Da La Repubblica del 13/10/2004

Nel nome del greggio e delle sue esigenze si riscrive la mappa geopolitica

Ora che Cina e India rincorrono l´america

Ben oltre il mondo arabo, il petrolio avvelena ovunque i rapporti tra Nord e Sud, tra Occidente e Oriente, esso è la droga che uccide il pianeta

di Federico Rampini

Il mondo è cambiato poco da El Alamein e Stalingrado: le due battaglie decisive della seconda guerra mondiale, combattute per l´accesso strategico alle regioni più ricche di petrolio. La mappa geopolitica dei conflitti armati, delle guerre civili, dei terrorismi che insanguinano il pianeta coincide in larga misura con quella delle riserve energetiche. Ben oltre il mondo arabo, il petrolio avvelena ovunque i rapporti tra Nord e Sud, tra Occidente e Oriente. La nostra dipendenza non è veramente diminuita, il petrolio resta la droga che sta uccidendo il pianeta.

Nel 1971 un celebre rapporto del Massachusetts Institute of Technology per il Club di Roma, intitolato I limiti dello sviluppo, profetizzò per la prima volta che la scarsità di petrolio avrebbe fermato la crescita economica. L´allarme fu tempestivo. Due anni dopo scoppiava la prima crisi energetica provocata dall´embargo Opec nella guerra arabo-israeliana dello Yom Kippur. Ma in realtà "i limiti dello sviluppo" si sono dimostrati meno stringenti di quanto si poteva immaginare. Malgrado le gravi recessioni mondiali provocate dagli shock petroliferi, malgrado la spirale di violenza collegata con la lotta per il controllo dell´energia, il nostro modello di sviluppo non è cambiato molto. Continuiamo a vivere in un´economia mondiale fondata sul petrolio.

La saggezza convenzionale degli economisti dice il contrario: il nostro modo di produzione oggi è meno energivoro che ai tempi delle "domeniche a piedi", nell´inverno del 1973-74. Per produrre una tonnellata di acciaio o un´automobile, la quantità di petrolio necessaria è diminuita sensibilmente. L´industria reagisce all´inflazione energetica adottando tecnologie più efficienti. Inoltre le economie dei paesi ricchi si sono rapidamente evolute verso il modello post-industriale, sono fondate sui servizi anziché sulla produzione materiale, quindi sono meno voraci di greggio. Ma questa descrizione è parziale e pecca di ottimismo. Non dà conto del fatto che gli Stati Uniti - pur essendo la società più opulenta, tecnologicamente avanzata e post-industriale del mondo contemporaneo - continuano ad avere anche il più alto consumo di petrolio pro-capite e vantano il primato nelle emissioni carboniche. Questo perché il caro-benzina non ha sempre quegli effetti virtuosi che ci si attende dalla legge del mercato. Anche oltre i 50 dollari il barile (un prezzo che comunque non ha ancora eguagliato i picchi degli anni ´80, se lo si depura dall´inflazione), i consumi non scendono sensibilmente. In mancanza di politiche pubbliche che spostino gli investimenti verso le fonti di energia rinnovabili, il petrolio rimane indispensabile per mantenere uno stile di vita a cui non siamo disposti a rinunciare. Paradossalmente, anzi, l´aumento delle quotazioni del greggio ha l´effetto di rendere redditizi gli investimenti delle compagnie petrolifere per l´esplorazione e l´estrazione dei giacimenti "marginali" finora trascurati, quelli dove il petrolio è più difficile da raggiungere e quindi più caro.

Per produrre una tonnellata di acciaio, è vero, le nuove tecnologie consentono di consumare meno energia di trent´anni fa. Ma intanto l´aumento del benessere ha fatto entrare nello stile di vita dell´americano e dell´europeo medio il gigantesco fuoristrada, l´aria condizionata, il viaggio frequente in aereo. Inoltre è successo che la tonnellata di acciaio oggi la produciamo sempre meno noi; la importiamo da paesi come la Cina dove le tecnologie industriali sono più arretrate, energivore ed inquinanti. La Cina per certi versi è addirittura allo stadio pre-petrolifero: essendo ricca di carbone, finora ha bruciato in prevalenza questa materia prima nelle sue centrali elettriche, nelle sue fabbriche e per riscaldare le abitazioni. Ma il carbone è ancora più inquinante del petrolio. Per ridurre lo smog e modernizzarsi, la Cina durante un certo arco di tempo dovrà diventare ancora più dipendente dal petrolio (già oggi ha sorpassato il Giappone come secondo importatore mondiale). Senza contare che in gran parte dell´Asia il boom della motorizzazione di massa è appena iniziato. Si stima che la Cina passerà da 25 a 140 milioni di automobili in 15 anni. L´India segue un percorso di sviluppo simile. Le emissioni carboniche intanto provocano danni irreversibili: non solo il buco dell´ozono e il surriscaldamento climatico, ma prima di tutto l´intossicazione degli esseri umani che causerà un aumento esponenziale di malattie respiratorie.

Prima ancora che con il cancro ai polmoni, il petrolio uccide alimentando la guerra e il terrorismo. Il caso di Osama Bin Laden e Al Qaeda, finanziati dai petrodollari sauditi, è solo l´ultimo in una lunga scia di tragedie che hanno il loro epicentro nel Golfo Persico, cioè la più grande concentrazione mondiale di riserve petrolifere: dove già si sono combattute nell´arco di vent´anni la guerra Iran-Iraq, l´invasione del Kuwait e l´operazione Desert Storm nel 90-91, l´attuale guerra irachena ma anche genocidi (Kurdistan), guerre civili, rivoluzioni fondamentaliste, stragi terroristiche. La mappa che lega petrolio, instabilità e violenza è ancora più ampia. Dal Caucaso alle repubbliche ex-sovietiche dell´Asia centrale, dalla Nigeria al Venezuela, pochi paesi si sottraggono alla regola: il petrolio corrompe le classi dirigenti locali, crea rendite che soffocano lo sviluppo anziché promuoverlo, fomenta l´odio di popoli frustrati, eccita gli appetiti dei paesi vicini e delle potenze straniere. In questa spirale di violenza finisce invariabilmente coinvolto l´Occidente, come cliente ricattabile e come protettore di regimi, come guardiano armato o come bersaglio. La sete di petrolio è uno dei caratteri della civiltà che abbiamo costruito, e una delle sue possibili cause di estinzione.

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