Da Corriere della Sera del 06/10/2004
Nella notte il dibattito tv tra i vice su politica interna ed estera
Nel caos dei sondaggi il duello senza quartiere tra Edwards e Cheney
Dati contraddittori si rincorrono ogni giorno sui media Usa
di Ennio Caretto
WASHINGTON - Nella notte dell'unico dibattito elettorale in tv tra il vicepresidente Richard Cheney, l'esponente degli interessi industriali e finanziari nella politica, e l'avversario democratico John Edwards, l'avvocato che li ha sempre combattuti, un'ondata di sondaggi, in maggioranza a favore del presidente Bush, si è abbattuta sugli americani.
Mentre due sondaggi del weekend, Newsweek e Los Angeles Times , avevano dato John Kerry in testa, un trauma per i repubblicani e una sorpresa per l'America, quelli di ieri, Washington Post , Zogby , Pew Center , Rasmussen , hanno unanimamente assegnato un netto vantaggio a Bush. Più leggero lo scarto nella rilevazione di FoxNews . Un quadro molto altalenante, anche perché secondo altri due sondaggi, New York Times e Gallup , il presidente e il senatore sarebbero in assoluta parità.
Per Larry Sabato, uno dei massimi esperti di elezioni, è la conferma che il voto del 2 novembre si profila tra i più incerti della storia Usa. «Non mi sorprende che i sondaggi siano così contraddittori - dichiara Larry Sabato. - Quello del presidente è un vantaggio labile, che entro la fine della settimana, dopo il confronto tra Cheney ed Edwards e il secondo tra Bush e Kerry venerdì potrebbe sia evaporare sia consolidarsi. Lo rendono labile - aggiunge - l'elevata percentuale di nuovi elettori, la volubilità del pubblico, l'indecisione degli Stati pendolo, il mancato collaudo dei sistemi elettronici di voto, e così via. E' una situazione ancora più confusa che nel 2000».
L'incertezza ha trasformato il dibattito tra Cheney, per i democratici «il cattivo» di Washington, ed Edwards, irriso dai repubblicani come «il bello», in una battaglia senza esclusione di colpi. Seduti dalle 21 alle 22.30 locali, le 3 e le 4.30 di stamane in Italia, a un tavolo a Cleveland, la Milano dell'Ohio, lo Stato in bilico per antonomasia, il vicepresidente e il senatore hanno tentato di demolirsi vicendevolmente sull'Iraq, il terrorismo, l’economia, l'assistenza sanitaria. Echeggiando Bush, Cheney ha ammonito che eleggere Kerry sarebbe pericoloso per la pace mondiale e significherebbe pagare più tasse. Edwards lo ha sfidato a confessare di avere sbagliato in Iraq, come ammesso da Paul Bremer, l'ex proconsole Usa a Bagdad, e lo ha accusato di estremismo di destra.
Lo sguardo rivolto ai sondaggi, Cheney ha lanciato agli elettori il messaggio che Bush è un insostituibile baluardo al terrorismo e una garanzia di ripresa per l'economia. Edwards, che poche ore prima alla tv aveva sostenuto che «per votare il presidente bisogna essere fuori di testa», gli ha contrapposto il piano di Kerry per risolvere la crisi irachena e rinfacciato i legami con la Halliburton, la sua ex società coinvolta in scandali a Bagdad.
Tutti punti su cui si erano soffermati i sondaggi di questi giorni. «I dibattiti - commenta Larry Sabato - ne sono influenzati e a loro volta li influenzano. Per questo, il responso delle tv sarà più importante che in passato». Più che sui dati principali dei nuovi sondaggi - chi è avanti e chi è indietro - repubblicani e democratici si soffermano sulle loro valutazioni politiche. I dati sono chiari: il New York Times ha assegnato sia a Bush sia a Kerry il 47 per cento dei voti; il Washington Post il 51 per cento a Bush e il 46 per cento a Kerry; lo Zogby rispettivamente il 46 e il 43 per cento; il Pew Center il 49 e il 44 per cento; il Rasmussen il 49 e il 46 per cento. Questi 3-5 punti percentuali in più del presidente sono la metà di quelli di un mese fa, segno che il senatore sta colmando il distacco.
Ma dalle valutazioni dei sondaggi emerge un segnale contrario: Bush è il candidato che dice ciò che pensa, Kerry è il candidato che dice ciò che pensa che il pubblico voglia sentire. In merito, il sondaggio Pew è il più preciso. Il 57 per cento degli elettori considera il presidente «coerente», il 48 per cento ritiene che il senatore cambi spesso idea: «Le loro immagini - spiega Andrew Kohut, il direttore del Center - sono quasi scolpite nella pietra. Per cambiarle, Kerry deve stravincere i due prossimi dibattiti». Il New York Times riflette valutazioni analoghe: Kerry ha fatto molta strada, il 41 per cento dell'elettorato lo considera capace di gestire l'Iraq, e il 39 per cento di combattere il terrorismo; ma per Bush le percentuali sono del 51 e 52 per cento. Il senatore, famoso per il suo sprint finale, è chiamato a dimostrare di non averlo perso. C'è poi un sondaggio Internet indipendente che dà Bush vincente tra i Grandi elettori, i delegati degli Stati, 292 a 200, 22 in più del necessario.
Mentre due sondaggi del weekend, Newsweek e Los Angeles Times , avevano dato John Kerry in testa, un trauma per i repubblicani e una sorpresa per l'America, quelli di ieri, Washington Post , Zogby , Pew Center , Rasmussen , hanno unanimamente assegnato un netto vantaggio a Bush. Più leggero lo scarto nella rilevazione di FoxNews . Un quadro molto altalenante, anche perché secondo altri due sondaggi, New York Times e Gallup , il presidente e il senatore sarebbero in assoluta parità.
Per Larry Sabato, uno dei massimi esperti di elezioni, è la conferma che il voto del 2 novembre si profila tra i più incerti della storia Usa. «Non mi sorprende che i sondaggi siano così contraddittori - dichiara Larry Sabato. - Quello del presidente è un vantaggio labile, che entro la fine della settimana, dopo il confronto tra Cheney ed Edwards e il secondo tra Bush e Kerry venerdì potrebbe sia evaporare sia consolidarsi. Lo rendono labile - aggiunge - l'elevata percentuale di nuovi elettori, la volubilità del pubblico, l'indecisione degli Stati pendolo, il mancato collaudo dei sistemi elettronici di voto, e così via. E' una situazione ancora più confusa che nel 2000».
L'incertezza ha trasformato il dibattito tra Cheney, per i democratici «il cattivo» di Washington, ed Edwards, irriso dai repubblicani come «il bello», in una battaglia senza esclusione di colpi. Seduti dalle 21 alle 22.30 locali, le 3 e le 4.30 di stamane in Italia, a un tavolo a Cleveland, la Milano dell'Ohio, lo Stato in bilico per antonomasia, il vicepresidente e il senatore hanno tentato di demolirsi vicendevolmente sull'Iraq, il terrorismo, l’economia, l'assistenza sanitaria. Echeggiando Bush, Cheney ha ammonito che eleggere Kerry sarebbe pericoloso per la pace mondiale e significherebbe pagare più tasse. Edwards lo ha sfidato a confessare di avere sbagliato in Iraq, come ammesso da Paul Bremer, l'ex proconsole Usa a Bagdad, e lo ha accusato di estremismo di destra.
Lo sguardo rivolto ai sondaggi, Cheney ha lanciato agli elettori il messaggio che Bush è un insostituibile baluardo al terrorismo e una garanzia di ripresa per l'economia. Edwards, che poche ore prima alla tv aveva sostenuto che «per votare il presidente bisogna essere fuori di testa», gli ha contrapposto il piano di Kerry per risolvere la crisi irachena e rinfacciato i legami con la Halliburton, la sua ex società coinvolta in scandali a Bagdad.
Tutti punti su cui si erano soffermati i sondaggi di questi giorni. «I dibattiti - commenta Larry Sabato - ne sono influenzati e a loro volta li influenzano. Per questo, il responso delle tv sarà più importante che in passato». Più che sui dati principali dei nuovi sondaggi - chi è avanti e chi è indietro - repubblicani e democratici si soffermano sulle loro valutazioni politiche. I dati sono chiari: il New York Times ha assegnato sia a Bush sia a Kerry il 47 per cento dei voti; il Washington Post il 51 per cento a Bush e il 46 per cento a Kerry; lo Zogby rispettivamente il 46 e il 43 per cento; il Pew Center il 49 e il 44 per cento; il Rasmussen il 49 e il 46 per cento. Questi 3-5 punti percentuali in più del presidente sono la metà di quelli di un mese fa, segno che il senatore sta colmando il distacco.
Ma dalle valutazioni dei sondaggi emerge un segnale contrario: Bush è il candidato che dice ciò che pensa, Kerry è il candidato che dice ciò che pensa che il pubblico voglia sentire. In merito, il sondaggio Pew è il più preciso. Il 57 per cento degli elettori considera il presidente «coerente», il 48 per cento ritiene che il senatore cambi spesso idea: «Le loro immagini - spiega Andrew Kohut, il direttore del Center - sono quasi scolpite nella pietra. Per cambiarle, Kerry deve stravincere i due prossimi dibattiti». Il New York Times riflette valutazioni analoghe: Kerry ha fatto molta strada, il 41 per cento dell'elettorato lo considera capace di gestire l'Iraq, e il 39 per cento di combattere il terrorismo; ma per Bush le percentuali sono del 51 e 52 per cento. Il senatore, famoso per il suo sprint finale, è chiamato a dimostrare di non averlo perso. C'è poi un sondaggio Internet indipendente che dà Bush vincente tra i Grandi elettori, i delegati degli Stati, 292 a 200, 22 in più del necessario.
Sullo stesso argomento
Articoli in archivio
di Timothy Garton Ash su La Repubblica del 20/11/2004
L´America dei devoti non è arretrata, ma moderna e combattiva. Per fare proseliti usa blog e siti web
Il segreto dei militanti della fede vincere con le armi del nemico
Il segreto dei militanti della fede vincere con le armi del nemico
di Simon Schama su The Guardian del 18/11/2004
di Massimo L. Salvadori su La Repubblica del 18/11/2004