Da La Repubblica del 15/11/2004

Sparatoria contro Abu Mazen

Gaza, "avvertimento" al leader moderato. Uccisi due agenti

Uomini armati hanno fatto irruzione nella tenda montata in onore di Arafat gridando "Servi della Cia"
Per Al Jazeera si è trattato di un attentato non riuscito Dahalan smentisce e parla di cause accidentali
Lo scontro dopo che si era diffusa la voce che il capo dell´Olp era stato scelto come candidato da Al Fatah
Il vertice provvisorio dell´Autonomia ha fissato per il 9 gennaio la data delle elezioni presidenziali

di Alberto Stabile

La campagna elettorale per il dopo Arafat è cominciata sotto il segno della violenza. La prima sortita pubblica, a Gaza, del cauto Abu Mazen, il leader dell´Olp impegnato nella corsa alla successione, ma tutt´altro che benaccetto ad alcuni gruppi radicali, è stata funestata ieri da una violenta sparatoria che ha lasciato sul terreno due morti e quattro feriti. L´onnipresente Al Jazeera ha suggerito che s´è trattato di un attentato non riuscito contro il potenziale erede di Abu Ammar. Ma l´ambizioso boss di Gaza, Mohammed Dahalan, che accompagnava Abu Mazen, ha affermato, in polemica con la Tv del Qatar, che la sparatoria è avvenuta in maniera accidentale.

Quel che è possibile affermare, dalle testimonianze arrivate da Gaza, è che si è trattato per lo meno di una contestazione violenta e preordinata, diretta contro l´ex premier che, agli occhi dei gruppi più estremisti, ha osato stringere la mano di Sharon. Per quattro mesi, tra la primavera e l´estate del 2003, Mahmud Abbas (meglio noto col suo nome di battaglia, Abu Mazen) è stato, infatti, primo ministro dell´Autorità palestinese, nominato da Arafat, sotto le pressioni degli Stati Uniti, dell´Europa e d´Israele. L´intransigenza di Sharon e l´ambiguità di Arafat lo hanno poi costretto alle dimissioni.

Oggi, lo stesso Abu Mazen, di cui è noto il giudizio negativo espresso contro l´Intifada armata e contro il terrorismo in generale, appare come uno dei candidati favoriti nello scrutinio per eleggere il nuovo Presidente dell´Autorità palestinese che, proprio ieri, la leadership provvisoria ha fissato per il 9 gennaio 2005.

Di un altro particolare bisogna tener conto nel ricostruire questa giornata per molti versi cruciale. Lo scontro di Gaza è esploso poche ore dopo che era corsa voce che il Comitato Centrale di Al Fatah, il movimento ultramaggioritario tra i palestinesi laici, aveva scelto Abu Mazen come suo candidato alle presidenziali. Rilanciata da alcune agenzie di stampa, l´indiscrezione era stata più tardi parzialmente derubricata al livello di una «decisione informale». Ma tant´è.

La scelta di Abu Mazen di presentarsi a Gaza, sotto la tenda per le condoglianze piantata, secondo tradizione, sul lungomare dove un tempo sorgevano gli uffici di Arafat, è stata sicuramente una scommessa. Ma, accanto all´ex premier, a garantire per la sua incolumità, c´era Mohammed Dahalan, "l´uomo forte" di Gaza, ex responsabile della Sicurezza interna proprio nel governo di Abu Mazen.

All´improvviso, mentre migliaia di persone si accalcavano nella tenda, un gruppo di uomini armati s´è avvicinato gridando slogan del tipo, «Abu Mazen e Dahalan servi della Cia».

A proteggere il leader dell´Olp c´erano agenti della Forza 17, il reparto creato da Arafat per la sua difesa personale e seguaci di Dahalan. Lo scontro è stato inevitabile. Mentre Abu Mazen, stretto dalle proprie guardie del corpo, veniva spinto all´interno della tenda e gettato letteralmente a terra per evitare i colpi, le due schiere si affrontavano a raffiche di Kalashnikov.

Difficile stabilire l´esatta identità politica degli assalitori in una situazione di pre-guerra civile, come quella di Gaza, dove casacche e schieramenti cambiano di continuo. Secondo alcuni, appartenevano a una formazione delle Brigate Al Aqsa scese in guerra contro altre fazioni rivali.

Per Abu Mazen il colpo è durissimo. Come può pretendere di conquistarsi il consenso (che non ha) tra i palestinesi se alla sua prima pubblica uscita scorre il sangue? Ancor più negativo è il colpo alla credibilità di Dahalan, la cui autorità e il cui controllo del territorio, evidentemente, non è tale garantire l´incolumità di una personalità di tutto rilievo come Abu Mazen. E questa carenza, in una logica, diciamo così tribale, o mafiosa, è un peccato imperdonabile.

Stiamo parlando di uno dei massimi esponenti della cosiddetta "giovane guardia". I quarantenni politicamente cresciuti nei Territori, che sperano di trovare oggi quello spazio che il sistema di potere costruito da Arafat aveva loro negato. A suo tempo sospettato di fomentare i disordini che hanno reso Gaza simile a un Far West o a una provincia libanese, Dahalan ha criticato Arafat, quando questi era in vita, ne ha cercato la legittimazione, quando era irreversibilmente malato, e, morto il raìs, è tornato a perorare la causa delle riforme e di «una forte leadership» come elementi imprescindibili per garantire la transizione. Anche se è apparso accanto ad Abu Mazen, Dahalan non ha mai smesso in questi giorni di pensare a se stesso come il candidato ideale.

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