Da Die Zeit del 18/11/2004

Intervista al cancelliere tedesco dopo le elezioni presidenziali americane: "Continueremo a collaborare con gli Usa"

"A Bush dico: da solo non puoi vincere la pace"

Schroeder valuta il voto Usa e l´addio di Powell: "Un amico"

"La Germania fa la sua parte nella lotta al terrorismo. Abbiamo uomini nei Balcani e in Afghanistan. Non ne invieremo in Iraq"
"Credo che il rapporto speciale che abbiamo con Israele debba restare com´è, senza pressioni da parte nostra"

di Giovanni Di Lorenzo, Michael Naumann

BERLINO - Colin Powell mancherà alla Germania. Lo dice il cancelliere Gerhard Schroeder in questa intervista, la prima che concede dopo le elezioni presidenziali americane. Schroeder afferma anche per la prima volta che la Bundesrepublik non appoggerà mai un´azione militare occidentale contro l´Iran.

Signor cancelliere, dopo le elezioni americane, venerdì scorso, era stata annunciato un suo colloquio telefonico con George W. Bush. È stato così?
«Sì, da Bruxelles gli ho fatto di persona le mie congratulazioni. E gli ho espresso il mio auspicio di portare avanti la nostra collaborazione, che nell´insieme è buona. Lui la vede esattamente allo stesso modo».

Alcuni vedono sollievo nel governo tedesco per il risultato delle elezioni Usa. È così?
«È una leggenda. Il governo si è rigorosamente tenuto fuori dalla campagna elettorale americana. Non abbiamo mai espresso preferenze, auspici o aspettative, neanche in modo confidenziale. E non è vero che, a fronte di una presidenza Kerry, avremmo preso sull´Iraq posizioni diverse da quelle che assumiamo a fronte del rieletto presidente Bush».

Con Colin Powell una voce moderata lascia l´amministrazione Bush. Vi mancherà?
«Sì, perché egli conosce il nostro paese, a cui è legato da sentimenti di amicizia».

La situazione in Medio Oriente si va ulteriormente deteriorando. Berlino vuole prendere nuove iniziative?
«La Germania compie i doveri che spettano a ogni Stato civile nella lotta contro il terrorismo. Noi lo facciamo nei Balcani con 4000 soldati, e anche in Afghanistan. Esistono anche limiti alle nostre risorse. Ed esiste un´intesa politica nella nostra coalizione di governo, sulla decisione di non inviare soldati tedeschi in Iraq. Ma siamo molto attivi nell´addestramento della polizia e dell´esercito iracheno negli Emirati arabi uniti. E siamo pronti a un sostanziale condono del debito di Bagdad. Se si vuole impedire una destabilizzazione nella regione, bisogna puntare sui fattori di stabilità. Io in questo senso vedo ora la grande chance di chiarire che vogliamo uno Stato d´Israele che viva entro frontiere sicure e senza attacchi del terrorismo, e d´altra parte anche uno Stato palestinese degno di questo nome».

La situazione in Iraq secondo lei è ancora governabile militarmente?
«Io non credo che inviando più truppe in Iraq, da qualsiasi paese esse vengano, si possa conseguire più sicurezza in Iraq. C´è una carenza di strutture capaci di garantire la sicurezza interna dell´Iraq. Si può costruire più sicurezza con le elezioni e con un governo legittimo, affidando agli iracheni il destino del paese, e aiutandoli a garantire la loro stessa sicurezza con la loro polizia e loro forze armate».

L´America dopo le elezioni ha chiesto un maggiore impegno tedesco?
«No. I nostri partner americani hanno capito quali sono i nostri limiti».

Quale peso politico ha la Germania in Israele?
«Credo che il rapporto speciale che abbiamo con Israele e che deve essere mantenuto in prospettiva a causa dell´Olocausto ci debba sempre spingere anche al riserbo e alla prudenza, rispetto all´idea di pressioni su Israele. Credo che gli unici che possono veramente aiutare sono gli americani. La Germania rispetto a Israele ha un ruolo speciale, e anche una responsabilità speciale. Io non appartengo a coloro che menzionano questa responsabilità storica a ogni occasione. Ma con Israele, a causa della Shoah non avremo, nel tempo per me prevedibile, una normalità come quella che grazie a Dio abbiamo raggiunto con la Francia e, spero, anche con la Polonia, cioè con gli ex nemici che hanno particolarmente sofferto nella seconda guerra mondiale».

Come giudica la potenza militare americana?
«La potenza militare è grande».

Ma anche incompetente, non le pare?
«Io spero che ci si renda conto che è sì possibile vincere da soli le guerre ma non la pace. E che da questa consapevolezza si trarrà la conclusione di parlare in modo più cauto di quanto non si sia fatto in passato con i partner che poi in seguito si vuole siano a disposizione».

Ora rischiamo il prossimo conflitto. Con l´Iran, che vuole diventare una potenza atomica. Crede che i mullah rispetteranno i tempi del compromesso negoziato con Joschka Fischer e con gli altri ministri degli Esteri europei?
«Non ho alcun motivo di pensare altrimenti. Ritengo giusto che gli europei parlino chiaro: non vogliamo che gli Iraniani possiedano armi atomiche. E a questo scopo siamo anche pronti a dare qualcosa, come cooperazione economica in senso molto ampio. Cooperazione anche nell´uso pacifico dell´energia nucleare».

Ma sarebbe ingenuo presumere che a Washington, almeno a livello di pianificazione, la soluzione militare per l´Iran non sia all´esame...
«Non posso immaginarlo, e posso solo sconsigliare dal seguire simili ipotesi. La sicurezza in Afghanistan non è garantita. Il conflitto in Iraq è ben lungi dall´essere risolto. Su questo sfondo, anche rispetto al solo pensare di poter intervenire militarmente in Iran non posso dare il mio assenso».

Passiamo alla politica interna. Dopo il prossimo febbraio, quando le riforme di welfare e mercato del lavoro chiamate "Hartz 4" (limiti più severi a sussidi di disoccupazione e assegni-previdenza) saranno varate, quali saranno gli altri passi del suo programma di riforme?
«Intanto uno dei compiti più grandi sarà proprio tradurre quelle riforme in pratica. Spesso abbiamo un´idea singolare delle riforme: pensiamo che basti individuare i problemi, e fare una legge per risolverli per compiere le riforme».

Cioè non è così, i problemi delle riforme cominciano con la vita reale?
«Sì, esattamente. Milioni di persone sono coinvolti da Hartz 4, alcune in senso positivo, altre in senso negativo. E´compito della leadership politica spiegare che questo processo va portato avanti. E che se non lo faremo, se le riforme falliranno per la nostra incapacità di spiegarle e attuarle, danneggeremo la disponibilità del popolo a riformare il paese».

È vero che non vuole che ulteriori riforme disturbino le prossime campagne elettorali?
«Al contrario. Noi siamo decisi a fare le riforme necessarie per salvare l´essenziale, la sostanza del sistema sociale che abbiamo e garantire la sua capacità di sopravvivere ed essere finanziabile anche in futuro».

Una domanda sulle tensioni in Olanda: pensa che provochino un dibattito a livello europeo sulla tolleranza e la religione?
«Io spero che trarremo le giuste conseguenze da quegli eventi e che non reagiremo agli intollerabili attacchi di singoli contro la società civile rinunciando all´ispirazione illuminista del nostro agire politico. E spero che in tutta Europa sapremo difendere l´Illuminismo come linea-guida della vita politica e non cadremo nell´illusione che l´ideologizzazione conservatrice della politica possa aiutarci a risolvere problemi di quel genere».
Annotazioni − Articolo pubblicato il 18/11/2004 su "la Repubblica".

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