Da La Repubblica del 29/11/2004

Boomerang fiscale

di Massimo Riva

IERI la lettera che chiede una svolta nella politica per il Mezzogiorno, a firma congiunta di Confindustria e dei sindacati. Domani lo sciopero generale indetto dalle tre maggiori confederazioni del lavoro contro le scelte economiche del governo.

Davvero il circo mediatico allestito da Silvio Berlusconi attorno al fantasmagorico taglio delle tasse non poteva trovare accoglienza peggiore da parte delle forze e degli interessi, che rappresentano il sistema produttivo del paese. Cioè, proprio presso quel mondo fondato sulla "cultura del fare" di cui il Cavaliere si era autoproclamato l´interprete più sicuro e l´alfiere più determinato.

Il fatto è che il presidente del Consiglio sarà anche stato abile nell´imporre al ministro del Tesoro e al Ragioniere generale dello Stato di stiracchiare con mille espedienti la coperta corta della finanza pubblica per ricavarne qualche miliardo con cui fare fumo agli occhi dei contribuenti, ma ora è costretto ad accorgersi che la fatidica coperta è corta anche in termini economici e politici.

In altre parole, non si può mettere in campo una riformetta fiscale ispirata da calcoli di convenienza elettorale contingente e poi pretendere che chi dovrebbe fare investimenti ovvero difendere salari e occupazione applauda una mossa imbelle se non addirittura controproducente nei confronti del vero dramma incombente sul paese: la perdita progressiva di competitività del sistema Italia.

Del resto, è stato lo stesso presidente del Consiglio a dichiarare che lasciare quattro soldi in più nelle tasche degli italiani (otto magari in quelle dei già benestanti) non servirà a dare alcuna scossa propositiva alla crescita dell´economia nazionale.

Anzi, c´è perfino il rischio che, nell´attuale congiuntura del mercato dei cambi, si realizzi un micidiale "effetto boomerang": nel senso che la pur piccola ripresa immaginata per i consumi finisca per andare a beneficio assai più di merci importate che del derelitto made in Italy. Come già ripetutamente accaduto in passato in circostanze analoghe.

Ciò spiega il dissenso apertamente marcato da parte di una Confindustria che, al termine di un quadriennio di cloroformio berlusconiano sotto la gestione D´Amato, si ritrova ora a mani vuote. E perciò reclama dal neopresidente Montezemolo una difesa delle ragioni imprenditoriali fondata non più sul collateralismo politico, ma sugli interessi concreti di chi, non avendo la fortuna di fare soldi vendendo spot tv in un mercato protetto, deve fare duri conti quotidiani con tecnologie sempre più sofisticate e concorrenti sempre più agguerriti su un mercato che, in molti casi, è grande come il pianeta intero.

A costoro la mancia fiscale del governo Berlusconi non cambia minimamente la vita, come viceversa avrebbe potuto una concentrazione dei tagli tributari sul fronte del costo del lavoro o del sostegno agli investimenti. Anzi, è ragione di profonda delusione perché lascia intendere che il potere politico - come Montezemolo ha detto senza giri di parole - guarda oggi soltanto all´obiettivo delle imminenti scadenze elettorali e non ai problemi del medio periodo, che sono l´orizzonte naturale di chiunque sia impegnato in investimenti industriali. E l´impareggiabile ministro Gasparri, non meglio noto se non per i segnalati servizi resi alle tv berlusconiane, non fa altro che dare ulteriore ed amara conferma a questa delusione quando reagisce con piglio di atavico sapore repubblichino dichiarando che il governo non è fatto da "lustrascarpe della Confindustria".

In questo quadro non costituisce, quindi, sorpresa il fatto che gli esponenti del mondo imprenditoriale e i rappresentanti del sindacato - pur nella naturale dialettica che ne differenzia i ruoli - abbiano trovato un terreno comune di giudizio e di azione nei confronti del governo. C´è un parallelo interesse di entrambi i fronti a contrastare insieme una politica economica che non guarda al futuro del paese, ma soltanto ad obiettivi di consenso elettorale immediato, per giunta instabili e ondeggianti perché affidati all´impalpabile scienza dei sondaggi.

Chissà se, passata l´eccitante sbornia dell´annuncio del taglio delle tasse, Berlusconi e i suoi consiglieri vorranno riprovare a guardare in faccia la realtà? Se lo faranno, saranno costretti ad accorgersi del non piccolo prezzo politico pagato per un giorno da leoni sul terreno fiscale. Per tre anni e mezzo il presidente del Consiglio ha perseguito, senza farne neppure mistero, l´obiettivo di consolidare il suo potere sociale allettando Cisl e Uil a diventare interlocutori privilegiati del governo e di una Confindustria pilotata da Palazzo Chigi, attraverso l´isolamento dei "comunisti" della Cgil. Oggi il fronte delle tre confederazioni appare unito come quasi mai in passato, mentre la Confindustria talvolta scavalca perfino i sindacati nelle critiche al governo. Quel che si dice un autentico capolavoro di strategia politica. Nel quale, però, è obbligatorio leggere soprattutto la frattura fra un governo che pensa solo alla sua sopravvivenza e quella parte del paese che produce e lavora con crescente difficoltà.

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