Da La Repubblica del 21/09/2004

In un discorso a New York il primo affondo al presidente sul tema centrale della lotta al terrorismo

Kerry all´attacco sull´Iraq "Un errore la guerra di Bush"

"Abbiamo sostituito un dittatore con un caos che ha reso l´America meno sicura"
Penalizzato dai sondaggi, lo sfidante cambia strategia e diventa aggressivo

di Alberto Flores D'Arcais

MILWAUKEE - «La guerra lanciata da George Bush in Iraq è stato un errore di dimensioni colossali, ha provocato una crisi di dimensioni storiche e rischia di portarci a una guerra senza fine». Sollecitato dai suoi "guru" e da una base del partito irritata da sondaggi che lo indicano quasi ovunque perdente, John F. Kerry ha cambiato strategia e passo, lanciando l´offensiva sul tema più caldo della campagna elettorale: la guerra all´Iraq.

Dopo un mese di incertezze, con appiccicata addosso l´etichetta di candidato flip-flop (tentennante e insicuro) ieri Jfk II ha scelto un palcoscenico amico - la New York democratica e pacifista, ma anche città-martire degli attacchi di Al Qaeda - per fare quello che aveva evitato alla Convention di Boston, attaccare direttamente George W. Bush, il presidente degli Stati Uniti: «Il presidente sostiene che questo è il pezzo forte della sua guerra al terrorismo. In realtà l´Iraq è stato una deviazione netta da quella guerra e dalla battaglia contro il nostro più grande nemico, Al Qaeda. E se non cambiamo direzione ci aspetta una guerra senza fine».

Davanti alla platea della New York University - presenti le madri delle vittime dell´11 settembre e quelle dei militari in Iraq che hanno deciso di appoggiare il candidato democratico - Kerry ha ricordato come lo stesso Bush sia stato costretto ad ammettere gli errori nelle previsioni della guerra e nella conduzione del dopoguerra. «E´ stato uno dei più clamorosi casi di ammissione di colpa nella storia americana recente. I suoi non sono stati semplici errori di calcolo ma una colossale mancanza di giudizio e la capacità di giudizio è proprio quello che vogliamo da un presidente».

Invece di andare a fare la guerra in Iraq additando minacce "inesistenti" gli Stati Uniti dovevano e devono ancora oggi concentrarsi sulla caccia a Osama Bin Laden - «tre anni dopo gli attentati dell´11 settembre Bin Laden è più popolare degli Stati Uniti anche in paesi moderati come la Giordania, il Marocco o la Turchia» - e sui pericoli reali che corrono (Iran e Corea del Nord): «Ci sono al mondo tra 35 e 40 paesi più vicini dell´Iraq ad avere armi nucleari. Che cosa intende fare il presidente George W. Bush, attaccarli tutti?». La guerra contro Saddam «non ha reso affatto l´America più sicura», gli attacchi contro gli americani sono aumentati del 40 per cento e da giugno il numero dei soldati americani uccisi continua a crescere («54 a luglio, 66 in agosto, già 54 questo mese»). «Saddam Hussein era un dittatore brutale che si merita un suo posto speciale all´inferno, ma non era una buona ragione per andare in guerra. La soddisfazione che abbiamo avuto dalla sua caduta non nasconde un fatto: abbiamo sostituito un dittatore con un caos che ha lasciato l´America meno sicura».

Poco è stato fatto nel paese del Golfo anche dal punto di vista della ricostruzione, e comunque anche lì con grave ritardo visto che dei soldi stanziati dal Congresso ne sono stati usati una minima parte: «Ci sono voluti 16 mesi prima che questa amministrazione capisse che è meno probabile che ci spari addosso un iracheno che ha un lavoro piuttosto che un iracheno senza lavoro».

Ha provato ad anticipare critiche e risposte di Bush - che ieri lo ha accusato di «incoerenza» e che oggi illustrerà alla tribuna delle Nazioni Unite le «nuove iniziative internazionali» - annunciando un suo piano in quattro punti: «George W. Bush non ha un piano per l´Iraq, io sì. Bush non dice la verità sulla situazione ma continua ad ingannare l´America. Il presidente ha presentato 23 diverse motivazioni per questa guerra e se il suo obbiettivo era confondere e ingannare gli americani, c´è riuscito. Non avrei mai creduto che ci sarebbero state così tante bugie. Ventitré, e le due principali - la presenza in Iraq di armi di distruzione di massa e i legami tra l´Iraq e i terroristi di Al Qaeda - si sono rivelate false, lo ha ammesso anche il segretario di Stato Colin Powell. Solo il vicepresidente Dick Cheney continua a dire che la terra è piatta».

All´insegna dello slogan «più forti in patria, più rispettati nel mondo», Kerry ha chiesto al presidente un «onesto dibattito» sull´Iraq e dopo aver affermato che contrariamente a quanto sostiene la Casa Bianca la coalizione degli alleati americani in Iraq «non è una grande coalizione», ha spiegato i «quattro passi» per uscire dall´Iraq: 1) Ottenere più aiuto da altri paesi. 2) Dare un migliore addestramento alle forze di sicurezza irachene. 3) Ricostruire il paese in modo che gli iracheni ne ricavino vantaggi veri. 4) Fare in modo che elezioni democratiche possano davvero svolgersi entro gennaio come previsto.

Mentre il New York Times rivela che Bush e Kerry sono cugini di "nono grado" (entrambi discendenti di famiglie radicate da secoli nel New England) i due candidati si sono ieri sera quasi incrociati nella «Grande Mela». Il presidente a raccogliere fondi allo Sheraton, lo sfidante all´Hilton. Strade incrociate proprio nel giorno in cui vengono confermati i tre dibattiti presidenziali, e quello tra i candidati vice - che si terranno a partire dal 30 settembre in Florida, Missouri, Ohio e Arizona.

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