Da Il Messaggero del 24/10/2004

Dossier Coldiretti/ Costa più il barattolo che il pomodoro: il contenuto incide solo per il 9% sulla cifra finale

Dai campi alle tavole il rincaro è super

I prezzi in negozio maggiorati fino a cinque volte rispetto alla produzione

di Piero Cacciarelli

ROMA - Comprare un barattolo di pomodoro e un pacco di spaghetti è cosa che milioni di italiani fanno tutti i giorni, anche se i prezzi raggiunti dagli ingredienti-base dell’amata pastasciutta minacciano di rovinare la digestione. Di fronte a certi rialzi è difficile evitare l’arrabbiatura, ma in questo caso sarebbe sbagliato prendersela con chi ha prodotto le materie prime. E’ molto probabile che il contenitore di latta costi più dei pomodori ed è sicuro che solo una minima parte del ticket pagato alla cassa arriva a chi ha coltivato il frumento. Sul prezzo finale di un chilo di pasta, il grano influisce appena per il 7%, mentre in un barattolo di passata il pomodoro incide per non oltre il 9%. Poiché il mondo non finisce a tavola, il desiderio di ben figurare con chi ci sta a cuore induce, talvolta, ad acquistare il tradizionale mazzo di rose. Ebbene, quando la commessa del negozio presenta il conto cerchiamo di non perdere la calma e, soprattutto, pensiamo che non più di un decimo della somma spesa andrà a chi quei fiori li ha coltivati. A denunciare i rincari selvaggi dal produttore al consumatore è la Coldiretti, con una ricerca presentata al Forum dell’agricoltura e dell’alimentazione di Cernobbio.

Nella lunga catena distributiva il peso dei coltivatori è diventato quasi trascurabile. Quest’anno, in media, ogni nucleo familiare spende 451 euro al mese per acquistare alimenti e bevande. Oltre la metà di tale cifra, ossia 230 euro, vanno al commercio e ai servizi, 135 euro (il 30%) all’industria alimentare e solo 86 euro (il 19%) agli agricoltori. Dunque, nel percorso dal campo al piatto il cibo aumenta anche di cinque volte, sia pure con notevoli differenze da settore a settore. I costi dell’uva e delle olive entrano per un quarto e per un terzo in quelli del vino e dell’olio, mentre per la carne bovina il 40% del prezzo finale è dovuto all’animale e per la suina il rapporto scende al 22%. Esemplare il caso del latte fresco: per una busta da un litro si sborsa esattamente il quadruplo di quanto incassa il proprietario della stalla. Con il tempo le sperequazioni sono peggiorate. Nel 1991, su un euro speso dal consumatore, 42 centesimi prendevano la strada del commercio, 30 andavano all’agricoltura e 28 all’industria. Oggi il commercio assorbe 51 centesimi e l’agricoltura deve accontentarsi di 19.

E’ ovvio che ricarichi così elevati deprimono gli acquisti delle famiglie, come dimostra il calo del 3,3% tra gennaio e agosto appena rilevato dall’Ismea. Per riequilibrare la situazione - avverte la Coldiretti - bisogna aggiustare i margini di guadagno all’interno della filiera distributiva, evitando che i produttori subiscano ribassi fino a un livello inferiore ai loro costi, il che equivale a fare piazza pulita di certe coltivazioni. Altra proposta: agevolare lo smercio dei cibi sicuramente freschi e genuini, garantendo la presenza nei supermercati di banchi riservati a frutta e verdura locale.

Sull’esigenza di favorire le vendite dirette concorda il ministro delle Politiche agricole, Alemanno, mentre per una spinta forte verso i ribassi insiste il leader Cisl, Pezzotta, che invita il governo a intervenire con più decisione: «Palazzo Chigi ha risorse inaspettate per frenare la corsa dei prezzi». Ma il ministro delle Attività produttive, Marzano, si mantiene cauto: «In Italia ci sono milioni di beni e di prezzi; non siamo in Unione Sovietica e per fortuna al governo non è dato intervenire autoritariamente». Però gli accordi con i grandi magazzini per mantenere i listini sotto controllo «funzionano».

Un altro tema molto discusso è quello delle etichette. «Bisogna rendere subito operativa la legge che obbliga ad indicare in etichetta l'origine territoriale del pomodoro» dice Paolo Bedoni, presidente della Coldiretti. Sarebbe il modo migliore per combattere la concorrenza cinese. La Coldiretti segnala in particolare il caso dei pomodori che vengono dall’oriente: i pelati “made in China” stanno per invadere il mercato europeo.

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