Da Il Messaggero del 15/11/2004

La battaglia elettorale è cominciata

di Marcella Emiliani

MENTRE quel che resta dell'Autonomia nazionale palestinese (Anp) brucia i tempi per offrire agli israeliani, a Bush e al mondo intero l'immagine di un potere, se non proprio solido, almeno stabile, in vista di una ripresa dei negoziati di pace, non sembra placarsi la guerra per bande all'interno di al Fatah, il partito di Arafat. Proprio al Fatah ieri ha annunciato che le elezioni per la presidenza dell'Anp si svolgeranno il 9 gennaio prossimo e ha ufficialmente candidato alla carica quell'Abu Mazen (Mahmoud Abbas) nelle cui mani è stata messa per ora la transizione: la “via alla democrazia” pareva dunque lastricata, per lo meno, di buone intenzioni. Poi, mentre Abu Mazen, assieme a Mohamed Dahlan, ex responsabile della sicurezza a Gaza, stavano rendendo omaggio alla salma del vecchio raìs nella tenda-mausoleo della Muqata a Ramallah, una sparatoria ha lasciato sul terreno almeno due morti e diversi feriti. Al Jazeera, dando la notizia, ha parlato apertamente di un attentato contro Mahmoud Abbas, subito smentita con veemenza da Dahlan, secondo il quale si è trattato di un incidente dovuto alla ressa e al fatto che molti, troppi palestinesi se ne vanno in giro armati. E non ha risparmiato una vera e propria ramanzina all'emittente del Qatar, accusata in pratica di agire irresponsabilmente, diffondendo notizie false.

Ma diversi testimoni oculari hanno raccontato che l'arrivo del duo Abu Mazen-Dahlan nel ridotto della Muqata è stato accolto da espressioni ostili di parte della folla che ha urlato loro contro di essere “agenti degli americani”. Altri continuavano a scandire «No ad Abu Mazen». Vista la scarsa popolarità del medesimo presso la popolazione (quella massa emotiva e arrabbiata dei Territori che ha trasformato i funerali di Arafat in un evento difficilmente dimenticabile), e visti soprattutto gli scontri tra anime diverse di al Fatah, che per tutta la giornata di ieri hanno funestato la Striscia di Gaza, l'ipotesi di al Jazeera sembra meno peregrina di quanto Dahlan voglia far credere.

Le Brigate al Aqsa, il braccio terroristico di al Fatah, del resto da quando Arafat è morto , sono uscite dall'ombra e hanno dichiarato chiaro e tondo di non sopportare la corruzione dei “vecchi” dell'Olp e dell'Anp, e di pretendere che “i tunisini” (cioè la leadership storica del movimento palestinese, cresciuta nell'esilio) lascino le redini di un potere così malamente gestito. Il loro eroe è Marwan Barghouti, che sta scontando nelle carceri israeliane ben cinque ergastoli come responsabile di attentati terroristici e il fatto che ieri la leadership dell'Anp lo abbia indicato tra i possibili candidati alle elezioni del 9 gennaio peraltro aperte a chiunque va forse interpretato come una captatio benevolentiae proprio nei confronti delle Brigate al Aqsa da parte della vecchia guardia di al Fatah.

In questo dopo-Arafat, comunque, stanno venendo al pettine tutti i nodi e tutte le ambiguità che il vecchio raìs copriva con la sua presenza, ingombrante per quanto carismatica, con risultati per ora paradossali. Da una parte abbiamo infatti Hamas, la vera protagonista di questa Intifada e della nuova stagione del terrorismo palestinese, che contrariamente alle aspettative si candida a governare quell'Autonomia nazionale che non ha mai riconosciuto, facendo presagire una sua partecipazione alle elezioni dopo aver disertato da sempre le urne. Dall'altra, a creare problemi fino al sospetto sulle Brigate al Aqsa di aver tentato di uccidere Abu Mazen, c'è proprio il partito di Arafat i cui parlamentari monopolizzano i seggi di quella specie di parlamento che è il Consiglio legislativo palestinese dell'Anp.

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