Da La Repubblica del 27/09/2004
Originale su http://www.repubblica.it/2004/i/sezioni/politica/rifogiustuno/dubbicia...

Preoccupa l'effetto complessivo sull'equilibrio tra i poteri dello Stato. Il Quirinale ha perplessità politiche e costituzionali

Giustizia, i dubbi di Ciampi potrebbe non firmare la riforma

Il Presidente più orientato a rinviare il provvedimento sul nuovo ordinamento. Sarebbe il secondo caso dopo la legge Gasparri

di Massimo Giannini

Un altro sciopero dei magistrati per il Quirinale sarebbe intollerabile. Ma l'ultima riforma Castelli sull'ordinamento giudiziario rischia di fare la stessa fine della prima riforma Gasparri sul sistema radiotelevisivo. Bocciata dal presidente della Repubblica per manifesta incostituzionalità. Rinviata alle Camere, senza la firma che ne integra la promulgazione: quella di Carlo Azeglio Ciampi.

In queste ore il Capo dello Stato vive, come tutti gli italiani, l'angoscia profonda per la sorte delle due Simone rapite a Bagdad. Continua a lanciare appelli accorati per la loro liberazione. Continua a chiedere un impegno comune, di tutta l'Europa, per sostenere l'Onu e il ripristino di una strategia multilaterale che consenta una via d'uscita dall'inferno iracheno.

Ma Ciampi segue anche con attenzione e apprensione crescente il destino delle riforme. Su quelle istituzionali ha già lanciato un monito chiaro, la settimana scorsa. Sulla riforma dell'ordinamento giudiziario non si è ancora espresso con altrettanta nettezza. Ma il dossier è sulla sua scrivania. Ed è un dossier voluminoso. Pieno di perplessità politiche e di dubbi costituzionali. Con ogni probabilità, se dovesse controfirmare oggi quel testo, così come sta transitando al Senato, le ragioni per respingerlo prevarrebbero di gran lunga su quelle che lo indurrebbero a un via libera.

La nuova legge che riscrive le regole della giustizia italiana è all'esame di Palazzo Madama. Cambia il sistema delle carriere e dei concorsi dei magistrati, con tanto di test di idoneità psicoattitudinale. Modifica lo status dei pubblici ministeri. Ridefinisce la formulazione degli illeciti disciplinari. Altera il rapporto tra il Csm e il ministro della Giustizia. Per questo, ha aperto una frattura insanabile tra la politica e la magistratura, come confermano i giudizi inappellabili arrivati in questi ultimi due giorni dal congresso dell'Anm di Napoli.

Ha spaccato radicalmente i due Poli. Ma ha anche creato l'ennesima crepa nella Casa delle libertà. In Commissione sono stati presentati ben 500 emendamenti al testo. Quasi tutti dell'opposizione, tranne una quindicina, che sono dell'Udc e che marciano in netta controtendenza rispetto alle norme sostenute da Forza Italia, Lega e An.

La dialettica politica, per quanto aspra, non alimenta i timori del Colle. Quello che invece desta molta inquietudine è l'effetto complessivo che la riforma produce sugli assetti costituzionali e sull'equilibrio tra i poteri dello Stato. Su questo, il dossier di Ciampi abbonda di punti critici.

Il presidente, finora, ha enunciato una sola convinzione pubblica, che tuttavia indica il suo altissimo livello di attenzione sul tema: "Quella dell'ordinamento giudiziario è una riforma di rilievo costituzionale". Una riforma, cioè, destinata ad "avere riflessi sui diritti fondamentali dei cittadini", ma anche ad incidere "sull'equilibrio tra i poteri dello Stato" definito dai costituenti con la Carta del 1948.

Già da questa premessa, dal punto di vista del Quirinale, discende un primo dubbio di metodo. È possibile introdurre nell'ordinamento giuridico una riforma "di rilievo costituzionale" con una semplice legge ordinaria, cioè al di fuori delle regole dettate dall'articolo 138 per disciplinare rigidamente tutte le forme di revisione costituzionale? La risposta, al momento, non c'è. Ma i dubbi sono tanti. Superiori alle certezze.

Se poi dal metodo si passa al merito, le incertezze si moltiplicano. Sul Colle non possono passare inosservate le sirene d'allarme suonate dal Csm. A Ciampi, che dell'organo di autogoverno della magistratura è presidente, è arrivato il lungo parere scritto a Palazzo dei Marescialli, con il quale si indicano almeno otto vizi di illegittimità costituzionale contenuti nel provvedimento all'esame del Senato.

Ma sul Colle non sono passate inosservate nemmeno le innumerevoli iniziative e la vastissima letteratura che già si è prodotta, tra i giuristi, sulla riforma Castelli.

Andrea Manzella, uno dei più vicini ed ascoltati da Ciampi, ha già detto chiaro ciò che pensa: "L'intero impianto della riforma tradisce i principi, le garanzie e i valori indicati dai costituenti come paletti dell'ordinamento giudiziario".

E ben 73 costituzionalisti, tra i più prestigiosi d'Italia, hanno già sottoscritto un appello, trasmesso a Palazzo Madama, nel quale si segnalano tutti i punti di palese illegittimità del testo. Si sottolinea "l'interesse primario dei cittadini ad avere una magistratura autonoma e indipendente", e si denuncia al contrario l'intenzione della riforma a creare "una magistratura fortemente burocratizzata" e sottoposta alle ingerenze politiche.

Pescando tra i firmatari dell'appello si trova di tutto e di più. Sergio Bartole, presidente dell'Associazione italiana dei costituzionalisti e docente all'Università di Trieste: "L'obiettivo della riforma è contenere i poteri decisionali del Csm sulla carriera dei magistrati... L'indebolimento del Csm gioca a vantaggio del ministro, cui si consente ancora di reclutare tra i magistrati personale direttivo degli uffici del suo dicastero, favorendo anzi la carriera di quanti torneranno all'esercizio delle funzioni giudiziarie al momento della distribuzione degli uffici direttivi. Con buona pace della separazione dei poteri".

Gaetano Silvestri, costituzionalista dell'Università di Messina: "Non siamo in presenza soltanto di singole norme illegittime, ma di un 'esprit' dell'intera legge pericolosamente eversivo rispetto alla Costituzione e ai suoi valori fondamentali... Con le nuove norme si accentua la struttura piramidale dell'ordine giudiziario, in controtendenza rispetto al principio-cardine contenuto nell'articolo 107".

Roberto Romboli, dell'Università di Pisa: "Il progetto governativo segna un momento di frattura visto che si muove in senso spesso opposto a quello indicato dai principi costituzionali. Si pensi ad esempio al rapporto tra Csm e ministro della Giustizia, al sistema dei concorsi, alle modifiche allo status dei pm".

Mario Dogliani, ordinario all'Università di Torino: "La disciplina delle carriere, della formazione e del controllo disciplinare contenuta nel disegno di legge del governo rappresentano un radicale sviamento dall'alveo costituzionale: così non solo si nega in radice il disegno dei costituenti, ma si svilisce e si delegittima la giurisdizione".

Questi rilievi sono in bella evidenza, nel dossier che gli uffici del Quirinale hanno predisposto per Ciampi. Il Capo dello Stato ne ha parlato a più riprese con Virginio Rognoni. Il risultato dei colloqui è che il vicepresidente del Csm, proprio la settimana scorsa, in un convegno a Courmayeur è tornato ad affondare il colpo sugli effetti distorsivi ed eversivi della riforma.
Come dire: come già accadde per la Gasparri, il Quirinale comincia a lanciare segnali precisi. E chi vuole capire, capisca.

Tra questi, evidentemente, non c'è Castelli. Giusto mercoledì scorso, in una rutilante intervista al "Sole 24 Ore", il ministro ha rilanciato la sfida al Colle: "Ormai i giochi sono fatti: la riforma è blindata, e la blindatura per la Lega è irrinunciabile". In altre parole: il testo non si tocca. Se questa linea dura sarà fatta propria dall'intera Cdl, è molto probabile che il governo Berlusconi, per la seconda volta nella legislatura, andrà a sbattere contro le mura del Quirinale.

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