Da Corriere della Sera del 16/10/2004
LA NOTA
Le nuove regole e un Paese spaccato a metà
di Massimo Franco
Dire, come alcuni esponenti dell’opposizione, che la riforma genererà una dittatura, non aiuta a capire; e rimuove l’errore marchiano fatto nel 2001 dall’Ulivo di governo, imponendo al Polo una miniriforma federalista. Ma l’immagine del «vestito di Arlecchino», usata dal segretario dei Ds, Piero Fassino, fotografa la sensazione di un riformismo rappezzato e contraddittorio. Il centrodestra lo esalta come un passo decisivo verso la modernità. Ad una parte non secondaria del Paese, tuttavia, il sistema che si profila continua ad apparire confuso e pasticciato. Il fatto che molte delle norme non entreranno in vigore prima del 2011, o addirittura del 2016, getta sul nuovo sistema un’ombra di precarietà e insieme di sfasatura temporale. E l’ipoteca referendaria che il centrosinistra già annuncia con Antonio Maccanico, evoca una transizione velenosa: un veleno iniettato dal metodo del governo.
Non si capisce fino a che punto si sia trattato di una scelta calcolata, o subìta dalla maggioranza per l’atteggiamento degli avversari. Ma l’idea di modificare la Carta fondamentale senza un accordo con l’opposizione, moltiplica le tensioni. Il presidente della Margherita, Francesco Rutelli, parla di «giornata nera per la Repubblica». E il segretario della Cisl, Savino Pezzotta, arriva ad accusare il governo di «sequestro delle istituzioni». Anche gli imprenditori sono «clamorosamente perplessi», avverte Luca Cordero di Montezemolo. E l’opposizione si prepara al muro contro muro.
Il fatto che Berlusconi preveda un voto-fotocopia al Senato, conferma la sfiducia nel dialogo. D’altronde, la maggioranza si sente rafforzata: è sicura di rivincere le elezioni. Si tratta di una verità politica che il basso profilo scelto ieri da Fini e Follini, capi di An e Udc, per ora non scalfisce. Ma rimangono incognite pesanti sui costi della riforma, soprattutto in materia di federalismo. Lo stesso capo dello Stato, Carlo Azeglio Ciampi, si è detto curioso di saperlo.
E ieri Berlusconi ha riparlato di riforma elettorale per «garantire la governabilità». L’iniziativa sembra condannata ad acuire lo scontro con l’opposizione. Ma il centrodestra è persuaso del proprio «riformismo tricolore». Perfino il ministro leghista Roberto Calderoli lo accredita, a suo modo. «Questa vittoria è dedicata a Bossi e al popolo del Nord» spiega il plenipotenziario lumbard . «Capiranno anche i cittadini del Centro e del Sud..». E’ un riformismo macroregionale, più che tricolore. Ma oltre, la Lega proprio non riesce a andare.
Non si capisce fino a che punto si sia trattato di una scelta calcolata, o subìta dalla maggioranza per l’atteggiamento degli avversari. Ma l’idea di modificare la Carta fondamentale senza un accordo con l’opposizione, moltiplica le tensioni. Il presidente della Margherita, Francesco Rutelli, parla di «giornata nera per la Repubblica». E il segretario della Cisl, Savino Pezzotta, arriva ad accusare il governo di «sequestro delle istituzioni». Anche gli imprenditori sono «clamorosamente perplessi», avverte Luca Cordero di Montezemolo. E l’opposizione si prepara al muro contro muro.
Il fatto che Berlusconi preveda un voto-fotocopia al Senato, conferma la sfiducia nel dialogo. D’altronde, la maggioranza si sente rafforzata: è sicura di rivincere le elezioni. Si tratta di una verità politica che il basso profilo scelto ieri da Fini e Follini, capi di An e Udc, per ora non scalfisce. Ma rimangono incognite pesanti sui costi della riforma, soprattutto in materia di federalismo. Lo stesso capo dello Stato, Carlo Azeglio Ciampi, si è detto curioso di saperlo.
E ieri Berlusconi ha riparlato di riforma elettorale per «garantire la governabilità». L’iniziativa sembra condannata ad acuire lo scontro con l’opposizione. Ma il centrodestra è persuaso del proprio «riformismo tricolore». Perfino il ministro leghista Roberto Calderoli lo accredita, a suo modo. «Questa vittoria è dedicata a Bossi e al popolo del Nord» spiega il plenipotenziario lumbard . «Capiranno anche i cittadini del Centro e del Sud..». E’ un riformismo macroregionale, più che tricolore. Ma oltre, la Lega proprio non riesce a andare.
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