Da La Repubblica del 08/10/2004

"Gheddafi leader della libertà"

Berlusconi, patto con Tripoli: gli esuli riammessi in Libia

L´incontro fra i due leader nella tenda nel deserto. Il Cavaliere: faccia tornare gli italiani nati qui
Il premier all´ospite: "Il 7 ottobre non sia più giorno di vendetta ma festa dell´amicizia fra i nostri popoli"

di Claudia Fusani

MELITTAH (Libia) - «E´ dal profondo del cuore che chiedo al leader di far tornare in questa terra quegli italiani che hanno avuto l´onore di nascere qui ma poi non ci sono più potuti tornare». Ora Silvio Berlusconi scandisce bene le parole: «E chiedo di mettere dietro le spalle per sempre il nostro passato di dolore e di guardare un futuro comune di pace e di benessere». Il colonnello Gheddafi prende la parola poco dopo, e dopo mezz´ora di retorica si rivolge ai rappresentati del Congresso del Popolo seduti sotto le tende beduine e rivolge a loro la richiesta «del caro amico Berlusconi». La risposta è un applauso. Il leader soddisfatto chiosa: «Questo è lo spirito di collaborazione e di pace che deve prevalere tra i popoli del Mediterraneo, soprattutto tra Italia e Libia». Trentaquattro anni dopo Italia e Libia tornano «amiche». Gli italiani di Libia, cacciati nel 1970 dopo la rivoluzione, potranno tornare.

L´annuncio arriva alle 18.30 di ieri pomeriggio dalle parole del leader e dagli applausi del Congresso del Popolo che grida: «El fatah, el fatah», evviva il capo. «Inshalla», azzarda Silvio Berlusconi.

Un pezzo di storia italiana spesso dimenticata diventa protagonista in questo angolo di deserto a cento chilometri da Tripoli nel giorno tanto atteso per l´avvio del gasdotto dell´Eni. Colloqui, incontri, telefonate tra Roma e Tripoli, poi la scelta del 7 ottobre per inaugurare il possente impianto. Una data scelta non a caso: nel calendario della Jamahiria socialista è «il giorno della vendetta». Il 7 ottobre del 1970 Gheddafi e la Libia rivoluzionaria cacciarono dalla sera alla mattina ventimila italiani privandoli di tutte le loro proprietà. Una ferita mai più rimarginata, fino a ieri.

Berlusconi e Gheddafi arrivano insieme alle 18 al campo di Melittah. Prendono posto sotto una grande tenda beduina circondata da altre due tende occupate dai leader dei paesi africani e dalle delegazioni del Congresso del Popolo. Berlusconi parla per sette minuti. sette minuti di elogi che culminano con «leader della libertà».

«Una grande soddisfazione, mi prende il cuore nel vedere insieme la bandiera italiana e della Jamahiria» inizia il premier. Parla dei «progetti comuni nell´archeologia, nella cultura e ora anche in questo possente impianto energetico». Però serve ancora qualcosa di più: «Il 7 ottobre deve diventare qualcosa di nuovo, che guarda il futuro, non più il giorno della vendetta ma la festa della cooperazione e dell´amicizia tra i nostri popoli». Lo chiede direttamente al leader. Il protocollo della cerimonia prevede ora l´avvio del gasdotto. Berlusconi si avvia verso i rubinetti e, mentre il sole tramonta, le tre torce si accendono. Poi tocca a Gheddafi prendere la parola. Ricorda «l´Italia coloniale e fascista», le «occupazioni e le vendette». «Gli italiani - ammette il colonnello - vorrebbero cacciare via i ricordi e i simboli di questa storia. Ma per noi è diverso perché ogni famiglia non può dimenticare il buio di quell´epoca». Sembra quasi un no alla proposta di Berlusconi. Ma Gheddafi sterza all´improvviso. Ringrazia Berlusconi che «si è così impegnato per la fine dell´embargo e ha interrotto i suoi impegni per venire qui a dichiarare al mondo che Italia e Libia sono amici, collaborano, si scambiano reciproca utilità e non inimicizia». Quindi il via libera al ritorno degli italiani. «Avremmo voluto farlo prima senza colonialismo né vendette». Dopo l´ultimo saluto sotto la tenda, il colonnello si allontana fra un esercito di guardie del corpo. Il riavvicinamento tra Italia e Libia, iniziato ufficialmente nel 1998, ha messo a segno due punti chiave: Roma ha costruito un ospedale a Bengasi, Tripoli concederà di nuovo il visto agli italiani di Libia. Nel mezzo c´è un patto di polizia e sicurezza contro l´immigrazione clandestina e un altro per lo sviluppo dei paesi africani. Resta ancora molto da chiarire, soprattutto soldi e altre riparazioni economiche. «Ma quello che è successo qui oggi è molto importante» si emoziona don Giovanni, il vescovo di Tripoli.

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