Da Corriere della Sera del 14/11/2004
Il robot è spinto da un motore a ioni, un italiano responsabile della missione
Luna, arriva la prima sonda europea
di Giovanni Caprara
«Oggi arriviamo intorno alla Luna». Giuseppe Racca, ingegnere nucleare conquistato dallo spazio, guida la prima spedizione di una sonda automatica europea verso il nostro satellite naturale. Alle 17.48 Smart-1, piccolo veicolo spaziale dell’Esa, accenderà il motore ionico per stabilizzare la sua orbita: in quel momento si troverà 5 mila chilometri sopra i crateri ricoperti di polvere e i grandi «mari» dove gli astronauti della Nasa hanno lasciato le loro impronte oltre 30 anni fa. La Luna, dimenticata da allora, è tornata al centro di molti interessi e il presidente Bush ha promesso a gennaio di riportarci presto gli uomini. Nelle mani dell’ingegnere italiano ci sono le speranze del Vecchio Continente e la sua storia è la storia del piccolo robot dalle grandi ambizioni nato nel centro Estec, in Olanda. «Entrai in Esa a fine Anni ’80, dopo essermi occupato di una piattaforma lanciata con lo shuttle americano, e mi dedicai allo studio di missioni future - racconta Racca -. Si pensò a un veicolo avveniristico per studiare da vicino Mercurio e io proposi di impiegare un motore ionico, legato alla fantascienza di Star Trek, ma molto efficiente per la lunga traversata.
Un’avventura complicata: per evitare rischi e collaudarlo si decise di applicarlo a una missione più breve. Così è stato imbarcato su Smart-1, destinata alla Luna». Spedita a destinazione nel settembre dell’anno scorso da un razzo Ariane, le sono occorsi 13 mesi per arrivare sull’obiettivo. Il motore ionico, infatti, ha una spinta di appena 7 grammi, ma funzionando in continuazione permette di raggiungere velocità molto elevate e per questo è visto come il razzo del futuro. «Un mese dopo la partenza - ricorda Racca - la sonda è stata minacciata da una tempesta solare potentissima. I suoi sensori si confondevano e per precauzione spegnemmo anche il propulsore. Poi tutto è proseguito al meglio e siamo arrivati un paio di mesi prima del previsto. Sino a gennaio compiremo le operazioni per portarla sull’orbita lunare definitiva, con un’altezza tra i 300 e i 3 mila chilometri, da dove inizierà il suo lavoro scientifico».
Smart-1, nata per provare nuove tecnologie, è dotata di strumenti miniaturizzati avanzatissimi con i quali, oltre alla navigazione senza aiuto da terra, sarà possibile indagare il mondo lunare come mai prima d’ora. La Nasa, per lo sbarco degli astronauti, aveva studiato la fascia equatoriale della faccia visibile. Poi una ricognizione più generale era stata attuata dalle sonde Usa Clementine e Lunar Prospector. Il veicolo europeo, poco più grande di una lavatrice, compirà un balzo più significativo per la scienza. «Con i due spettrometri X e infrarosso - dice Racca - faremo la mappa degli elementi chimici della superficie e misureremo l’abbondanza dei minerali di cui è composta». Gli occhi elettronici di Smart-1 guarderanno a sud, il bacino di Aitken, che con un diametro di 1.200 chilometri è il più grande cratere da impatto conosciuto del sistema solare. Qui, negli anfratti bui dove i raggi del Sole non fanno sentire il loro effetto, si cercherà conferma del ghiaccio d’acqua portato dalle comete di cui le sonde Usa hanno ipotizzato l’esistenza. Se ci fosse, il futuro degli insediamenti umani sul nostro satellite sarebbe più facile, rapido ed economico, perché dal ghiaccio si ricaverebbero risorse essenziali alle colonie.
Alla Luna guardano con interesse giapponesi, cinesi e indiani. Ma tutto dipende da missioni come Smart-1, che per ora ha una durata di 6 mesi determinata dall’esiguo bilancio a disposizione (110 milioni di euro), anche se si pensa a un’estensione di un anno. A bordo, due strumenti italiani, realizzati da Laben Proel di Firenze e dall’Università di Roma, serviranno a gestire il propulsore e studiare le oscillazioni lunari. Dalla Luna arriveranno immagini, ma il loro dettaglio sarà solo di 25 metri, perché il primo scopo della missione è scoprire risorse del vicino mondo utili a continuarne l’esplorazione.
Un’avventura complicata: per evitare rischi e collaudarlo si decise di applicarlo a una missione più breve. Così è stato imbarcato su Smart-1, destinata alla Luna». Spedita a destinazione nel settembre dell’anno scorso da un razzo Ariane, le sono occorsi 13 mesi per arrivare sull’obiettivo. Il motore ionico, infatti, ha una spinta di appena 7 grammi, ma funzionando in continuazione permette di raggiungere velocità molto elevate e per questo è visto come il razzo del futuro. «Un mese dopo la partenza - ricorda Racca - la sonda è stata minacciata da una tempesta solare potentissima. I suoi sensori si confondevano e per precauzione spegnemmo anche il propulsore. Poi tutto è proseguito al meglio e siamo arrivati un paio di mesi prima del previsto. Sino a gennaio compiremo le operazioni per portarla sull’orbita lunare definitiva, con un’altezza tra i 300 e i 3 mila chilometri, da dove inizierà il suo lavoro scientifico».
Smart-1, nata per provare nuove tecnologie, è dotata di strumenti miniaturizzati avanzatissimi con i quali, oltre alla navigazione senza aiuto da terra, sarà possibile indagare il mondo lunare come mai prima d’ora. La Nasa, per lo sbarco degli astronauti, aveva studiato la fascia equatoriale della faccia visibile. Poi una ricognizione più generale era stata attuata dalle sonde Usa Clementine e Lunar Prospector. Il veicolo europeo, poco più grande di una lavatrice, compirà un balzo più significativo per la scienza. «Con i due spettrometri X e infrarosso - dice Racca - faremo la mappa degli elementi chimici della superficie e misureremo l’abbondanza dei minerali di cui è composta». Gli occhi elettronici di Smart-1 guarderanno a sud, il bacino di Aitken, che con un diametro di 1.200 chilometri è il più grande cratere da impatto conosciuto del sistema solare. Qui, negli anfratti bui dove i raggi del Sole non fanno sentire il loro effetto, si cercherà conferma del ghiaccio d’acqua portato dalle comete di cui le sonde Usa hanno ipotizzato l’esistenza. Se ci fosse, il futuro degli insediamenti umani sul nostro satellite sarebbe più facile, rapido ed economico, perché dal ghiaccio si ricaverebbero risorse essenziali alle colonie.
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