Da La Stampa del 27/09/2004

PROMEMORIA

E la legge disse che il bimbo sta bene nella réclame

di Filippo Ceccarelli

Le lacrime per la scuola di Beslam e il sollievo per il piccolo talassemico di Pavia. Gli scoppi periodici di rabbia contro la pedofilia e le benefiche astuzie dei politici sui bonus per il primo e/o per il secondo figlio. In un permanente fiorire di convenzioni internazionali, commissioni speciali, carte, codici, osservatori, avvocati e garanti dei bambini, ecco, non si può certo dire che la società italiana dedichi scarso interesse all'infanzia. Ed è giusto.

Ma proprio per questo appare altamente sospetto il silenzio calato su uno scontro quant'altri mai ideologico avvenuto nelle commissioni riunite Cultura e Trasporti di Montecitorio dove l'altro giorno è stata licenziata una leggina, per così dire (numero 4964), che in pratica reintroduce la possibilità di utilizzare - non si dirà qui di «sfruttare», ma il senso purtroppo è anche un po' quello - i bambini sotto i 14 anni nelle pubblicità televisive.

Il divieto, come si ricorderà, era stato fissato con un voto a sorpresa sulla legge Gasparri. Anche per questo l'approvazione di quell'agognatissima normativa era slittata di sei mesi, ma lo scherzetto d'aula ha pure comportato guai grossi al mondo della pubblicità e delle aziende. Si sa: più di ogni altro i bimbi fanno vendere e comprare; e tanto funzionano negli spot che reclamizzano giocattoli, omogeneizzati e pannolini, quanto abbondantemente vengono messi a profitto nel caso di finanziarie, automobili, telefonini (e anche partiti). I genitori, poi, s'inorgoglivano e ci facevano pure i soldi. Così era andata per anni.

E ora? Fatta la legge, trovato l'impiccio, che in Italia si chiama «interpretazione flessibile». Cioè lì per lì i pubblicitari, hanno preso a girare i loro spot all'estero utilizzando bambini svizzeri o di San Marino, o facendo firmare ai genitori liberatorie in cui questi certificavano che le loro telegeniche creature avevano più di 14 anni. Ma tutto questo è scomodo. E quindi, non bastando l'impiccio, si cerca di cambiare la legge.

Il provvedimento che su questo punto modifica la Gasparri dovrà essere approvato in aula. Ma nel frattempo, quanto a rapidità e intensità della correzione, il centrodestra si è mostrato all'altezza delle più apocalittiche aspettative dei suoi avversari. Cessi «l'incomprensibile penalizzazione», si dia ossigeno a un settore produttivo, tornino i bimbi negli spot. Il testo è a firma della Santanché, la diva di An animatrice del «Billionaire» oltre che proprietaria di una agenzia di pr, e di Paolo Romani, un deputato berlusconiano che viene dall'universo della tv commerciale. La Lega si è accodata. Al governo non è parso vero di poter dire sì. L'Ulivo forse non ha capito bene, o forse ha preferito parlare d'altro, comunque s'è concentrato sulla pubblicità delle bibite alcoliche nelle fasce protette, che sarà pure una questione importante. Ma qui la partita verte piuttosto sul rapporto che va stabilito in via di principio tra l'accanimento promozionale e la crescita del bambino, la potenza del neuro-marketing e i diritti del «fanciullo», come diceva l'indimenticabile (e mai come oggi rimpianta) Falcucci.

Tutto il peso del tele baby spot crash, o scontro sull'utilizzo televisivo dell'infanzia, ricade così sulle spalle di una deputata di Rifondazione comunista, Tiziana Valpiana, che se ne fa un onore e una missione, anche perché mette a nudo la radicalità del conflitto tra l'economia liberista e il soggetto debole da proteggere.

Mesi fa una deputata berlusconiana, Maria Burani Procaccini, ha presentato una proposta di legge per impedire che alle manifestazioni partecipino bimbi con meno di 11 anni. Dunque: in piazza a protestare no, in tv a far vendere sì. Guarda un po' dove sono andate a nascondersi le ideologie.

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