Da Corriere della Sera del 05/11/2004

«Abusi sui bimbi, 300 casi all’anno»

Il primario del Bambino Gesù: centinaia di episodi sospetti, ecco le tracce invisibili delle violenze

di Paolo Brogi

ROMA - A volte prendono il pennarello e dipingono il cielo tutto nero. Una strisciolina bianca in basso, ma il resto è buia oscurità. Come la loro vita di bimbi sottoposti ad abusi. Disegnava così Simeone Nardacci, ad Ostia, prima di morire. E le maestre non ci avevano fatto molto caso. Dana Dutu, la bambina romena di sei anni morta nei giorni scorsi in periferia a Roma per una grave cardiopatia e con un corpicino segnato da gravissimi abusi, usava ancora i colori. Però maltrattamenti e abusi non erano sfuggiti due mesi fa agli operatori sanitari dell’ospedale pediatrico Bambino Gesù, che l’avevano accolta in agosto e l’avevano curata nel corso di cinque settimane (facendola anche disegnare) prima di restituirla alla famiglia, in seno alla quale nei giorni scorsi è morta per un colpo al cuore. Ora l’inchiesta della Squadra mobile punta a dare un volto a chi ha abusato della piccola.

Al Bambino Gesù questa morte ha riaperto una ferita. Quella di chi cerca da anni di mettere argini contro gli abusi a danno dei bambini. Il professore Francesco Montecchi, primario di neuropsichiatria, premette: «Il bambino abusato presenta un indebolimento e una fragilità generale molto accentuati. Dispone di difese molto basse, si ammala molto più spesso oppure si esprime con un disturbo emotivo». Come proteggerlo dunque? «Il primo passo è riconoscerlo - spiega Montecchi -. Per questo cinque anni fa abbiamo istituito il servizio Girasole, specifico su abusi e maltrattamenti, esteso da poco anche a violenza in famiglia, disturbi alimentari e autismo. Risponde al numero 06.68592265, 24 ore su 24. Trattiamo casi di sospetto abuso ad un ritmo che oscilla intorno ai 6 a settimana, circa 300 casi all’anno. Le classi sociali sono in generale medio-basse, anche perché in quelle medio-alte c’è maggiore attenzione a nascondere le tracce di abusi».

Quando i servizi dell’ospedale segnalano il ricovero di un piccolo degente con ipotesi di sospetto abuso, entrano subito in azione neuropsichiatri e psicologi dell’équipe. «La procedura prevede un incontro familiare e poi varie osservazioni di gioco del bambino - spiega il primario -. Il bimbo gioca prima da solo, poi con un genitore, successivamente con l’altro e infine con un gruppo di bambini. Dopodiché si passa a una serie di test, compresi i disegni. Un ruolo speciale viene infine riservato al gioco della sabbia».

L’idea risale alla scuola di Jung. In una stanza c’è una cassetta col fondo pieno di sabbia su cui ricostruire una scena. Il bambino può scegliere su uno scaffale oggetti ed elementi di vario tipo, sia strutture geometriche che cose vere e proprie come veicoli, casette, personaggi, alberi, animali. «La scena che ne esce rappresenta un sogno a tre dimensioni, è una sorta di racconto onirico - dice Montecchi -. Raramente infatti il bambino descrive in modo diretto ed esplicito abusi che subisce. Più facilmente li rappresenta graficamente e nel gioco con gli altri. Da tutte queste attività esce la nostra diagnosi. Se c’è l’obbligo di referto facciamo rapporto all’autorità giudiziaria».

Una settimana fa a Roma è morta Dana Dutu. Al Bambino Gesù, dove il suo caso era stato segnalato fin da agosto alla Procura che aveva poi aperto un fascicolo successivamente archiviato, sono entrati altri piccoli degenti. E il telefono del Girasole è tornato purtroppo a squillare.

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