d'un regolamento di condominio. Ma norme così non hanno mai impedito le liti fra i condomini, se è vero che attualmente ne pendono 850.000. Sicché, nell'interesse di tutti e nell'interesse della nostra lingua nazionale, avrei pensato a un dono da recapitare al Parlamento. Una penna d'oca? No, una gomma.

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