Da La Stampa del 12/11/2004
Angeletti: "Ridurre l'irap a tutte le imprese non servirà a nulla"
di Roberto Giovannini
ROMA - E’ acqua fresca. Se si spera di rilanciare così l’economia italiana, tra un anno ci accorgeremo che sarà stata solo una grande illusione, e un grande spreco delle poche risorse disponibili». È netto il giudizio negativo di Luigi Angeletti, segretario generale della Uil, sul pacchetto fiscale deciso dal governo.
È deluso, segretario?
«Il governo e la maggioranza hanno preso atto che non c’erano soldi, e hanno cercato di accontentare le imprese. Bisogna vedere come, perché se la riduzione dell’Irap sarà a pioggia, senza premiare le imprese meritevoli di essere sostenute, è chiaro che anche questo non lascerà traccia, per usare un’espressione di Montezemolo. Se invece faranno come abbiamo sempre suggerito, ovvero selezionando, sostenendo attraverso la leva fiscale le imprese virtuose, che fanno ricerca, innovazione, investimenti, quindi occupazione e sviluppo, allora, sarà poco più che simbolico, ma sarà un passo nella direzione giusta. Resta irrisolto il problema fondamentale, quello del sostegno al reddito».
Lei allude al sostegno alla domanda interna...
«Che infatti è stagnante. La situazione economica dell’Italia è molto diversa da quella degli Anni 70 e 80, in cui si poteva contare sulla possibilità che un sostegno alle esportazioni creasse ricchezza per poi redistribuirla. Oggi la questione della distribuzione della ricchezza, e quindi della domanda interna, è decisiva. Non succederà mai più che la domanda estera sostenga tassi di crescita del 2-3% dell’economia italiana. E di questo il governo non sembra rendersene conto. Aiutare le imprese, ridurre le tasse a chi se la passa già bene e sperare che questo faccia partire l’economia è un’idea che non funziona. Il sindacato aveva fatto due proposte concrete che almeno andavano nella direzione giusta: la riduzione del fiscal drag, la riduzione della forbice tra salario lordo e salario netto».
Eppure, ci saranno aiuti fiscali alle famiglie.
«Ancora non ne sappiamo nulla. Certo, se fossero solo 500 milioni di euro di sostegno alle famiglie non sarebbe in pratica niente. Secondo noi, se quest’anno ci fossero state risorse, bisognava fare (sempre in modo selettivo) due terzi alle famiglie e un terzo alle imprese. Qualche effetto ci sarebbe stato. Così, è solo un contentino. Il problema è quello che è un accordo tutto politico all’interno della maggioranza».
Si parlava di una convocazione delle parti sociali da parte del governo. È arrivata?
«Per ora no. Temo che se ci sarà un incontro, servirà solo a spiegarci le decisioni già prese. Hanno derubricato la concertazione a dialogo sociale, e il dialogo sociale a informazione».
Dunque, resta più che mai il vostro sciopero generale...
«È evidente. Oltre tutto, era stato annunciato dal governo un tavolo sulla competitività. La manovra fiscale, ci avevano spiegato, era strettamente legata alla competitività. Di incontri o convocazioni su di un tema così importante non c’è stata traccia. La riforma fiscale se la sono discussa tra loro, non mi sembra sia stato un risultato eccellente. Sarebbe stato molto più logico e normale che il governo avesse attivato i tavoli che aveva anticipato. E le parti sociali avevano fatto delle proposte di grande qualità e buonsenso sul Mezzogiorno».
Nel 2006 il taglio dell’Irpef ci sarà?
«Il governo ha parlato di un emendamento complessivo 2005-2006 sul Fisco: non dubito che lo vareranno. Io esprimo contrarietà nel merito, e qualche dubbio sul fatto che poi nel 2006 ci siano davvero le condizioni per attuare la riduzione dell’Irpef, che peraltro è mal congegnata. Alla fine, è solo una grande illusione sperare in grandi effetti sull’economia italiana. Per questo con lo sciopero vogliamo dare un segnale netto al governo: abbiamo proposte serie, discutiamone. Ma per adesso non ci vogliono ascoltare».
È deluso, segretario?
«Il governo e la maggioranza hanno preso atto che non c’erano soldi, e hanno cercato di accontentare le imprese. Bisogna vedere come, perché se la riduzione dell’Irap sarà a pioggia, senza premiare le imprese meritevoli di essere sostenute, è chiaro che anche questo non lascerà traccia, per usare un’espressione di Montezemolo. Se invece faranno come abbiamo sempre suggerito, ovvero selezionando, sostenendo attraverso la leva fiscale le imprese virtuose, che fanno ricerca, innovazione, investimenti, quindi occupazione e sviluppo, allora, sarà poco più che simbolico, ma sarà un passo nella direzione giusta. Resta irrisolto il problema fondamentale, quello del sostegno al reddito».
Lei allude al sostegno alla domanda interna...
«Che infatti è stagnante. La situazione economica dell’Italia è molto diversa da quella degli Anni 70 e 80, in cui si poteva contare sulla possibilità che un sostegno alle esportazioni creasse ricchezza per poi redistribuirla. Oggi la questione della distribuzione della ricchezza, e quindi della domanda interna, è decisiva. Non succederà mai più che la domanda estera sostenga tassi di crescita del 2-3% dell’economia italiana. E di questo il governo non sembra rendersene conto. Aiutare le imprese, ridurre le tasse a chi se la passa già bene e sperare che questo faccia partire l’economia è un’idea che non funziona. Il sindacato aveva fatto due proposte concrete che almeno andavano nella direzione giusta: la riduzione del fiscal drag, la riduzione della forbice tra salario lordo e salario netto».
Eppure, ci saranno aiuti fiscali alle famiglie.
«Ancora non ne sappiamo nulla. Certo, se fossero solo 500 milioni di euro di sostegno alle famiglie non sarebbe in pratica niente. Secondo noi, se quest’anno ci fossero state risorse, bisognava fare (sempre in modo selettivo) due terzi alle famiglie e un terzo alle imprese. Qualche effetto ci sarebbe stato. Così, è solo un contentino. Il problema è quello che è un accordo tutto politico all’interno della maggioranza».
Si parlava di una convocazione delle parti sociali da parte del governo. È arrivata?
«Per ora no. Temo che se ci sarà un incontro, servirà solo a spiegarci le decisioni già prese. Hanno derubricato la concertazione a dialogo sociale, e il dialogo sociale a informazione».
Dunque, resta più che mai il vostro sciopero generale...
«È evidente. Oltre tutto, era stato annunciato dal governo un tavolo sulla competitività. La manovra fiscale, ci avevano spiegato, era strettamente legata alla competitività. Di incontri o convocazioni su di un tema così importante non c’è stata traccia. La riforma fiscale se la sono discussa tra loro, non mi sembra sia stato un risultato eccellente. Sarebbe stato molto più logico e normale che il governo avesse attivato i tavoli che aveva anticipato. E le parti sociali avevano fatto delle proposte di grande qualità e buonsenso sul Mezzogiorno».
Nel 2006 il taglio dell’Irpef ci sarà?
«Il governo ha parlato di un emendamento complessivo 2005-2006 sul Fisco: non dubito che lo vareranno. Io esprimo contrarietà nel merito, e qualche dubbio sul fatto che poi nel 2006 ci siano davvero le condizioni per attuare la riduzione dell’Irpef, che peraltro è mal congegnata. Alla fine, è solo una grande illusione sperare in grandi effetti sull’economia italiana. Per questo con lo sciopero vogliamo dare un segnale netto al governo: abbiamo proposte serie, discutiamone. Ma per adesso non ci vogliono ascoltare».
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