Da La Repubblica del 28/09/2004

La Cina sfida l´incubo smog via libera solo alle auto pulite

Traffico caos e cancro ai polmoni in aumento, il governo impone motori meno inquinanti che negli Stati Uniti
Il paradosso è che la General Motors dovrà fabbricare qui modelli più verdi rispetto a quelli in vendita nel suo paese

di Federico Rampini

PECHINO - George Bush riceve una lezione di ecologia e risparmio energetico da dove meno se l´aspetta: per combattere lo smog e ridurre i consumi petroliferi, la Cina vara per le sue automobili dei limiti ai gas di scarico più severi di quelli americani. Con un´altra iniziativa che risponde ai desideri degli ambientalisti, Pechino inaugura anche una revisione delle sue statistiche ufficiali per introdurre il "Pil verde". E´ una nuova definizione del Prodotto interno lordo che non si accontenta di misurare l´aumento della ricchezza materiale, ma ne sottrae i costi per la distruzione della natura e i danni alla salute.

Questi segnali di una conversione "verde" da parte delle autorità cinesi avvengono per la verità sotto la pressione di un´emergenza ambientale senza precedenti. Se ogni paese ha conosciuto punte di inquinamento in coincidenza con le fasi di rapida industrializzazione - fu leggendario lo smog londinese dell´800 - il boom economico cinese è unico per rapidità e dimensioni; ha portato un paese di 1,3 miliardi di abitanti dal Terzo mondo al rango di superpotenza industriale in due decenni.

La coltre di polvere tossica che ricopre quotidianamente Pechino e Shanghai, Chongqing e Guangzhou, è un fenomeno che neanche i leader del partito comunista possono fingere di ignorare. Già nel 1999 l´allora primo ministro Zhu Rongji sbottò in pubblico, accusando il sindaco di Pechino: «Lavorando in questa città la mia vita si accorcerà di cinque anni». Forse non immaginava neanche lui di essere letteralmente profetico. In questi giorni uno studio della Croce rossa rivela che il 75% degli abitanti delle grandi città cinesi soffrono di patologie urbane legate al traffico e all´inquinamento; e per la prima volta dopo anni di progresso nella longevità, la speranza di vita media dei cittadini ha cominciato ad arretrare. Il calo della longevità colpisce i colletti bianchi, le persone più istruite, cioè proprio le categorie socio-professionali nel nuovo ceto medio urbano. A Zhongguancun, detta la "Silicon Valley" di Pechino per l´alta concentrazione di industria tecnologica, si muore in media a soli 53 anni contro una longevità nazionale di 72 anni. Secondo la Banca mondiale la Cina ha 16 tra le 20 città più inquinate del pianeta. Quattrocentomila decessi prematuri avvengono ogni anno per cancro ai polmoni e malattie respiratorie, di gran lunga la prima causa di mortalità.

Oltre a quelli umani, anche i danni economici sono considerevoli. Sempre il vecchio Zhu Rongji quand´era primo ministro arrivò a proporre di spostare la capitale, dopo che nel 2000 Pechino fu flagellata da undici uragani di sabbia: una conseguenza della progressiva desertificazione che ha diradato i boschi e le barriere naturali contro i venti del deserto. Le piogge acide costano ogni anno 13 miliardi di dollari in danni alla salute, all´agricoltura e alle foreste. L´insieme delle devastazioni ambientali distruggono 170 miliardi di dollari all´anno, il 12% del Pil cinese.

Le cause del disastro ecologico sono diverse. C´è l´uso prevalente del carbone, di cui la Cina è ricchissima, come combustibile per il riscaldamento urbano e per le centrali elettriche (questo sta spingendo le autorità di Pechino verso il nucleare come alternativa meno inquinante, anche se impopolare tra i verdi). C´è il boom di consumi di prodotti difficilmente riciclabili: alla periferia di Shanghai si sono accumulate discariche di 100.000 tonnellate di computer e frigoriferi, condizionatori d´aria e telefonini, i rifiuti del nuovo benessere cinese. Ma la causa prevalente dell´inquinamento urbano, come in tutto il mondo, è l´automobile. La motorizzazione di massa procede inesorabile, in un paese dove le dimensioni del fenomeno fanno impallidire qualunque paragone. La Pechino delle biciclette di vent´anni fa ha lasciato il posto a una megalopoli costantemente intasata dal traffico, nonostante gli investimenti massicci per adeguare la rete stradale: la capitale è ormai un reticolato di "autostrade urbane" a otto-dodici corsie, con sei anelli concentrici di scorrimento e circonvallazione, il più largo dei quali racchiude una superficie uguale al Belgio. Eppure la circolazione avanza a passo d´uomo a tutte le ore del giorno. Shanghai non sta meglio, al punto da vendere a un´asta competitiva ogni mese le targhe automobilistiche per razionare le nuove immatricolazioni. Il parco auto nazionale supera i 25 milioni di vetture, per ora concentrate nelle grandi città, ma il ministero dei Trasporti calcola che ce ne saranno 140 milioni in circolazione fra 15 anni, e la crescita si stabilizzerà solo dopo aver raggiunto i 250 milioni. Sono stime prudenti, perché escludono che in un futuro anche lontano la diffusione dell´automobile possa arrivare a livelli americani: in quell´ipotesi infatti il parco-macchine cinese potrebbe arrivare fino a 600 o 800 milioni, quante ce ne sono oggi su tutto il pianeta.

Pechino non può permettersi che questa crescita esponenziale distrugga l´ultimo ossigeno ancora disponibile. Di qui la decisione presa nei giorni scorsi, di imporre alle case automobilistiche dei massimali rigorosi sui gas di scarico. Entro il luglio 2005, stabilisce la nuova legge, ogni nuova vettura fabbricata o importata in Cina dovrà percorrere almeno 30 miglia con un gallone di benzina (più le auto sono econome in benzina, meno inquinano). E´ una regola più severa di ben due miglia a gallone rispetto a quella in vigore negli Stati Uniti. Diventerà ancora più rigorosa nel 2008, quando scatta la seconda fase della riforma cinese e le auto dovranno essere più "risparmiose" di cinque miglia. Negli Stati Uniti invece - con l´eccezione della California - l´Amministrazione Bush ha sempre ceduto alle pressioni dell´industria automobilistica. Perciò a Washington non sono passati quegli standard più severi che sarebbero richiesti dal Trattato di Kyoto per la limitazione delle emissioni carboniche. Il paradosso è che la General Motors, secondo produttore di auto in Cina, fabbricherà modelli meno inquinanti qui, rispetto a quelli in vendita nel suo paese.

Insieme con le regole sui gas di scarico, parte un esperimento interessante per misurare in modo diverso la crescita economica. Con il via libera del governo centrale, sei tra regioni e province che includono grandi aree metropolitane (Pechino, Shanghai, il Guangdong, Jilin, Shaanxi) cominciano a raccogliere le statistiche del loro reddito sottraendo il costo delle distruzioni ambientali. L´esperimento è assistito dagli economisti dell´Accademia delle scienze sociali di Pechino, che hanno già svalutato di un terzo il Pil dello Shanxi, a causa dei danni provocati alle risorse naturali. E´ il concetto di "Pil verde", difeso dal ministro dell´Ambiente Pan Yue. Cita questo dato: «Nelle grandi città i bambini respirano un´aria così inquinata che le radiografie ai loro polmoni sono identiche a quelle di chi fuma due pacchetti di sigarette al giorno». Il "Pil verde" dovrebbe servire a cambiare la cultura della crescita economica, incorporando finalmente anche la qualità dello sviluppo.

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