Da Corriere della Sera del 28/10/2004

Le condizioni di salute del presidente, 75 anni, si sarebbero aggravate. In allerta i servizi di sicurezza di Ramallah. Decine di persone davanti alla Mukata

«Arafat in fin di vita». I medici nel suo bunker

Arrivano Abu Ala e Abu Mazen. La radio israeliana: ha perso conoscenza. Un ministro palestinese: molto malato. Il portavoce: sta bene

di Mara Gergolet

GERUSALEMME - «Yasser Arafat è molto, molto malato». E’ un ministro palestinese, che non vuole rivelare il proprio nome, a confermare verso mezzanotte ciò che la televisione israeliana aveva annunciato due ore prima: «La salute del presidente palestinese si sta deteriorando». Mentre era a cena con Abu Ala e Abu Mazen, il presidente sarebbe stato colto ieri sera da forti conati di vomito. Trasportato nella clinica interna, per almeno dieci minuti, avrebbe perso conoscenza. E’ la drammatica conferma di voci su una grave malattia del raìs, che da almeno due settimane si sono alternate a smentite ufficiali, o che gli zelanti funzionari hanno tentato di contrabbandare per un’influenza. Il portavoce di Arafat, Abu Rudeina, ha propinato questa versione anche ieri sera: «Il presidente ha bisogno di più tempo per riposarsi perché è esausto». Ma è la reazione del governo israeliano che dà la misura della gravità della situazione: «Yasser Arafat è libero di andare a curarsi dovunque voglia». Libero, finalmente, di uscire dalla Mukata, la residenza semidiroccata nella quale è rinchiuso da oltre due anni. E magari, di non tornarci più.

Appena la notizia si è diffusa, in più di una moschea della Cisgiordania si sono alzate preghiere per Arafat. Davanti alla Mukata, centinaia e centinaia di persone, qualche bandiera in mano, chiedevano notizie. Poche ore prima, un’ambulanza con tre medici di Ramallah è entrata nel compound . E con loro sono stati convocati nell’ufficio del raìs il premier Abu Ala e il suo predecessore Abu Mazen, i due «delfini» più rappresentativi della vecchia guardia dell’Olp. I servizi segreti palestinesi sono in stato d’allerta.


Ma che cos’ha Arafat? Dalla fitta cortina di riserbo, di stampo quasi sovietico, che da decenni lo circonda, nei giorni scorsi sono trapelate alcune notizie. Intanto, a metà della scorsa settimana Arafat è stato sottoposto a un’endoscopia: un esame utile - non esclusivamente - per rilevare eventuali tumori all’intestino. Il medico curante di Arafat ha poi ammesso che del tessuto è stato prelevato per compiere una biopsia, ma che i risultati erano stati negativi. Verità? O bugia?

I primi movimenti sospetti attorno alla Mukata si erano avuti due settimane fa, quando una delegazione di medici egiziani era entrata di notte per una visita. Qualche giorno dopo, un’équipe di dottori era atterrata direttamente da Tunisi. Secondo qualche indiscrezione, prontamente smentita, il raìs sarebbe stato così debilitato che non ha potuto completare le sue preghiere durante il Ramadan. Ma non era passato inosservato che il raìs quest’anno non ha impartito ai visitatori la sua solenne benedizione per l’inizio del Grande digiuno. Né che ha cancellato una serie di incontri con delegazioni straniere.

Più o meno da allora sulla stampa israeliana si rincorrono voci che Arafat abbia un cancro all’intestino. Pare anche che la moglie Suha, da anni residente a Parigi, abbia chiesto e ottenuto un visto per andare a trovarlo. Così come hanno sollevato le più nefaste e maligne ipotesi le parole del ministro della Difesa Shaul Mofaz, tre giorni fa: «Permetteremo ad Arafat, se vuole, di andare a curarsi in Egitto», salvo non precisare poi se nell’autorizzazione è incluso il diritto al ritorno.

La salute di Arafat è, da decenni, tenuta sotto stretto controllo dai servizi di sicurezza di Gerusalemme che gli hanno diagnosticato una forma di Parkinson. Così come esistono, nei cassetti del ministero della Difesa, dell’ufficio del primo ministro e del capo del servizi segreti tre dossier intitolati: «Piano per la morte di Arafat». Prevedono, fin nei dettagli, come reagire, nel caso del decesso: rafforzamento dei check point, controllo dei telefoni, una dettagliatissima campagna di propaganda per scacciare il sospetto che Israele ci abbia messo lo zampino. Soprattutto, l’obiettivo è di impedire che il feretro del raìs sia portato sulle spalle da Ramallah fino alla moschea di Al Aqsa di Gerusalemme, per essere sepolto come un Profeta. Piani che sicuramente in queste ore vengono rivisti. Anche se, ufficialmente, a Ramallah continuano a giurare che il raìs «è solo esausto».

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