Da Corriere della Sera del 05/11/2004
Arafat, ultimo atto. «Morte cerebrale»
Conferme e smentite da Parigi per tutta la giornata, Chirac al capezzale del leader palestinese
di Massimo Nava
PARIGI - Uno che ha vissuto molte vite, non può che avere diverse morti: annunciata, smentita, apparente, biologica e politica. Yasser Arafat, guerriero e terrorista, negoziatore e presidente, speranza e problema del popolo palestinese, è fisicamente e politicamente morto, ma la medicina lo tiene ancora in vita, perché il certificato della morte clinica sia in sintonia con i tempi della successione, il controllo delle conseguenze, il luogo della sepoltura. Anche la Francia che lo ha in cura, il Paese che fino all'ultimo lo ha sostenuto e che adesso ne deve gestire le esequie, si adegua al copione non scritto in questa giornata convulsa di voci e smentite, lasciando che l'ultimo viaggio del vecchio leader resti sospeso.
«Coma irreversibile, stadio 4» è l'ultima diagnosi, di cui nessun medico si assume però la responsabilità ufficiale. Arafat si spegne nel giorno dell'anniversario dell'assassinio di Rabin, il leader israeliano che con lui aprì le più concrete speranze di pace e la sua vita, proprio come quelle speranze, è appesa a un filo. È proprio un generale francese, responsabile sanitario dell'Arma, a dare l'ultima smentita: «Arafat non è morto», dice Christian Estripeau, davanti ai cancelli dell'ospedale militare Percy, a Clamart, periferia di Parigi.
La dichiarazione arriva qualche minuto dopo che la notizia della morte, verso le 17, ha già fatto il giro del mondo, è piombata nella conferenza stampa di Bush e al vertice di Bruxelles e continua a rimbalzare fra Gerusalemme, Ramallah e Parigi. Il portavoce è almeno la fonte più attendibile per confermare che le condizioni del leader sono peggiorate e che lo stato clinico è divenuto «più complesso». Nulla di più, «per rispetto e discrezione richiesti dalla moglie Suha».
Quando il presidente Jacques Chirac, nel pomeriggio, entra all'ospedale militare Percy, a Clamart, periferia di Parigi, va ormai al capezzale di un malato gravissimo, tenuto in vita dalle macchine, che però gli stringe la mano e accenna un sorriso, quasi per ringraziarlo di un'amicizia che non è mai venuta meno: per Arafat, il presidente francese è il «dottor Chirac» prodigo di consigli, che lo ha ricevuto sei volte a Parigi. Chirac s'intrattiene con i medici, incontra membri della delegazione palestinese, «fa gli auguri» alla moglie Suha, come fa sapere l'Eliseo.
Poi vola a Bruxelles e s'intrattiene con il primo ministro lussemburghese Jean Claude Junker, il primo europeo ad aver annunciato la morte di Arafat. E subito dopo, Junker smentisce.
Non sapremo mai la forza e l'autenticità di quella stretta di mano e di quel sorriso nell'ambiente asettico dell'unità intensiva di rianimazione, dove Arafat è stato portato nella serata di mercoledì. Il linguaggio medico, confuso da conferme e smentite di fonti palestinesi, oscilla dallo «stato di semi coscienza» al «coma irreversibile», dalla «morte clinica» a «leggeri segni di ripresa e risveglio». Una fonte sanitaria, raccolta da LCI, la rete d'informazione francese, conferma il «coma irreversibile», quasi un certificato di morte, che può essere ritardata con la respirazione artificiale e il mantenimento di funzioni vitali. Nella mattinata, Nabil Abu Roudeina, consigliere di Arafat, sosteneva invece che il presidente dell'Autorità palestinese non aveva perduto conoscenza e che era uscito dal coma. Qualche membro della delegazione azzardava addirittura previsioni ottimistiche sui tempi della convalescenza, qualche settimana prima di partire per la Tunisia.
La barriera di voci e confusione non svela nemmeno il mistero delle cause della malattia che ha colpito il 75enne presidente. Quando venne deciso il ricovero a Parigi, le anomalie riscontrate nel sangue facevano pensare a una grave infezione o a una forma di tumore allo stomaco. Altre voci parlavano di leucemia. Altre ancora di «avvelenamento da farmaci», contratto a Ramallah. Durante il ricovero, i medici hanno escluso la leucemia. Avvelenamento e intossicazione erano invece escluse dalla rappresentante della delegazione palestinese a Parigi, Leila Shahid.
Qualche interrogativo suscita l'improvviso peggioramento, dopo un quadro clinico che non appariva così compromesso. Il faticoso viaggio da Ramallah era stato deciso con qualche speranza, non per venire a morire qualche giorno dopo a Parigi. E queste erano forse le aspettative della Francia. Arafat, ospitato per coerenza da vivo, potrebbe essere imbarazzante da morto.
A tarda sera, davanti ai cancelli dell'ospedale, si radunano giovani con la bandiera della Palestina. Sistemano candele davanti ai ritratti di Arafat. Da Londra arriva un vecchio amico, l'ex deputato laburista George Galloway. Iniziano una veglia di speranza e preghiera. Dentro, non si sa se la moglie Suha e i più fidati collaboratori abbiano già cominciato quella funebre.
«Coma irreversibile, stadio 4» è l'ultima diagnosi, di cui nessun medico si assume però la responsabilità ufficiale. Arafat si spegne nel giorno dell'anniversario dell'assassinio di Rabin, il leader israeliano che con lui aprì le più concrete speranze di pace e la sua vita, proprio come quelle speranze, è appesa a un filo. È proprio un generale francese, responsabile sanitario dell'Arma, a dare l'ultima smentita: «Arafat non è morto», dice Christian Estripeau, davanti ai cancelli dell'ospedale militare Percy, a Clamart, periferia di Parigi.
La dichiarazione arriva qualche minuto dopo che la notizia della morte, verso le 17, ha già fatto il giro del mondo, è piombata nella conferenza stampa di Bush e al vertice di Bruxelles e continua a rimbalzare fra Gerusalemme, Ramallah e Parigi. Il portavoce è almeno la fonte più attendibile per confermare che le condizioni del leader sono peggiorate e che lo stato clinico è divenuto «più complesso». Nulla di più, «per rispetto e discrezione richiesti dalla moglie Suha».
Quando il presidente Jacques Chirac, nel pomeriggio, entra all'ospedale militare Percy, a Clamart, periferia di Parigi, va ormai al capezzale di un malato gravissimo, tenuto in vita dalle macchine, che però gli stringe la mano e accenna un sorriso, quasi per ringraziarlo di un'amicizia che non è mai venuta meno: per Arafat, il presidente francese è il «dottor Chirac» prodigo di consigli, che lo ha ricevuto sei volte a Parigi. Chirac s'intrattiene con i medici, incontra membri della delegazione palestinese, «fa gli auguri» alla moglie Suha, come fa sapere l'Eliseo.
Poi vola a Bruxelles e s'intrattiene con il primo ministro lussemburghese Jean Claude Junker, il primo europeo ad aver annunciato la morte di Arafat. E subito dopo, Junker smentisce.
Non sapremo mai la forza e l'autenticità di quella stretta di mano e di quel sorriso nell'ambiente asettico dell'unità intensiva di rianimazione, dove Arafat è stato portato nella serata di mercoledì. Il linguaggio medico, confuso da conferme e smentite di fonti palestinesi, oscilla dallo «stato di semi coscienza» al «coma irreversibile», dalla «morte clinica» a «leggeri segni di ripresa e risveglio». Una fonte sanitaria, raccolta da LCI, la rete d'informazione francese, conferma il «coma irreversibile», quasi un certificato di morte, che può essere ritardata con la respirazione artificiale e il mantenimento di funzioni vitali. Nella mattinata, Nabil Abu Roudeina, consigliere di Arafat, sosteneva invece che il presidente dell'Autorità palestinese non aveva perduto conoscenza e che era uscito dal coma. Qualche membro della delegazione azzardava addirittura previsioni ottimistiche sui tempi della convalescenza, qualche settimana prima di partire per la Tunisia.
La barriera di voci e confusione non svela nemmeno il mistero delle cause della malattia che ha colpito il 75enne presidente. Quando venne deciso il ricovero a Parigi, le anomalie riscontrate nel sangue facevano pensare a una grave infezione o a una forma di tumore allo stomaco. Altre voci parlavano di leucemia. Altre ancora di «avvelenamento da farmaci», contratto a Ramallah. Durante il ricovero, i medici hanno escluso la leucemia. Avvelenamento e intossicazione erano invece escluse dalla rappresentante della delegazione palestinese a Parigi, Leila Shahid.
Qualche interrogativo suscita l'improvviso peggioramento, dopo un quadro clinico che non appariva così compromesso. Il faticoso viaggio da Ramallah era stato deciso con qualche speranza, non per venire a morire qualche giorno dopo a Parigi. E queste erano forse le aspettative della Francia. Arafat, ospitato per coerenza da vivo, potrebbe essere imbarazzante da morto.
A tarda sera, davanti ai cancelli dell'ospedale, si radunano giovani con la bandiera della Palestina. Sistemano candele davanti ai ritratti di Arafat. Da Londra arriva un vecchio amico, l'ex deputato laburista George Galloway. Iniziano una veglia di speranza e preghiera. Dentro, non si sa se la moglie Suha e i più fidati collaboratori abbiano già cominciato quella funebre.
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