Da La Repubblica del 26/09/2004

L´impero americano contro i sunniti

di Eugenio Scalfari

Molti ne rapiscono, sigle diverse e diverse modalità. Qualcuno lo liberano senza specifiche motivazioni, si direbbe per puro capriccio della sorte; è perfino accaduto che tra gli ostaggi restituiti a libertà ce ne fossero alcuni di identica nazionalità e di identica professione di quelli ammazzati. La maggior parte li uccidono; fino a poche settimane fa bastava il colpo di pistola alla nuca, ma adesso il più delle volte si pratica la pugnalata alla carotide e la decapitazione. Sarà il sacrificio rituale per propiziare il dio nascosto (un dio assai simile al demonio, se si compiace di queste orribili liturgie) ma non cessa di essere il ripugnante sbocco d´un ragionamento politico di chi, non potendo vincere una guerra contro la più grande potenza militare del mondo, ha come solo possibile obiettivo quello di provocare il caos rendendo così impraticabile il campo di battaglia.

Al di là dell´analisi sui vari gruppi terroristici o più semplicemente resistenziali, al di là dei comunicati, dei video, delle bande di assassini e dei gruppi guerriglieri, al di là perfino delle diverse appartenenze religiose, è chiaro che produrre il caos sul terreno è lo scopo comune di tutti quelli che puntano a mettere in fuga l´Invincibile Armata dei nostri tempi. Se mai ottenessero questo risultato, e soltanto dopo averlo ottenuto, le strategie delle varie fazioni tornerebbero a distinguersi. Ma oggi ne sono affratellati dall´odio contro l´America e contro l´Occidente, contro chiunque collabori a recuperare in Iraq un minimo di normalità: la Croce rossa e l´ospedale italiano di Bagdad soccorrono gli ammalati? Le nostre due Simone organizzavano scuole per bambini iracheni? Baldoni era un giornalista pacifista che voleva documentare la situazione oggettiva senza indulgenze e senza infingimenti né per gli uni né per gli altri? I camionisti turchi e i tecnici anglo-americani lavoravano nei trasporti, nelle imprese di costruzione e in quelle di manutenzione degli oleodotti? Quanto basta per ucciderli perché tutti in vario modo pensavano che l´Iraq dovesse diventare un paese normale e addirittura si comportavano come se già lo fosse, mentre l´Iraq non è e non dev´essere un paese normale almeno fino a quando ci saranno truppe d´occupazione sul suo territorio.

Dopo si vedrà perché dopo le strade di quelli che oggi sono nemici dell´America si divideranno.

Quindi il caos, l´insicurezza, il terrore reale e quello mediatico e virtuale, la molteplicità delle bande e dei capi, la loro reciproca rivalità, il nemico comune. E dove è possibile, anche il controllo del territorio.

In questo buco nero, in questo pozzo di disperazione sono scomparse le nostre due Simone, vittime speriamo recuperabili vive e sane di un orrore infinitamente più grande della loro grande e coraggiosa generosità.

* * *

Non è vero che tutto l´Iraq sia nel caos. Bush e il premier "iracheno", la cui precaria autorità è legata a doppio filo con quella del presidente Usa, dicono che tutto va per il meglio. Affermazione inverosimile e platealmente smentita dai fatti nonché dai giudizi degli stessi comandanti militari americani che operano sul terreno. Ma è certamente vero che ampie porzioni di territorio sono tranquille e che le popolazioni ivi residenti tranquillamente attendono alle loro normali occupazioni. Perfino a Bagdad: in una metropoli che misura un diametro di cinquanta chilometri scoppiano un paio di bombe al giorno e si verificano un paio di scontri di guerriglia e tre o quattro rapimenti: troppo per una capitale normale, troppo poco per parlare di insorgenza e di perdita di controllo del territorio.

Perfino a Sadr City, il sobborgo pezzente di due milioni e mezzo di abitanti, si riesce a vivere con relativa normalità, così riferiscono cronisti e testimoni oculari. Lì più che i terroristi sono presenti e attivi i mujahiddin sciiti di Moqtada Al Sadr.

L´Iraq sciita del sud-ovest e del nord-est non partecipa alle insorgenze del triangolo sunnita né al ribellismo di Moqtada. Aspetta. Anche a Bassora aspetta. Seguendo le indicazioni della suprema autorità religiosa, Al Sistani, vuole le elezioni per stabilire legalmente la propria egemonia in tutto il paese. E vuole la permanenza delle truppe americane fino a quando quell´egemonia non sarà consolidata e la polizia e l´esercito nazionale non saranno in grado di garantire l´ordine pubblico. «Vaste programme» avrebbe detto il generale De Gaulle.

Quanto tempo ci vorrà? I militari americani sono concordi nel dire: almeno quattro anni. Ma la maggioranza sciita che segue l´ayatollah Sistani vuole un governo che la rappresenti e vuole anche che le truppe americane comincino a ritirarsi subito dopo le elezioni del prossimo gennaio.

Il primo ministro iracheno, Allawi, prima di ritornare in patria ha incontrato Rumsfeld al Pentagono ed è rimasto a colloquio con lui per quasi due ore. Subito dopo il segretario alla Difesa ha fatto una dichiarazione che è parsa in contraddizione con quanto Bush e Allawi avevano detto il giorno prima. «Tutto va per il meglio» avevano detto. E Rumsfeld: «Le elezioni si faranno a gennaio probabilmente non su tutto il territorio ma soltanto sui due terzi o sui tre quarti di esso. È sufficiente. Dopo di che - ha aggiunto il capo del Pentagono - potremo cominciare il ritiro graduale delle truppe».

Un bluff? Il segnale d´un contrasto all´interno dell´amministrazione? Non direi. È possibile invece che dopo le elezioni presidenziali del 2 novembre Bush - se le vincerà - autorizzi l´invio di altri 15-20 mila soldati con la motivazione di farne rientrare altrettanti per normale avvicendamento. È possibile che l´avvicendamento avvenga tre mesi dopo e che nel frattempo l´Armata così rinforzata scateni l´assalto finale contro le città del triangolo sunnita. Al termine del quale, invece che l´avvicendamento di 20 mila effettivi, ne torneranno in Usa 40 mila e ne resteranno comunque in Iraq più di centomila, sperando che nel frattempo polizia e Guardia nazionale irachena abbiano fatto qualche progresso in quantità e qualità.

Perché Rumsfeld parla di elezioni su due terzi o tre quarti del territorio e li giudica sufficienti?

Evidentemente ha in mente la dislocazione dei sunniti e del grosso degli sciiti non ribelli. Esclude il voto nel triangolo di Falluja e in alcuni quartieri della capitale, ed ecco quel quarto di territorio e di popolazione che non voterà. Se a Falluja, a Ramadi e nelle altre città sunnite si aggiunge Sadr City, le zone guerrigliere della capitale, la regione centrale che dagli acquitrini va alle città sante di Najaf e Kerbala, la regione dove nacque Saddam attorno a Tikrit, siamo alla grossa tra i cinque e i sei milioni di persone.

Dunque, mal che vada, voteranno gli sciiti di Sistani e sarà loro compito di governare il paese e di trattare con i sunniti, ridotti alla ragione dai carri armati e dagli aerei dell´Invincibile Armata.

Se questo è il piano non ci sarà per fortuna quella sorta di rotta e quasi di fuga americana che alcuni attenti osservatori prevedono. Non ci sarà niente di tutto ciò e neppure, ovviamente, l´esportazione della democrazia in Iraq, bensì la sostituzione d´un potere sciita al potere sunnita dei tempi di Saddam Hussein.

E il terrorismo? Il terrorismo continuerà, anche se la normalizzazione irachena potrà attutirne per un certo tempo l´aggressività. Perché questa sciagurata guerra, come giustamente ripete (e tardivamente) Kerry, non è stata contro il terrorismo, ma contro Saddam Hussein, e il terrorismo ne ha tratto finora profitti e non sconfitte.

* * *

Molto naturalmente dipende da come si chiuderà la spinosa questione dell´offensiva contro Falluja e le altre città del triangolo. Perché non sarà una liquidazione facile. I terroristi legati ad al Qaeda giocheranno una partita senza esclusione di colpi. Secondo le più attendibili informazioni hanno concentrato in quella zona a dir poco un centinaio di kamikaze e ne potranno reclutare altrettanti se l´attacco, come è probabile, farà carneficina sulla popolazione civile come già si sta verificando da settimane nelle puntate di assaggio.

E se poi la carneficina dovesse trasformarsi nella distruzione totale della città, le ripercussioni sulla stessa popolazione sciita potrebbero essere incontrollabili, tenendo conto anche della presenza dei guerriglieri di Moqtada nei sobborghi della capitale.

Infine altre due incognite niente affatto trascurabili: il timore degli ayatollah di Teheran per un Iraq controllato in modo duraturo dagli Stati Uniti e l´ossessione storica dei wahabiti dell´Arabia Saudita di fronte alla prospettiva d´un Golfo dominato dagli sciiti.

L´egemonia sciita a Bagdad può essere destabilizzante a Riyad e perfino in Egitto e può radicalizzare la posizione dell´Iran e della Siria.

Nei prossimi tre mesi dunque si gioca una partita estremamente rischiosa. Potrebbe diminuire il rischio se cambiasse l´inquilino della Casa Bianca?

* * *

A quest´ultima domanda è molto difficile rispondere. I dati sul terreno sono quelli che sono e Kerry non può cambiarli. Può modificare la tonalità della musica ma non le note già scritte nella partitura. Può bastare una tonalità meno arrogante per modificare la situazione sul terreno? Temo di no. Può ottenere Kerry che vengano a dar manforte in Iraq truppe francesi e tedesche? Sicuramente no. Può entrare a Falluja agitando rami d´ulivo? Mi sembra da escludere.

Ma c´è un´altra osservazione da fare: a meno d´un miracolo la maggioranza degli elettori americani il 2 novembre riconfermerà Bush pur essendo convinta che Bush ha commesso gravi errori dichiarando la guerra e compromettendo la pace. I sondaggi di questi giorni confermano questa sorta di schizofrenia del popolo americano: dà torto a Bush ma vota per lui. Bisogna domandarsene il perché.

Credo dipenda dalla trasformazione della democrazia americana in una democrazia imperiale. Avvenne qualche cosa di analogo nell´antica Roma repubblicana: dopo la distruzione di Cartagine, sulle cui rovine si dice che Scipione pianse, la repubblica imboccò la via dell´impero e di lì a settant´anni il Senatus Populusque fu mandato in soffitta.

Le analogie sono arbitrarie, le situazioni sono profondamente diverse e non confrontabili, ma resta che i cittadini d´una moderna democrazia imperiale hanno una scala di valori che non è più quella dei padri fondatori di Philadelphia e a maggior ragione non è più quella delle altre nazioni dell´Occidente.

Una democrazia imperiale vede anzitutto il bene comune dell´impero perché quello è il punto di vista dal quale guarda l´evoluzione dei fatti.

Una democrazia imperiale si arroga un potere legittimante: i governi amici sono legittimati come democratici anche se non lo sono. Tutto il Maghreb dall´Egitto al Marocco si regge su regimi assai poco democratici. Idem l´Arabia e gli Emirati. Ma sono amici. Così è stato ed in gran parte è tuttora nell´America centrale e meridionale.

La democrazia imperiale salvaguarda i diritti dei suoi cittadini, ma non quelli degli altri paesi. Infatti l´altra America, quella non imperiale, può protestare e testimoniare la propria verità in piena libertà affermando e sostenendo tesi che in altre parti dell´area imperiale sono tacciate di tradimento, viltà morale e punite con la discriminazione.

Un´altra America esiste e ne registriamo tutti i giorni la combattiva presenza come pure l´identità dei valori con i nostri valori occidentali, ma temo che la forza degli interessi e dei fatti non stia dalla sua parte. Quando un impero prende coscienza di esistere è improbabile che possa e voglia tornare indietro; quando si varca un Rubicone il dado è gettato.

Perciò credo che Bush vincerà. Non sarà un bene né per l´Europa e neppure per l´America. Ma questa sarà un´altra storia e la vedranno i figli e i nipoti.

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