Da La Repubblica del 13/10/2004

Sfila la Spagna di Zapatero fuori dall´Iraq ma non pacifista

Anche gli ex franchisti nella grande parata militare

Anche i legionari francesi con le forze armate che marciano a Madrid
L´esercito partirà per Haiti e incasserà un aumento del budget del 4 per cento
Fianco a fianco veterani della guerra civile che combatte-rono su sponde opposte
Per la prima volta anche un volontario della Divisione Azzurra franchista

di Guido Rampoldi

MADRID - Più che una sfilata militare sembra una rappresentazione della Spagna nell´era Zapatero: proiezioni internazionali e questioni aperte. Le Forze armate che marciano per il paseo della Castellana si preparano per una nuova missione (Haiti) e dovrebbero incassare dal governo un aumento della spesa militare del 4 per cento: Zapatero ha lasciato l´Iraq ma non è un pacifista. Al contrario dell´anno scorso non ci sono i marines né la bandiera degli Stati Uniti. «Perché non siamo più insieme in Iraq», minimizza il ministro della Difesa Bono. Invece ecco il tricolore del nuovo grande alleato, la Francia: è lo stendardo di quella Division Leclerc che sessant´anni fa, quando partecipò alla liberazione di Parigi, era composto per gran parte da partigiani spagnoli. Scontata l´assenza del governo basco, sul palco delle autorità compare, anche questa una novità, il governo catalano: però sola la parte socialista, perché l´altra, indipendentista, diserta per principio la festa d´una nazione che considera straniera, la Spagna. Ma l´effetto più teatrale è affidato a due vegliardi che camminano appaiati, aprendo il corteo di familiari di spagnoli uccisi in Iraq, per mano dell´Eta e nell´attentato dell´11 marzo. Sono entrambi veterani della Guerra civile (1936-1939): uno combatté con la Repubblica e dunque rappresenta i vinti, l´altro con i nacionalistas di Franco, i vincitori. Anche Aznar reinterpretava la storia in modo creativo, e di recente ha sconcertato una platea americana spiegando come «il problema che la Spagna ha con Al Qaeda non comincia con la crisi dell´Iraq: bisogna tornare indietro di 1300 anni, al principio del secolo ottavo, quando la Spagna, appena invasa dai Mori, rifiutò di convertirsi in un altro pezzo del mondo islamico». Ragionando con quest´ordine di grandezze noi italiani potremmo scoprire che Bin Laden è un saracino e vuole vendicare lo sbarco dei Normanni nella Sicilia araba. Però Aznar non avrebbe mai osato far sfilare, accanto ad un "repubblicano", un vecchio volontario della Divisione Azzurra, quella che prima combatté nella Guerra civile agli ordini di Franco, e poi in Russia agli ordini del Reich.

Al lettore italiano tutto questo forse suonerà familiare: due anni fa, nella parata del 2 giugno, vedemmo un plotone vestito nella stessa uniforme con cui le truppe italiane combatterono gagliardamente ad el Alamein; e se avessero vinto, avrebbero permesso ad Hitler di sterminare tutti gli ebrei della Palestina. Ma in Spagna queste mascherate ancora sorprendono. Così la sinistra post-comunista diserta la sfilata, e anche opinionisti liberali sono critici. Sicuramente ha ragione uno dei due reduci marcianti, il "repubblicano" novantaseienne Daniel Fernandez, quando dice che nel ?36 fu il caso a stabilire in quale dei due campi avrebbero combattuto tanti spagnoli come lui. Ma il governo di quell´epoca, regolarmente eletto, può essere posto sullo stesso piano d´un golpismo che scatenò la guerra civile e tiranneggiò la Spagna per 36 anni? E soprattutto perché i socialisti si sono esposti a critiche prevedibili per mimare la riconciliazione tra due Spagne nemiche quando ieri mattina bastavano le cordialità tra Zapatero e i deputati della destra per dimostrare che quel passato è sepolto?

Non si può capire il senso di quello spettacolo paradossale se non si tiene a mente che dal tempo della transizione una larga parte della società spagnola s´è abituata a considerare come sempre riproducibili le violenze spaventose occorse durante la Guerra civile, e dunque come facinoroso chi intacca il patto della riconciliazione. A questa Spagna la destra del Partido popular nei giorni scorsi raccontava che i socialisti «stanno ricreando l´atmosfera che precedette la Guerra civile». Sarebbero "guerraciviliste" due direttrici in cui muove il Psoe di Zapatero, l´una per riconoscere alcuni diritti ai familiari degli sconfitti, l´altra per varare riforme che la Chiesa considera un attacco alla fede. Ma non è solo la demagogia che oggi ricorre alla memoria. Ad esempio un pensatore neutrale come Joaquìn Luis Ortega spiega con quest´analogia perché a suo avviso Zapatero stia commettendo un errore: come settant´anni fa «ostilità governative e alcune azioni incendiarie obbligarono la Chiesa a cercare rifugio (nel campo franchista)», così il governo socialista rischia di consegnare il vertice ecclesiastico alla destra.

Anche se non si vede quale relazione possa intercorrere tra i socialisti del Psoe e i forsennati che nel ?36-39 ammazzarono settemila religiosi, queste similitudini spericolate non sono innocue. E spiegano perché ieri il cattolicissimo ministro della Difesa abbia voluto offrire lo spettacolo rassicurante della riappacificazione. Ma se a settant´anni di distanza la memoria è ancora così acuta e deformante, allora bisogna chiedersi se non abbiano ragione quanti oggi sostengono che in Spagna le virtù della transizione sono diventate i vizi della democrazia.

Cos´è accaduto? Alla morte di Franco i partiti e la società spagnola convennero su una lettura del passato che secondo Paloma Aguilar, autrice di vari saggi sulla memoria della Guerra civile, rese possibile un processo di «apprendimento collettivo» della democrazia. «Si arrivò alla conclusione che nessuna delle due parti fu più colpevole dell´altra. E si generalizzò la colpa nei termini di "follia collettiva". Così la principale lezione della transizione divenne il "nunca mas": mai più deve ripetersi in Spagna una tragedia simile». Esplicitato nell´amnistia del 1977, questa rinuncia a scindere responsabilità aiutò la democrazia a superare anni difficili, quando disordini e un colpo di Stato erano possibilità concrete. I partiti presero l´impegno di evitare un uso politico della memoria e lo mantennero almeno fino alla campagna elettorale del ?93, secondo la Aguilar.

Si rinunciò in partenza a una commissione-verità, e in generale a fondare la Spagna nuova su una tradizione etico-politica quale fu l´antifascismo per l´Italia. Ma a questo modo si lasciò il terreno libero alla manipolazione dei nazionalismi etnici: il basco e il catalano sono riusciti con successo a reinventare la storia «in chiave vittimista», dice la Aguilar. «Ciascuno a suo modo, entrambi affermano che nessuno come gli eroici baschi (o gli eroici catalani) soffrì la repressione del franchismo: dunque la Spagna avrebbe un debito storico nei loro confronti. Questa rappresentazione è falsa e omette totalmente il contributo, soprattutto basco, alla vittoria di Franco».

Inoltre l´indipendentismo ha potuto propalare l´immagine d´una Spagna immutabile, governi Franco o Zapatero. Questa falsificazione ora è contrastata da un´iniziativa promessa dai socialisti: per la prima volta sarà possibile scavare le fosse comuni e disseppellire i resti delle vittime del franchismo, come finora è avvenuto solo nei Comuni amministrati dalle sinistre. Perché questo è possibile solo ora? Secondo la Aguilar perché è entrata in scena una nuova generazione, la sua e quella di Zapatero, che non si porta dentro «la paura dei nonni e il senso di colpa dei padri». Sono spagnoli che possono guardare la verità senza abbassare gli occhi. Inoltre Zapatero è nipote d´un repubblicano fucilato. Al contrario di molti altri leader socialisti, figli di vincitori, ha familiarità con la tragedia dei vinti, costretti all´esilio (un milione), fucilati nel dopoguerra (trentamila) o lasciati morire di fame e di malattia nei lager (un numero tuttora imprecisato), espulsi dai posti di lavoro (trecentomila), derubati di proprietà che mai hanno potuto riavere. Non basterebbe questo a dimostrare che la transizione poggiava su una gigantesca ipocrisia? Che era indecente, allora come oggi, l´idea d´una simmetria tra vinti e vincitori? E che proprio questa offesa alla giustizia e al senso etico spiega perché la Spagna sia ipersensibile ad una memoria irrisolta, sanguinante? Ne converrebbero alcuni storici. La Aguilar è meno perentoria. A suo giudizio la Spagna della transizione non si mentì quando affermò una simmetria tra le infamie commesse nei due campi durante la Guerra civile, «anche se le atrocità dai repubblicani furono meno massive e più spontanee». La storiografia recente non concede molto all´immagine idilliaca del collettivismo repubblicano quale traspare da "Cataluna" di Orwell o dal film "Tierra libre" di Ken Loach (stando per esempio ad una storiografia del marginale come "A ras de suelo" dell´americano Michael Seidman, «spesso non esisteva alcuna solidarietà nei collettivi agricoli, fossero anarchici o socialisti», e le donne erano relegate nei ruoli più umili). Invece comincia a acquistare un profilo quella che alcuni storici ora chiamano «la terza Spagna»: e cioè la Spagna, spiega la Aguilar, «che restò leale alla Repubblica e in buona misura ai metodi democratici», e tuttavia fu considerata nemica, e talvolta fucilata, non solo dai franchisti ma anche dalla sinistra radicale. Intellettuali come Ortega y Gassett, partiti repubblicani, alcuni leader anarchici: la parte migliore del Paese. Inutile cercare analogie tra questa «terza Spagna» e l´Italia che non si schierò né con Salò né con i partigiani, ricavandone più tardi la comprensione di De Felice. La terza Spagna fu sempre dalla parte della legalità repubblicana contro Franco e i golpisti. Invece quell´Italia applaudì Mussolini malgrado Matteotti e le leggi razziali, e se ne disamorò solo quando tutto volse al peggio.

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