Da Il Messaggero del 05/11/2004
Ricerca Acri-Ipsos: il 13% dei nuclei familiari ha dovuto utilizzare i risparmi accumulati e il 4% ha chiesto prestiti
«Una famiglia su cinque in seria difficoltà»
In questa situazione di stallo economico gli italiani investono sempre più nella casa
di Piero Cacciarelli
ROMA - L’economia che non riesce a imboccare la strada verso uno sviluppo più dinamico e i redditi falcidiati dall’impennata dei prezzi reali hanno ridotto drasticamente la capacità di risparmio delle famiglie. Per fronteggiare difficoltà che non accennano a sfumare, ma spesso si fanno più pressanti, quest’anno il 13% degli italiani è stato costretto a intaccare il gruzzolo faticosamente messo da parte e il 4% ha dovuto contrarre prestiti che non sarà facile restituire. Quasi la metà del popolo della Penisola (per l’esattezza il 48%) consuma tutti gli introiti di cui dispone e appena il 34% può accantonare qualcosa: una quota calata di un decimo in tre anni e del 4% solo negli ultimi 12 mesi. Malgrado le iniezioni di ottimismo che il governo si sforza di praticare, la maggior parte dei nostri connazionali attende un futuro nero, poiché non oltre il 15% prevede un aumento dei propri risparmi (nel 2001 era il 32%), mentre il 44% teme una discesa (tre anni fa era il 29%). Questo quadro, che certo non induce all’ottimismo, emerge da una ricerca compiuta dall’Acri, l’associazione delle Casse di risparmio e delle fondazioni bancarie, insieme con l’Ipsos e in occasione dell’ottantesima Giornata del risparmio, programmata per oggi.
Nel momento in cui l’esecutivo e la maggioranza che lo sostiene stanno faticosamente cercando un minimo di intesa su quei tagli fiscali che dovrebbero rilanciare i consumi e quindi dare una spinta all’economia, una delle risposte fornite dal campione delle famiglie meriterebbe un’attenta riflessione. La maggioranza degli interpellati non pensa di incrementare le spese, né lo vorrebbe fare, poiché preferirebbe potenziare il ”castelletto”. Sembra di capire, quindi, che se si trovassero in tasca qualche soldo in più grazie alla riduzione delle tasse, gli italiani invece di destinarlo agli acquisti lo risparmierebbero per coprirsi meglio le spalle: un comportamento ben diverso da quello che Berlusconi ha messo in preventivo. Che il clima di sfiducia sia prevalente non deve sorprendere, poiché oltre un terzo dei nuclei familiari si dibatte in una grave crisi. La stagnazione e gli sfrenati rincari hanno colpito soprattutto le fasce meno protette, come gli operai, i pensionati e in genere coloro che hanno un limitato livello di studi. Tuttavia, la maggiore concentrazione di situazioni a rischio, cioè delle forti perdite di potere d’acquisto, si riscontra nei ceti medi e perfino medio-alti: impiegati, insegnanti, commercianti e anche professionisti. Di fronte alla precarietà che guadagna terreno, è naturale che si cerchi in via prioritaria la sicurezza e dunque crescono le preferenze per il mattone, indenne dai terremoti finanziari. Mentre si contrae il numero di coloro che ricorrono ai tradizionali strumenti del risparmio (uno striminzito 11%), aumentano coloro che tengono il denaro liquido: dal 47% del 2001 al 68% di oggi. I rendimenti ai minimi termini fanno scendere di 7 punti il favore accordato ai titoli di Stato, ma non va tanto meglio ai certificati di deposito, che perdono il 6%, e ai fondi pensione e polizze vita, in calo del 5%. Tutta un’altra musica sul fronte della casa, dal momento che il 70% degli interpellati giudica l’investimento immobiliare come il migliore per proteggere il proprio denaro. Da notare che l’anno scorso erano il 59% e nel 2001 appena il 39%.
L’indagine - concludono Acri e Ipsos - conferma «l’impoverimento dei ceti medi» e fotografa un’Italia «che fatica a tenere il passo con gli altri Paesi e rischia il declino». Nemmeno l’Europa consiglia una maggiore fiducia, anzi preoccupa l’ingresso dei nuovi partner Ue, e le giovani generazioni dovranno fare i conti con margini di sicurezza ridotti rispetto ai loro padri.
Nel momento in cui l’esecutivo e la maggioranza che lo sostiene stanno faticosamente cercando un minimo di intesa su quei tagli fiscali che dovrebbero rilanciare i consumi e quindi dare una spinta all’economia, una delle risposte fornite dal campione delle famiglie meriterebbe un’attenta riflessione. La maggioranza degli interpellati non pensa di incrementare le spese, né lo vorrebbe fare, poiché preferirebbe potenziare il ”castelletto”. Sembra di capire, quindi, che se si trovassero in tasca qualche soldo in più grazie alla riduzione delle tasse, gli italiani invece di destinarlo agli acquisti lo risparmierebbero per coprirsi meglio le spalle: un comportamento ben diverso da quello che Berlusconi ha messo in preventivo. Che il clima di sfiducia sia prevalente non deve sorprendere, poiché oltre un terzo dei nuclei familiari si dibatte in una grave crisi. La stagnazione e gli sfrenati rincari hanno colpito soprattutto le fasce meno protette, come gli operai, i pensionati e in genere coloro che hanno un limitato livello di studi. Tuttavia, la maggiore concentrazione di situazioni a rischio, cioè delle forti perdite di potere d’acquisto, si riscontra nei ceti medi e perfino medio-alti: impiegati, insegnanti, commercianti e anche professionisti. Di fronte alla precarietà che guadagna terreno, è naturale che si cerchi in via prioritaria la sicurezza e dunque crescono le preferenze per il mattone, indenne dai terremoti finanziari. Mentre si contrae il numero di coloro che ricorrono ai tradizionali strumenti del risparmio (uno striminzito 11%), aumentano coloro che tengono il denaro liquido: dal 47% del 2001 al 68% di oggi. I rendimenti ai minimi termini fanno scendere di 7 punti il favore accordato ai titoli di Stato, ma non va tanto meglio ai certificati di deposito, che perdono il 6%, e ai fondi pensione e polizze vita, in calo del 5%. Tutta un’altra musica sul fronte della casa, dal momento che il 70% degli interpellati giudica l’investimento immobiliare come il migliore per proteggere il proprio denaro. Da notare che l’anno scorso erano il 59% e nel 2001 appena il 39%.
L’indagine - concludono Acri e Ipsos - conferma «l’impoverimento dei ceti medi» e fotografa un’Italia «che fatica a tenere il passo con gli altri Paesi e rischia il declino». Nemmeno l’Europa consiglia una maggiore fiducia, anzi preoccupa l’ingresso dei nuovi partner Ue, e le giovani generazioni dovranno fare i conti con margini di sicurezza ridotti rispetto ai loro padri.
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