Da Corriere della Sera del 27/10/2004

L’America dovrà decidere come riconquistare il mondo

La scelta per il presidente non è solo tra due candidati. Ma tra due diverse visioni del futuro della superpotenza

di Gianni Riotta

WASHINGTON - Il 2 novembre gli americani decideranno come stare nel mondo, se da gigante solitario, figura cara ai consiglieri conservatori della Casa Bianca, o da gigante con tanti amici in spalla, eroe della tradizione democratica. Gli elettori sono consapevoli che questo è il referendum tra George W. Bush e John Kerry. Fino a 121 milioni di elettori secondo il sociologo Curtis Gans, 16 milioni più del 2000, selezioneranno due diversi cocktail di forza e diplomazia, cambiando paese e mondo per una generazione.

La settimana scorsa, a 97 anni, è scomparso Paul Nitze, il padre della diplomazia Usa durante la Guerra Fredda, convertito poi al disarmo nucleare. Nitze mi raccontò una volta della sua avventura in Giappone, nei giorni dopo Hiroshima, «Odiavo i giapponesi, ma per strada vidi un gruppo di bimbi mendicare e regalai loro i dolciumi della mia razione; poco più tardi gli stessi bambini tornarono indietro e ricambiarono, donandomi cianfrusaglie. Capii la cortesia orientale e la necessità del diplomatico di comprendere, sempre, le virtù delle altre culture». Il mondo dei Nitze, armi nei silos e pragmatismo delle idee, è finito con la guerra fredda, che lo storico John Lewis Gaddis chiama «la lunga pace». Quale cultura rimpiazzerà tra i palazzi neoclassici della capitale i valori aristocratici di Nitze, che i neoconservatori eleggono a padre spirituale, ma che si oppose all'attacco nucleare sul Giappone e alla guerra in Vietnam? Secondo Gaddis l'opzione di martedì venturo è sulla strategia in Iraq che «ha prodotto un sia pur modesto miglioramento nelle condizioni economiche globali, in America e nel mondo... intensificando il dialogo con i paesi arabi sulle riforme politiche».

Ecco il dilemma sconosciuto a Nitze. Ai suoi tempi i repubblicani, come il senatore Robert Taft, erano prudenti e concreti in politica estera, i democratici ambiziosi e idealisti. Oggi è l'opposto, sono i neoconservatori a parlare di ideali e utopie, i democratici a prediligere la Realpolitik. La migliore amica di Paul Wolfowitz, il duro viceministro della Difesa, è la femminista araba Shaha Ali Riza, tunisina cresciuta in Arabia Saudita, educata ad Oxford e oggi alla Banca Mondiale. In Europa la strana coppia Paul-Shaha sembra incredibile, il guerrafondaio numero 1 e la combattente per i diritti delle donne islamiche. Nel mondo nuovo è routine, e di questo corto circuito di valori destra-sinistra si decide il 2 novembre.

Alla tesi di Gaddis reagisce furente lo storico amico di John Kennedy, Arthur Schlesinger, che nel saggio «War and the American presidency» riprende la lezione di Dean Acheson, uno dei fondatori dell'equilibrio mondiale dopo il 1945: «Dobbiamo limitare i nostri obiettivi ed evitare la ricerca dell'assoluto». La vera differenza tra Bush e Kerry sta nell'Assoluto? Sì, secondo i neoconservatori che traducono in politica la filosofia dello studioso Leo Strauss: «Strauss ha preparato la strada a noi conservatori» sostiene Mark Blitz, ex consigliere di Reagan e coautore dell'antologia «Leo Strauss, the straussians and the American regime».

In realtà Strauss postulò la distanza tra la riflessione del filosofo e il turbinio delle passioni politiche della «città», ma il destino bizzarro del pensiero lo ha trasformato in patrono della destra. Le sue idee forti animano la discussione, già dai tempi in cui lo straussiano Bill Kristol, oggi direttore del settimanale «neocon» Standard, era capo di gabinetto del vicepresidente Dan Quayle, e il più inetto dei politici (non sapeva sillabare la parola «patata») era educato dai più sofisticati intellettuali. La sinistra non propone idee altrettanto vigorose, offrendo agli elettori pragmatismo, senza visioni o sogni. Anatol Lieven, da Oxford, distingue i nazionalismi a duello, nel suo saggio «America right or wrong» : un sentimento generoso e capace di tolleranza contro un sentimento chiuso fino alla paranoia.

Gaddis ribatte, rispondendo allo storico del declino dell'impero americano Paul Kennedy, che gli europei non si rendono conto di quanto «gli Stati Uniti vivano un senso di vulnerabilità sconosciuto dai tempi della frontiera, 150 anni fa».

In Europa si crede che questa angoscia sia appannaggio degli elettori di Bush ma, al contrario, Kerry è consapevole di essere in perfetto pareggio, 49 a 49, con il presidente nei sondaggi, e vulnerabile solo sul terrorismo con il presidente in vantaggio nei favori dell'opinione pubblica con un drammatico 53 a 37%. Sarà la paura a decidere quale America gli elettori sceglieranno di essere, l'ascetica di Bush o la cosmopolita di Kerry. E' Graham Allison, consigliere progressista di Kerry, ad ammonire sui rischi di un attacco nucleare contro gli Usa. La débâcle sulle armi di sterminio di massa fantasma di Saddam Hussein ha reso difficilissimo il dibattito sul terrorismo strategico, ma Bush e Kerry sono coscienti, fuori dalla propaganda, del pericolo.

Walter Laquer, condirettore al Center for Strategic and International Studies, spiega in un saggio su «Policy Review» : «Il megaterrorismo non ha ancora colpito e l'11 settembre 2001 è stato un momento di passaggio tra il vecchio terrorismo e la nuova realtà: l'uso di armi di sterminio di massa».

Il Giorno dei Morti gli americani votano Bush o Kerry ponderando sul leader più affidabile contro questi nemici. Chiunque vinca, sarebbe serio per gli amici e gli alleati di Washington riflettere se davvero, in questo mondo che si profila, è un vantaggio per tutti, compresi Parigi e Berlino, che la piaga Iraq suppuri e che la Casa Bianca resti sola a doverla curare. L'europeo di Oxford Timothy Garton Ash e il falco democratico Zbigniew Brzezinski propongono una «grande alleanza» Usa-Ue sotto Kerry contro la «Santa Alleanza» di Bush, aperta magari a Putin e alla Cina contro Al Qaeda. La rivista Chronicle of Higher Education lamenta invece i danni dell'isolamento, l'Immigrazione lesina i visti agli studenti stranieri, erano 586.323 nel 2003, sono un quinto in meno, specie da Cina e India, e ne risentono aziende, cultura e democrazia. Nitze, come il senatore Fulbright, avrebbe riaperto le borse di studio, persuaso che i libri siano un toccasana contro Osama bin Laden. 121 milioni di elettori decideranno tra 144 ore chi vogliono essere nel mondo.

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