Da La Repubblica del 27/09/2004
Originale su http://www.repubblica.it/2004/i/sezioni/esteri/itarapdue/pistakuw/pist...

Forse le due Simone rapite da un gruppo di ex fedeli di Saddam La richiesta del ritiro degli italiani cela un ricatto economico?

Si rompe il muro del silenzio più forte la pista "baathista"

Invece che tramite video choc, la scelta di comunicare con un giornalista kuwaitiano di fiducia

di Giuseppe D'Avanzo

Può essere la prima vera, buona notizia di questa crisi. Il livido silenzio che, come una bolla, circonda il sequestro di Simona Pari e Simona Torretta comincia a incrinarsi. Se le informazioni raccolte da Al Rai Al-Aam sono attendibili, bisogna prendere in considerazione l'ipotesi che Alì Rooz, il direttore dell'autorevole quotidiano del Kuwait, sia il "mediatore". Il "canale" che i sequestratori delle due Simone hanno scelto per avviare finalmente una trattativa. E' un'anomalia.

Quasi per definizione, in questi affari, il "canale" è occulto, clandestino. Il "mediatore" è solitamente un uomo senza nome in contatto, da un lato, con l'intelligence e, dall'altro, con i carcerieri: segretamente fa le sue mosse e, nell'ombra, svolge il suo lavoro.

Il lavoro di un giornalista, al contrario, è per definizione pubblico. E pubblicamente infatti Alì Rooz rilancia da due giorni i messaggi dei rapitori, le rassicurazioni sulle condizioni degli ostaggi, le richieste per rimetterle in libertà.

Non c'è dubbio che questa mossa sia inconsueta. La nuova anomalia di un "caso", punteggiato fin dal primo momento da sorprendenti anomalie, non dovrebbe scoraggiarci più di tanto.

Da diciotto giorni attendiamo che qualcuno si faccia avanti per dirci che le nostre ragazze sono vive e in buona salute e ora quell'uomo è apparso sulla scena. Con le informazioni attese. Simona Pari e Simona Torretta - scrive Alì Rooz - sono in buona salute. Psicologicamente sofferenti, com'è naturale, ma rispettate, protette "dalle regole dell'Islam che impongono di trattare bene i prigionieri".

Sono nelle mani di un gruppo che il direttore di Al Rai Al-Aam definisce "islamico" e non jihadista. Buona cosa. Perché non sono state catturate da una fazione della guerriglia o del terrore. Non sono ostaggio né di Tawhid wal Jihad né di Abu Musa Al Zarqawi, e questo (se vero) consola.

I carcerieri delle nostre ragazze dovrebbero appartenere a un'area baathista, nazionalista, non radicale, non "religiosa", lascia intendere Alì Rooz. Non c'è finora la prova dell'esistenza in vita delle ragazze, ma le assicurazioni che "chiedono del cibo particolare" - biscotti, ad esempio - e hanno privilegi particolari, come l'acqua minerale, vuol dire che il gruppo è disponibile ad offrire presto qualche dato certo che dimostri l'esistenza in vita delle due Simone. C'è poi la richiesta, per così dire, politica.

I sequestratori delle due volontarie italiane - sostiene la "fonte" di Al Rai Al-Aam - chiedono il ritiro delle truppe italiane dall'Iraq. Appare un richiesta soltanto apparente perché politicamente irrealizzabile. L'Italia non può accettare di richiamare in patria il suo contingente sotto la pressione di un ricatto. Non c'è chi non lo sappia a Bagdad. Il governo italiano ha caro il ruolo "ancillare" che lo stringe all'amministrazione Bush e mai lo spezzerebbe per accontentare degli assassini o dei ricattatori, come è accaduto alle Filippine.

A ben vedere, però, la richiesta non è categorica, non è imperativa. Non è sostenuta né da un cupo ultimatum né da un minaccia di morte. L'assenza di queste due condizioni apre uno spazio di manovra. Trasforma la richiesta velleitaria nell'avvio di un dialogo.

La richiesta del ritiro appare così più rituale che definitiva. Come sostiene anche Alì Rooz, è più probabile che i sequestratori vogliano mascherare, nelle prime battute di dialogo, l'autentico obiettivo del sequestro che sarebbe economico e non politico. Dunque, i rapitori attendono da questa loro impresa una congrua somma di denaro.

Bisogna ora valutare, per quel che è possibile, l'attendibilità della "fonte" in contatto con il quotidiano kuwaitiano. Una traccia è possibile vagliarla, nonostante tutto. Della "fonte", naturalmente, nulla si sa. Ma si conosce chi, con quella "fonte", è in contatto. E' il corrispondente di Al Rai Al-Aam da Bagdad. Si chiama Issam Fahm. Lavora da dieci anni nella capitale irachena. Quindi, dai tempi del regime di Saddam Hussein.

"Non sbaglia mai un colpo", dice di lui Alì Rooz. Si deve ritenere che Issam Fahm, abbia potuto fare il suo lavoro in tempo di dittatura soltanto affidandosi a solidi rapporti con la nomenklatura del regime. Se il corrispondente continua a fare un buon lavoro e "non perde un colpo" si può dedurre che abbia conservato buoni rapporti con i saddamiti dispersi e in fuga, dopo la caduta del Raiss e l'arrivo delle forze anglo-americane.

Si può forse concludere che, come è stato peraltro già scritto, il sequestro delle due Simone e di Manhaz Bassam e Ra'ad Sbdul Raziz nasca proprio nell'area baathista e saddamita con cui anche il "Ponte per..." ha avuto, da tredici anni, tradizionali e stretti legami.

Ma quel che più conta è che la "fonte" che ogni notte, da due giorni, chiama al telefono Fahm sia "dentro" la rete dei saddamiti. Se quel che va scrivendo e raccontando Alì Rooz è corretto - e non c'è motivo per dubitarne: il suo giornale è molto autorevole, la sua storia professionale è ineccepibile - si può abbozzare uno scenario meno opprimente di quello messo insieme negli ultimi giorni.

Simona Pari e Simona Torretta sono state sequestrate da personaggi del vecchio regime. Baathisti. Saddamiti. Forse da uomini del vecchio servizio segreto di Saddam Hussein, il Mubharakat, che si sono riorganizzati per riempire il portafoglio e non per liberare il Paese dagli occupanti. Sono uomini che conoscevano l'attività e i volontari di "Un Ponte per...".

Ne conoscevano la condizione e soprattutto la fiducia che avevano nella comprensione degli iracheni per il loro lavoro di volontari di pace. Sapevano che le due Simone erano indifese. Ne conoscevano i tempi, i luoghi, le routine. E' stato un gioco da ragazzi portarle via. Più difficile organizzare il ricatto e mettere le mani sul denaro. E' impopolare, anche nel crudele Iraq di oggi, tenere in ostaggio delle donne, e poi due donne così vicine agli iracheni. Come mostrarle in un video? Come rivendicare il sequestro? Come rendersi identificabili e credibili per chi deve allargare i cordoni della borsa?

Nel caos della comunicazione scatenato dai messaggi in rete, i sequestratori possono avere deciso di tenersi lontano dagli abituali mezzi utilizzati dalla guerriglia e dai terroristi. Si sono ricordati di quel vecchio contatto, di Issam Fahm. Gli hanno telefonato l'altra notte. Ha ragione Alì Rooz. Se la fonte è buona, tornerà a farsi sentire. Se tornerà a farsi sentire, il sequestro delle nostre due Simone entrerà in un nuovo, più delicato momento.

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