Da Corriere della Sera del 02/10/2004

Kerry batte Bush ma non lo mette al tappeto

Il candidato democratico ha vinto lo scontro televisivo secondo i sondaggi. Ma per la stampa è pareggio

di Ennio Caretto

WASHINGTON - Osama Bin Laden e lo slogan «Missione compiuta in Iraq». Con queste due armi John Kerry ha ieri attaccato George Bush. A tre anni dalla strage di Manhattan, gli ha rinfacciato, Osama Bin Laden non è ancora stato preso «né vivo né morto», al contrario di quanto il presidente aveva promesso; e la guerra dell’Iraq, su cui Bush cantò vittoria diciassette mesi fa, si è rivelata «un colossale errore di giudizio». Dall’altra parte, uno slogan martellato 7-8 volte: «Il senatore parla di un conflitto sbagliato, nel posto sbagliato, nel momento sbagliato: che messaggio manda ai nostri soldati, ai nostri alleati, al popolo iracheno?». Con questo interrogativo, il presidente si è difeso, insistendo che non esiste alternativa alla sua dottrina della guerra preventiva e al suo unilateralismo, e rimproverando al candidato democratico di dare con le sue accuse speranza ai terroristi nel mondo e alla resistenza in Iraq. Al piano di Kerry di intensificare la caccia a Bin Laden e disimpegnarsi da Bagdad in quattro anni con l’aiuto alleato, Bush ha contrapposto una fede cieca nei principi e la potenza militare degli Stati Uniti.

Il primo dibattito tv tra Bush e Kerry - ne seguiranno altri due il 5 e il 13 ottobre - è stato un duello più duro e avvincente del previsto, che ha tenuto svegli 62,5 milioni di persone, un record. Con una grossa sorpresa: a giudizio del pubblico lo ha vinto non Bush, il favorito, ma Kerry. La maggioranza dei media ieri lo ha definito un pareggio, ma i sondaggi lampo condotti dopo lo scontro hanno premiato il candidato democratico: con il 56% contro il 44% dei consensi secondo la tv Abc ; con il 43 per cento contro il 28 per cento secondo la Cbs ; con il 53 per cento contro il 37 per cento secondo la Cnn ; con il 69 per cento contro il 31 per cento, addirittura, secondo la Nbc . Ciò non significa che nel mese che manca al voto Kerry riuscirà a colmare il distacco che lo separa da Bush, 5-6 punti circa: come ha scritto il Los Angeles Times , «gli americani potrebbero ancora ritenere il presidente il più capace di porre ordine nel caos da lui stesso creato». Ma è un campanello d’allarme per la Casa Bianca, che ormai dava il senatore per spacciato.

Non sono chiare le cause delle diverse valutazioni degli elettori e dei media su un dibattito di politica estera che ha avuto come terzo tema la non proliferazione nucleare - l’Iran e la Corea del Nord - ma non ha nemmeno sfiorato il Medio Oriente e l’Europa. Per il Washington Post , è stato pareggio perché nessuno dei due candidati ha fatto goal: «Bush ha sottolineato la propria leadership che a parere di Kerry include una pericolosa tendenza a ignorare la realtà. Kerry ha evidenziato il proprio impegno alle alleanze che a parere di Bush implica debolezza». I telespettatori hanno invece guardato ad altro: le smorfie di insofferenza del presidente colte a tradimento dalle tv mentre il rivale parlava, poi raccolte e distribuite in video su Internet dai democratici col titolo «Le facce della frustrazione»; la sua difficoltà a giustificare la guerra in Iraq se non col ritornello «il mondo sta meglio senza Saddam Hussein»; e di contro l’atteggiamento «presidenziale» del senatore, sempre fermo ma corretto, e la sua palese preparazione. Il ritratto, ha scritto il New York Times , di un assediato nel bunker e di un primo della classe.

Nonostante la cautela dei media e la protesta della Casa Bianca che «in realtà ha vinto Bush», alcuni repubblicani non hanno nascosto la propria apprensione sui prossimi due dibattiti tv. Il senatore John McCain ha ammesso che Kerry «ha avuto uno dei suoi momenti più belli» e William Safire, ex consigliere del presidente Richard Nixon, ne ha trovato gli attacchi «fulminanti». Bush stesso ha dimostrato di accusare il colpo. Ributtatosi nella campagna elettorale, ha subito ricominciato a chiamare Kerry «una banderuola» (flip flopper) e deriderne l’internazionalismo: «Non subordinerò mai la sicurezza degli Stati Uniti al consenso di nazioni come la Francia» ha gridato tra gli applausi. Il senatore gli ha risposto seccamente: «Ho provato agli elettori di essere degno del ruolo del comandante in capo». Ma i democratici commetterebbero un grave errore, ammonisce il politologo Larry Sabato, se pensassero di essere vicini al sorpasso: è vero che al dibattito di ieri non ha proposto nulla di nuovo per l’Iraq, ma nei sondaggi Bush resta il baluardo numero uno contro il terrorismo, potrebbero già confermarlo i prossimi sondaggi.

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