Da Corriere della Sera del 21/09/2004

Gli Usa in lacrime: «Un uomo di fede, voleva aiutare»

Il Paese con il fiato sospeso per la sorte del secondo ostaggio. La Casa Bianca non si pronuncia

di Ennio Caretto

WASHINGTON - Inorridita e angosciata l'America si chiede se anche Jack Hensley, il suo secondo ostaggio in Iraq, sia stato o verrà decapitato come Eugene Armstrong, dopo il nuovo atroce ultimatum di Al Zarkawi. Ieri sera, mentre l'Alto comando Usa a Bagdad annunciava il ritrovamento del cadavere dello sventurato Armstrong, la Casa Bianca, il Pentagono e il Dipartimento di stato erano ancora in consultazione tra di loro e rifiutavano commenti sulla tragedia. Ma in previsione del peggio, alcuni portavoce della campagna elettorale del Partito repubblicano si scagliavano con violenza contro il terrorismo: «E' la conferma che va distrutto prima che torni a colpirci in casa, e che a Bagdad occorrono estrema determinazione e un risoluto ricorso alla forza».

Per gli americani e l'amministrazione Bush il video di Armstrong è stato un trauma spaventoso, ancora più grave di quello causato dal video dalla decapitazione di Nicholas Berg, un giovane uomo d'affari di 26 anni, alla fine di aprile. La piaga degli ostaggi, abbattutasi su molti paesi alleati tra cui l'Italia, era sinora sembrata risparmiare in gran parte l'America. A maggio anzi, il primo ostaggio americano, Thomas Hamill, un «contractor» privato di 42 anni, era riuscito miracolosamente a sfuggire ai suoi rapitori. La Superpotenza aveva avuto perduto più tardi un altro ostaggio, un tecnico sessantenne, in Arabia saudita, ma il dramma non era stato inquadrato nel conflitto iracheno. Il video di Armstrong pone fine all'illusione che solo i militari possano cadere a Bagdad.

Sulla vicenda di Armstrong non solo l'amministrazione ma anche i media avevano mantenuto il silenzio, nella speranza che potesse essere liberato. Di lui si sa poco. Che dal '90 lavorava e viveva all'estero, che aveva la residenza in Thailandia - s'era sposato con una tailandese - e che si trovava in Iraq per una ditta di costruzioni. Il fratello Frank, che abita a Hillsdale nel Michigan, la cittadina dei genitori, ha riferito di essere stato contattato dall'Fbi, la polizia federale, il giorno del suo sequestro. «Ne fui sconvolto - ha detto - ci eravamo parlati al telefono appena la settimana prima, mi era parso sereno. La sua fine è una macabra ironia: era innamorato della cultura araba e aveva molti amici musulmani».

Anche sul suo compagno Jack Hensley le autorità chiedono il riserbo. La moglie Patty è apparsa alla tv Abc , con le lacrime agli occhi, protestando che le condizioni poste dai terroristi per il rilascio sono irrealizzabili: «Pensano che ci siano delle donne irachene in prigione a Bagdad, ma non è vero. Mi risultano detenute solo due scienziate che facevano parte dell’entourage di Saddam Hussein». E ha aggiunto: «Jack è un uomo di fede, voleva aiutare il popolo iracheno. Imploro i carcerieri di risparmiarlo». A nome del terzo ostaggio, l'inglese Kenneth Bitley, catturato con i due americani, il fratello Phillip si è rivolto ai sequestratori da Londra. «Ken - ha detto alla tv Al Arabiya - è un uomo molto per bene, un padre e un marito esemplare, che aspettava con ansia di avere il primo nipotino il prossimo febbraio».

Difficilmente le decapitazioni degli ostaggi indurranno l'amministrazione Bush a cambiare strategia: la parola d'ordine è che non si negozia con i rapitori, ma si cerca di liberarli. Non è nemmeno probabile che i media mettano subito in rilievo la loro piaga, più di quanto abbiano fatto sino a oggi: prevale l'opinione che quanta maggiore è l'attenzione riservata ai sequestratori tanto superiore è il pericolo che i sequestri dilagano.

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