Da Corriere della Sera del 04/11/2004

Nei suoi tratti gli americani hanno visto il mito della nazione

di Sergio Romano

Nessuno storico oserà mai affermare che George W. Bush avesse nel novembre del 2000 l’incondizionata fiducia dei suoi connazionali. L’America assistette senza entusiasmarsi a un duello fra due «pesi medi» e ogni elettore votò, come accade in queste circostanze, per quello che egli giudicava il male minore. Per la sua educazione, la sua modesta cultura, i suoi legami con la destra cristiana e con i «poteri forti» dell’economia americana, Bush suscitava in alcuni ambienti una certa diffidenza. Al Gore vinse infatti con un margine non indifferente: 500.000 voti. Ma le anacronistiche stravaganze del sistema elettorale americano e una discutibile sentenza della Corte Suprema dettero la vittoria al suo avversario. Quando mise piede alla Casa Bianca George W. dovette sentirsi «miracolato» ed evitò, per un certo periodo, di sfidare la provvidenza.

Ne avemmo la prova allorché i cinesi costrinsero un aereo spia americano ad atterrare sul loro territorio e lo trattennero sino a quando non l’ebbero svuotato del suo prezioso bagaglio elettronico. Anziché proferire minacce e negoziare, Bush ascoltò i consigli del suo segretario di Stato, Colin Powell, e negoziò un onorevole compromesso.

Avrebbe continuato a governare prudentemente, senza dare troppa retta ai suoi bellicosi consiglieri? Sappiamo ora che la preparazione della guerra contro l’Iraq cominciò poco dopo l’elezione. Ma l’avvenimento che ebbe su Bush l’effetto di un micidiale reagente chimico fu l’11 settembre. Capì di dovere dare una risposta alle paure dei suoi cittadini e decise di essere se stesso, senza remore e prudenze. Assistemmo nei mesi seguenti alla grossolana accentuazione di tutti gli aspetti del suo carattere e del suo stile: la religiosità ostentata e vibrante, il decisionismo spavaldo, la dialettica sbrigativa e semplificatrice, l’oratoria sommaria e martellante.

Persino la sua modesta statura divenne un punto di forza. Quando vedo Bush incedere su un palcoscenico, impadronirsi di un microfono, scendere da un elicottero o marciare tra la folla degli ammiratori, penso a un attore americano degli anni Trenta, James Cagney, piccolo, tozzo, carico di energia, bravissimo nella parte del ragazzaccio generoso, sventato e un po’ teppista.

Il personaggio è piaciuto. Nei tratti del nuovo Bush gli americani hanno ritrovato una combinazione dei tipi umani che appartengono alla leggenda e al mito della nazione: l’uomo della frontiera, il marine, lo sceriffo, il poliziotto di quartiere, il businessman audace e intraprendente, lo spietato difensore della legge, il ministro della fede devoto e rigoroso. Molti di loro dovettero accorgersi che il presidente era diventato una caricatura americana. Ma nei grandi drammi della storia è opportuno che gli attori aumentino il volume della voce, accentuino il trucco, esagerino i gesti e i movimenti. Per il dramma che si recitava allora di fronte alla platea dell’opinione pubblica degli Stati Uniti («L’America contro il terrorismo») Bush era l’attore giusto. I suoi connazionali lo ricompensarono con altissime percentuali di consenso (più del 70%) e applaudirono tutte le sue decisioni e iniziative: il Patriot Act (la legge che limita fortemente i diritti civili e le garanzie legali dei cittadini e degli stranieri), i tribunali militari, la guerra afghana, la detenzione dei prigionieri nel carcere di Guantanamo, la diplomazia del fatto compiuto, il duro contenzioso con gli alleati recalcitranti, la guerra irachena.

Agli occhi di una larga parte del Paese nessuno sembrava altrettanto adatto a garantire la sicurezza della nazione. Passarono in seconda linea per molto tempo gli errori, le negligenze, le mezze verità e le grossolane esagerazioni della presidenza Bush: il saccheggio di Bagdad dopo l’occupazione americana, l’inutile ricerca delle armi di distruzione di massa, persino gli scandali del carcere di Abu Ghraib.

Il favore dell’«audience» cominciò a calare negli ultimi mesi del 2003. Gli americani sono spettatori volubili e impazienti. Quando fu chiaro che in Iraq, dopo la vittoria militare contro l’esercito di Saddam, era scoppiata una nuova guerra, molto più difficile e sanguinosa della prima, la platea cominciò a brontolare. Quando gli spettatori sommarono le bugie e le gaffes dell’Amministrazione, il campo di Bush cominciò a diradarsi. Se il clima del teatro cambia, i toni alti delle recitazioni istrioniche diventano vuoti e stridenti. Bush ha continuato a fare la sua parte, ma le battute sono diventate col passare del tempo, per una parte del Paese, sempre meno convincenti.

Il calo di popolarità, tuttavia, non gli ha impedito di vincere. La maggioranza continua a pensare che l’America, in questo momento, ha bisogno di un uomo semplice, dotato di poche idee e di modesta preparazione culturale, ma fermamente convinto di avere ragione.

E’ probabile che la scelta sia stata favorita dal grigiore dell’avversario. John Kerry ha serietà di carattere e intelligenza, ma non è riuscito a trasmettere un messaggio chiaro e preciso. Bush, occorre ammetterlo, è un maestro della comunicazione elementare e ha temperamento. Nella battaglia fra il temperamento e il carattere, il primo, in questa occasione, ha prevalso.

Ma le elezioni hanno dimostrato che il Paese è profondamente diviso. In altre circostanze la divisione sarebbe semplicemente una necessaria manifestazione di democrazia. In questo momento, mentre l’America è in guerra, la divisione è il sintomo del disagio e dei timori che la presidenza Bush suscita in una parte della società. Sarebbe meglio, quindi, parlare di spaccatura: un fenomeno che nessun Paese, in queste circostanze, può permettersi. Bush ha vinto, ma dovrà rendersi conto che la sua caricatura americana non è più adatta alle nuove circostanze del dramma in cui dovrà recitare per i prossimi quattro anni. L’America, non importa se repubblicana o democratica, ha bisogno di un nuovo personaggio, più adatto alla gravità del momento e alle esigenze della nazione.

Sullo stesso argomento

Articoli in archivio

L´America dei devoti non è arretrata, ma moderna e combattiva. Per fare proseliti usa blog e siti web
Il segreto dei militanti della fede vincere con le armi del nemico
di Simon Schama su The Guardian del 18/11/2004
 
Cos'� ArchivioStampa?
Una finestra sul mondo della cultura, della politica, dell'economia e della scienza. Ogni giorno, una selezione di articoli comparsi sulla stampa italiana e internazionale. [Leggi]
Rassegna personale
Attualmente non hai selezionato directory degli articoli da incrociare.
Sponsor
Contenuti
Notizie dal mondo
Notizie dal mondo
Community
• Forum
Elenco degli utenti

Sono nuovo... registratemi!
Ho dimenticato la password
• Sono già registrato:
User ID

Password
Network
Newsletter

iscriviti cancella
Suggerisci questo sito

Attenzione
I documenti raccolti in questo sito non rappresentano il parere degli autori che si sono limitatati a raccoglierli come strumento di studio e analisi.
Comune di Roma

Questo progetto imprenditoriale ha ottenuto il sostegno del Comune di Roma nell'ambito delle azioni di sviluppo e recupero delle periferie

by Mondo a Colori Media Network s.r.l. 2006-2024
Valid XHTML 1.0, CSS 2.0