Da La Stampa del 01/10/2004

Il risultato delle prime dichiarazioni delle due volontarie, «torneremo in Iraq», «ci hanno trattate bene»

Simona e Simona parlano, addio Italia bipartisan

di Pierluigi Battista

Svanito sulle scalette dell’aereo che ha riportato Simona Pari e Simona Torretta in Italia, aeroporto di Ciampino. E che fine ha fatto quel clima di concordia nazionale, l’idea che il rilascio delle due volontarie sequestrate avesse alimentato miracolosamente un’atmosfera di comune sentire, la sensazione che gli italiani di destra e gli italiani di sinistra avessero trepidato insieme mentre le due connazionali erano nelle mani dei rapiti e che insieme avessero palpitato quando le due ragazze hanno assaporato la libertà? Dissolto alle prime parole della coppia che oramai appare stucchevole, oltre che corrivo, ripetitivo, lessicalmente scorretto, definire «le due Simone». C’è un’Italia molto di sinistra, molto arcobaleno, no war, pacifista, anti-Bush, anti-Berlusconi, che le adora come icone dell’«altro-mondo-possibile». Ma c’è un’Italia che vota prevalentemente a destra, che è allergica alla retorica buonista, che come Vittorio Feltri vorrebbe rimandare a casa a ceffoni due ragazze bollate come irresponsabili, che nel giro di una manciata di ore ha cominciato a detestarle, «quelle due». Scampato il pericolo, la tregua bipartisan e istituzionale può finire o non finire, a seconda delle circostanze e della volontà dei due schieramenti. Ma questo attiene alla sfera politica. Sul piano simbolico e antropologico, invece, la tregua, effimera e fragilissima, si è già frantumata. Il tempo di qualche fermo immagine da un aeroporto romano in festa e subito riaffiorano le due Italie che si guardano in cagnesco, che non comunicano, che sono l’una lo specchio rovesciato dell’altra.

C’è un’Italia che non ama affatto le «due Simone», che non ne tollera il modo di parlare, di vestire, di argomentare, che ne diffida, che le considera espressione di un mondo alieno. Questo sentimento ribolliva già quando Pari e Torretta erano sotto sequestro, ma non si poteva dire, era sconveniente persino pensarlo, mentre in Iraq infuriava la mattanza dei decapitatori. Ora che le «due Simone» hanno avuto parole non vendicative per i loro rapitori, che hanno ringraziato la comunità musulmana prima del governo e della Croce Rossa (ma in conferenza stampa, ieri, hanno chiarito l’equivoco), che hanno omesso ogni riferimento solidale a quei poveretti che sono ancora ostaggi in Iraq, che hanno subito proclamato la necessità del ritiro delle truppe in Iraq, quel sentimento è esploso incontenibile. Persino il loro orgoglio nell’indossare le tuniche regalate dai rapitori ha rinfocolato l’avversione dell’Italia anti-«due Simone». Il Secolo d’Italia, sebbene Gianfranco Fini fosse presente alla lieta cerimonia d’accoglienza di Ciampino, spara in prima pagina: «Trattamento di lusso per le pacifiste italiane». Il Giornale: «Le Simone ringraziano: l’Islam». Libero: «E le vispe Terese tornano in Iraq». L’Indipendente: «Ora basta con i dilettanti in Iraq. Il governo proibisca Baghdad ai volontari». Ha scritto Ruggero Guarini: «una felicità così assoluta lascia sospettare che queste simpatiche e generose ragazze impavidamente votate alla causa umanitaria, che per loro a quanto sembra si confonde un po’ con quella anti-occidentale, non abbiano capito bene che cosa è loro realmente accaduto». Giuliano Ferrara, beffardamente, chiede sul Foglio a «Un ponte per...» di fare una colletta per restituire i soldi del presumibile riscatto prima che le due volontarie decidano di imbarcarsi un’altra volta in un aereo di Baghdad: e del resto, il governo di Tokyo non ha provveduto alla richiesta di restituzione del riscatto per i giapponesi sequestrati e poi liberati in Iraq? Visto e considerato con un certo sollievo l’aspetto, se non florido, comunque fortunatamente sano delle due ragazze, persino una persona mite come Cinzia Leone, che ha disegnato il Riformista, un giornale di sinistra che l’estrema sinistra considera un po’ di destra, ha inviato una mail a quel giornale con una battuta feroce regolarmente pubblicata: «Caro direttore, vi faccio vedere come ingrassa un’italiana». Micidiale.

E’ finita la concordia, se non sul piano della politica, certamente su quello dei modi di pensare più diffusi. Una spaccatura profonda nell’opinione pubblica appare più tenace di ogni rappresentazione «unitaria» e armonica. Del resto è stato così, a parti rovesciate, quando ad essere sotto sequestro in Iraq erano guardie del corpo italiane molto diverse dalle «operatrici di pace», e quei poveretti umiliati in qualche tugurio iracheno vennero subito bollati a sinistra come «mercenari», antropologicamente immeritevoli persino di pietas, figurarsi di concordia nazionale. E sul povero Quattrocchi, morto ammazzato, fiorì subito la leggenda del «camerata» i cui funerali il sindaco di Genova Pericu, di centro-sinistra, volle platealmente disertare. E’ stato così per il povero Baldoni, trattato dalla stampa di destra come un pubblicitario annoiato amante di emozioni forti e di vacanze irachene da brivido. Solo dopo il massacro dei nostri soldati a Nassiriya la «solidarietà nazionale» è apparsa più forte e convincente, ma anche di quei momenti di coesione solidale si è persa traccia nell’opinione pubblica. Le due Italie che non si amano, che non si riconoscono e che non riconoscono l’un l’altra legittimità e cittadinanza, riemergono appena passata la piena delle emozioni e il conforto di un ritorno inatteso. Colpisce, nel caso delle «due Simone», l’impressionante rapidità di una svolta emotiva che fa apparire già obsolete le immagini di quell’aereo atterrato sotto i riflettori e in presenza di un’Italia apparentemente unita. Lo spirito bipartisan, evidentemente, non gode di grande popolarità.

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