Da Corriere della Sera del 27/11/2004

Accordo sui tagli, stretta per gli statali

Sgravi per 6,5 miliardi. Blocco del turnover: in 3 anni via 75 mila dipendenti. Meno soldi alla scuola

di Mario Sensini

ROMA - È servita anche una telefonata del ministro Siniscalco ad un’agenzia di rating per saggiare l’umore sullo schema delle coperture individuate, ieri mattina, per sbloccare l’accordo sul taglio delle tasse. Sofferto, a tratti drammatico, il negoziato che ha impegnato la maggioranza per quasi un anno, alla fine si è chiuso. Da gennaio ci saranno tasse più basse per tutti, famiglie e imprese, ma sul terreno restano comunque delle "vittime", l’università, la scuola e in generale il pubblico impiego, da dove usciranno 75 mila dipendenti nel triennio 2005-2007, con tutti gli strascichi polemici del caso.


IRE E IRAP - Oggi il pacchetto fiscale sarà approvato dal Consiglio dei ministri, prestissimo sarà agganciato alla Finanziaria 2005 all’esame del Senato con un emendamento. Dal primo gennaio 2005 per l’Ire, l’ex Irpef, le aliquote saranno ridotte dalle 5 attuali a 4: 23, 33, 39 e 43%. Quest’ultima è temporanea, destinata a sparire forse già nel 2006 come ha detto ieri il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, illustrando l’accordo. Poi ci sarà l’abolizione dell’Irap per le imprese sui nuovi assunti e sui lavoratori addetti alla ricerca. Il tutto per un costo complessivo di 6,5 miliardi, 6 sulle famiglie, 500 milioni sulle imprese. Soldi che non è stato affatto facile trovare nel bilancio pubblico, come dimostra questa tormentatissima trattativa. Anche se il ministro Siniscalco si è detto soddisfatto. «È un piano interamente spesato, che non inciderà sul deficit 2005» ha detto ieri. Anche perché il deficit, ipotizzato dal governo al 2,7%, per via della minor crescita dell’economia, potrebbe tornare ad avvicinarsi al fatidico 3%.


I TAGLI 2005 - Per l’anno prossimo sono stati recuperati 4,3 miliardi di euro (in termini di cassa, nel primo anno, gli sgravi costano meno del loro valore nominale), di cui quasi metà, 2 miliardi, arriveranno dallo slittamento al 2005 della seconda e terza rata del condono edilizio (dovevano essere versate il 20 e 30 dicembre) grazie a un decreto che sarà varato oggi stesso dal Consiglio dei ministri. Una una tantum , da sostituire nel 2006 con altre misure, anche se il ministro dell’Economia ha rassicurato le agenzie di rating sul fatto che «quando sarà a regime, cioè nel 2006, la riforma fiscale avrà una copertura integralmente strutturale».


NUOVE TASSE - Nel 2005 si ricorrerà a un taglio dei consumi intermedi dei ministeri (600 milioni, 1.200 dal 2006 in poi), ad altri tagli sugli stanziamenti di parte corrente e sulle vecchie leggi di spesa pluriennali (per 400 milioni), nonché sui trasferimenti alle imprese (150 milioni). Ci sarà una revisione delle indennità di malattia per gli autoferrotranvieri, di maternità per gli operai agricoli, dei trattamenti di disoccupazione per gli stessi agricoltori (110 milioni di euro), una stretta sui fondi per l’energia (100 milioni dalla Sogin). Ma serviranno anche nuove tasse. Dalla manutenzione delle imposte indirette, ovvero bolli, tasse di concessione governativa, ipotecarie, catastali, arriveranno 550 milioni in più.

Dal 2006 la copertura diventa più consistente. Entrano in ballo altre voci, anche per compensare il venir meno del condono ed un costo della riforma che, a regime, non può più contare sul gioco della cassa della competenza. Via, dunque, all’aumento delle accise sulle sigarette (1 miliardo l’anno), all’aumento degli acconti Ire e Ires (600 milioni, anche questi una tantum ) e altri tagli: cooperative (340 milioni), ministeri, nuove entrate dai giochi. Poi viene il capitolo del pubblico impiego, forse il più doloroso di tutti.


PUBBLICO IMPIEGO - Un accordo definitivo sui tagli ancora non c’è, dovrebbe arrivare oggi dal Consiglio dei ministri. La bozza del piano sulle coperture prevede due ipotesi, ma la tendenza è chiara, tanto che ieri Berlusconi ha ipotizzato in Consiglio addirittura la creazione di un ministero per la Ristrutturazione dello Stato. Si ipotizza infatti un nuovo blocco parziale del turnover dal 2006 (con un risparmio di 300 milioni il primo anno, 600 nel secondo, un miliardo dopo), se non direttamente dal prossimo anno. Ipotesi, questa, forse più verosimile, perché il premier, nella conferenza stampa di ieri, ha parlato di una riduzione dell’organico dei dipendenti pubblici di «75 mila unità nel triennio 2005-2007, al ritmo di 25 mila l’anno». Per ogni cinque dipendenti che andranno in pensione, ne sarà assunto uno solo. Con nuove procedure sulla mobilità all’interno del settore pubblico, per rispondere in modo più flessibile alle esigenze.


SCUOLA E UNIVERSITÀ - In aggiunta al blocco, la bozza degli interventi prevede dal 2006 un taglio secco al personale della scuola, docenti e ausiliari. L’1% in meno l’anno per il triennio 2006-2008, con un risparmio stimato di 500 milioni di euro. Benché Berlusconi abbia garantito eccezioni di «buon senso» al blocco del turnover per scuola e sicurezza, e il ministro Letizia Moratti (ieri a Bruxelles), facendo riferimento alle sue parole abbia escluso, con tre preoccupate righe di comunicato stampa, «tagli e riduzioni di organico nella scuola». Gianni Letta, ieri, era comunque molto allarmato dal «caso Moratti»: al Consiglio ha paventato anche le sue dimissioni. Si vedrà: come detto l’accordo non è ancora definito nei dettagli. Quel che oggi pare certo è che non ci saranno i 600 milioni aggiuntivi attesi dalla Moratti per le università, che fino a eri erano dati per certi e che oggi sono spariti. Con il presidente della Conferenza dei rettori, Piero Tosi, che annuncia: «Se non arrivano quei soldi le università chiudono da domani».


LA MANOVRINA - Oggi, insieme alle tasse e ai tagli del 2005, il governo dovrà occuparsi anche dei conti 2004. Varerà un decreto che completa la correzione dei conti chiesta a luglio dall’Unione europea, con misure aggiuntive per oltre 4 miliardi. Due serviranno per rimpiazzare le minori entrate che mancheranno con lo slittamento delle rate del condono. Altri due per tenere il deficit sotto il 3%. L’obiettivo resta il 2,95%.

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