Da Corriere della Sera del 15/10/2004

Il piatto piange, il mattone avanza E le ruspe (per ora) restano ferme

di Gian Antonio Stella

Per carità, colpa dei ricorsi di alcune regioni, della sentenza della Corte costituzionale che dava loro in larga parte ragione e della conseguente incertezza che ha turbato tanti abusivi: mi autodenuncio o no? Fatto sta che, se dovesse essere confermata la tendenza, la sanatoria sul mattone fuorilegge andrebbe a battere perfino un record tra Cassandre che pareva imbattibile. Quello conquistato un quarto di secolo fa da Franca Falcucci, la leggendaria Ministra della Pubblica istruzione che aveva qualcosa di Nonna Abelarda e nel 1982 propose alle Camere di inquadrare nel ruolo i precari della scuola. «Quanto costerebbe?», chiese qualche grillo parlante preoccupato dei conti. Rispose: sui 31 miliardi di lire. Due anni dopo, il ministro del tesoro Giovanni Goria avrebbe ammesso che c’era stato un piccolo errore: la norma approvata era venuta a costarne 1.580. Cinquantuno volte di più. Intendiamoci: può anche darsi che il condono ora rilanciato con qualche ritocco possa far comodo a Silvio Berlusconi per la sua villa in Sardegna. Senza le proroghe via via varate nella scia di una tradizione tutta italiana, infatti, sarebbe imbarazzante perfino per lui che, come scrive il suo amico Giuliano Ferrara, è «un adorabile mattocchio che non conosce i confini tra i soldi, la politica, la legge e il teatro», far passare per opere imposte dai servizi segreti, oltre al «pontile 007», anche lavoretti abusivi quali ad esempio la talassoterapia, quello spettacolare sistema di cinque piscine degradanti verso il mare. Come spiegare che le grandi vasche erano già state descritte in un reportage di «Libero» e poi fotografate e pubblicate in un libro mesi e mesi prima di essere state autorizzate dal comune di Olbia il 17 dicembre 2003? Eppure, anche al di là degli interessi del capo del governo, il provvedimento ora varato contiene altri risvolti piuttosto sconcertanti.

Primo fra tutti il punto 32, dove si dice che «in considerazione del grave pregiudizio arrecato al paesaggio da vasti interventi di lottizzazione abusiva», il comune di Bari ha 60 giorni di tempo per buttar giù i mostri di cemento di Punta Perotti e nel caso che il comune non si muova deve farlo la Regione Puglia. Dopodiché, se entrambi dovessero tirarla in lungo, sarà il governo stesso a provvedere avvalendosi «del decreto-legge 30 settembre 2003». Non solo: si aggiunge più avanti che la stessa procedura potrà essere adottata per altri ecomostri dei quali dovrà esser fatta una lista.

Direte: era ora. Come si fa a non essere d’accordo con chi mostra finalmente il pugno di ferro? Eppure... Eppure la «virtuosa» leggina, temono gli avvocati ambientalisti, contiene proprio lì un germe che potrebbe infettare l’intero sistema. La sentenza che stabilisce l’abbattimento dei palazzoni di Punta Perotti infatti, come ricorda la stessa legge di cui parliamo, è già passata in giudicato. Per mandare le ruspe, dunque, non c’era bisogno di una normativa ulteriore. A meno che, ipotizzano i maliziosi come Beppe Arnone, non si voglia far passare il principio che per le demolizioni non bastano più le leggi esistenti ma ce ne vuole volta per volta una ad hoc . Con quali risultati potete immaginare.

La faccia dura verso gli abusi insanabili, che questo «lifting» al condono si picca di mostrare, ha infatti dei precedenti tali da far nascere qualche diffidenza. Basti ricordare le dichiarazioni che avevano accompagnato l’anno scorso il varo del condono. Gianni Alemanno assicurava che, di pari passo con le regalie agli abusivi, sarebbe dovuta scattare «una campagna di demolizioni contro gli ecomostri e lo scempio ambientale». Altero Matteoli tuonava che era «un’autentica sciocchezza dire che l’abusivismo è aumentato perché c’è il condono» e assicurava che d’ora in avanti sarebbe cambiato tutto. La forzista Maria Teresa Armosino, sottosegretario all’Economia, assicurava che grazie ad alcune decine di milioni di euro, stavolta c’erano «le risorse, per chi ha voglia di assumersi responsabilità, per procedere alle demolizioni». E Maurizio Gasparri prometteva baldanzoso: «Gli atti concreti, più che le parole, dimostreranno che non si vuole legittimare alcuno scempio ma regolarizzare piccole anomalie e attuare azioni di bonifica in modo tale che tutti capiscano l’intenzione vera del governo, tesa a tutelare territorio e ambiente». Traduzione: avanti ruspe.

Un anno dopo, a battere sconsolatamente gli archivi dei giornali e delle agenzie, le sospirate demolizioni, sospese proprio in attesa della scadenza dei termini del condono via via rinviati, si possono contare in una manciata. Eppure, dice una ricerca del Cresme, ci ritroviamo grazie all’«effetto sanatoria» con circa 40 mila costruzioni abusive in più. Che sommandosi a quelle tirate su dal ’94 (primo condono polista) portano il totale a 402.676 case e capannoni e negozi e laboratori fuorilegge per un totale di 168 milioni di metri cubi. Per capirci: come un palazzo largo dieci metri, alto quattro piani e lungo 1.400 chilometri. Un mostro per il quale, secondo Legambiente, i comuni sarebbero chiamati a spendere in opere di urbanizzazione quasi dieci miliardi di euro per ricavarne sulla carta (ammesso che tutti gli abusivi paghino l’obolo del condono, anche in quelle aree del Paese dove l’evasione sulla spazzatura arriva al 93% e quella sull’acqua al 96%) meno di quattro e mezzo, con una perdita secca di 5.234.788.000 euro. Onestamente: ne valeva la pena?

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