Da Corriere della Sera del 18/10/2004
Secondo i dati diffusi già prima della chiusura delle urne il sì otterrebbe oltre l’80 per cento
Voti e vodka, trionfa Lukashenko
Il presidente-padrone della Bielorussia stravince il referendum per mantenere il potere
di Fabrizio Dragosei
MOSCA - Come accadeva una volta in tutta l'Unione Sovietica, nei seggi elettorali della Bielorussia gli elettori si affollano soprattutto ai banchi dei generi alimentari, dove salsicce, pesce secco e vodka si acquistano a prezzi fortemente scontati. Uno strumento classico per convincere gli elettori ad andare a votare. E confermare al potere Aleksandr Lukashenko, ex direttore di una fattoria statale, ultimo signore assoluto d'Europa. Un referendum per consentire al presidente di candidarsi per la terza volta, superando i vincoli della Costituzione.
Prima ancora che le urne fossero chiuse, un exit poll governativo (ampiamente pubblicizzato dalla tv) riportava una valanga di sì, l'82 per cento. Più tardi, un sondaggio dell'opposizione contestava queste cifre e sosteneva che la Costituzione non poteva essere cambiata.
Al di là del risultato largamente scontato, parlare di Bielorussia ci riporta indietro negli anni, come se la Cortina di ferro fosse caduta solo in parte. A Minsk tutta l'economia è saldamente nelle mani dello Stato, che pianifica e diffonde le sue direttive annuali. Il Kgb non ha nemmeno cambiato nome, l'opposizione esiste ma non conta nulla, il giornale di Stato più importante si chiama «Bielorussia Sovietica».
Lui, il padrone del paese, è al potere dal 1994, quando fu eletto puntando sulla lotta alla corruzione che dilagava in Bielorussia, come in tutte le ex repubbliche, dopo lo scioglimento dell'Urss. La gente gli diede fiducia perché era una faccia nuova e parlava il linguaggio dei contadini. Le campagne hanno continuato a essere la sua forza in tutti questi anni. Nel 1996, quando con un referendum fece prolungare il suo mandato quinquennale. Nel 2001 quando ottenne la rielezione. E ora con questo referendum che gli consentirà di rimanere al vertice per un terzo mandato fino al 2011.
Presidente di un paese in grave crisi economica, Lukashenko aveva puntato molto anche sull'ipotesi di riunire la Bielorussia con la Russia. Un'idea che era piaciuta a Boris Eltsin, che forse vedeva nel giovane leader di Minsk anche un possibile successore. Ma Lukashenko ha anche fatto di tutto in questi anni per inimicarsi l'Europa e gli Stati Uniti. Con la sua politica economica; con la violenta repressione di ogni forma di dissenso; con le dichiarazioni di ammirazione per Adolf Hitler.
Così l'entusiasmo della Russia per l'unione con il suo vicino occidentale si è andato raffreddando costantemente. Ora Vladimir Putin coltiva il riavvicinamento all'Occidente, parla della grande alleanza mondiale contro il terrorismo. E uno che va dicendo agli elettori «votate per me perché altrimenti arriveranno le idee occidentali e il terrorismo» è solo una fonte d'imbarazzo. Così il progetto di unione Russia-Bielorussia finisce in soffitta e Lukashenko è più solo che mai.
Vince il referendum a casa, ottiene che i suoi fedelissimi abbiano la maggioranza assoluta nel nuovo Parlamento (che non conta quasi nulla), ma non può presentarsi all'estero. Un sondaggio indipendente condotto pochi giorni prima delle elezioni aveva dato a Lukashenko solo il 41 per cento. Ma ieri, evidentemente, la macchina statale ha fatto il resto.
Prima ancora che le urne fossero chiuse, un exit poll governativo (ampiamente pubblicizzato dalla tv) riportava una valanga di sì, l'82 per cento. Più tardi, un sondaggio dell'opposizione contestava queste cifre e sosteneva che la Costituzione non poteva essere cambiata.
Al di là del risultato largamente scontato, parlare di Bielorussia ci riporta indietro negli anni, come se la Cortina di ferro fosse caduta solo in parte. A Minsk tutta l'economia è saldamente nelle mani dello Stato, che pianifica e diffonde le sue direttive annuali. Il Kgb non ha nemmeno cambiato nome, l'opposizione esiste ma non conta nulla, il giornale di Stato più importante si chiama «Bielorussia Sovietica».
Lui, il padrone del paese, è al potere dal 1994, quando fu eletto puntando sulla lotta alla corruzione che dilagava in Bielorussia, come in tutte le ex repubbliche, dopo lo scioglimento dell'Urss. La gente gli diede fiducia perché era una faccia nuova e parlava il linguaggio dei contadini. Le campagne hanno continuato a essere la sua forza in tutti questi anni. Nel 1996, quando con un referendum fece prolungare il suo mandato quinquennale. Nel 2001 quando ottenne la rielezione. E ora con questo referendum che gli consentirà di rimanere al vertice per un terzo mandato fino al 2011.
Presidente di un paese in grave crisi economica, Lukashenko aveva puntato molto anche sull'ipotesi di riunire la Bielorussia con la Russia. Un'idea che era piaciuta a Boris Eltsin, che forse vedeva nel giovane leader di Minsk anche un possibile successore. Ma Lukashenko ha anche fatto di tutto in questi anni per inimicarsi l'Europa e gli Stati Uniti. Con la sua politica economica; con la violenta repressione di ogni forma di dissenso; con le dichiarazioni di ammirazione per Adolf Hitler.
Così l'entusiasmo della Russia per l'unione con il suo vicino occidentale si è andato raffreddando costantemente. Ora Vladimir Putin coltiva il riavvicinamento all'Occidente, parla della grande alleanza mondiale contro il terrorismo. E uno che va dicendo agli elettori «votate per me perché altrimenti arriveranno le idee occidentali e il terrorismo» è solo una fonte d'imbarazzo. Così il progetto di unione Russia-Bielorussia finisce in soffitta e Lukashenko è più solo che mai.
Vince il referendum a casa, ottiene che i suoi fedelissimi abbiano la maggioranza assoluta nel nuovo Parlamento (che non conta quasi nulla), ma non può presentarsi all'estero. Un sondaggio indipendente condotto pochi giorni prima delle elezioni aveva dato a Lukashenko solo il 41 per cento. Ma ieri, evidentemente, la macchina statale ha fatto il resto.
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